Erano cinque anni che Alì Khamenei non predicava in pubblico. Lo ha fatto, fucile alla mano, nella grande moschea di Teheran davanti a migliaia di seguaci entusiasti, celebrando la preghiera del venerdì e lanciando strali contro il nemico di sempre. Negli ultimi giorni si era nascosto in un bunker della capitale nel timore che l’aviazione israeliana potesse averlo nel mirino, un’eventualità tutt’altro che peregrina considerando i recenti omicidi mirati del leader politico di Hamas Ismail Hanyeh e dello storico capo di Hezbollah Hassan Nasrallah tra i maggiori proxy della repubblica sciita. Presentarsi ai fedeli brandendo un arma con parole focose e ispirate è un modo per affermare forza e coraggio in uno dei momenti più critici della storia recente dell’Iran. L’ossessione della debolezza e dell’irrilevanza è infatti una costante della leadership iraniana che tenta con ogni mezzo di lanciare bellicosi messaggi agli avversari e, allo stesso tempo, di confortare propri alleati con atti dimostrativi. Uscendo allo scoperto e battendosi il petto la Guida suprema dell’Iran dichiara terminata la strategia della «pazienza strategica», una........