Cosa succede se il lavoro diventa performance
Paolo ha finito gli studi universitari da qualche anno. Non è stato facile laurearsi, perché non ha frequentato una facoltà che lo interessava particolarmente. La sua scelta è stata condizionata dai genitori e dal fatto che vari report e articoli di giornale garantivano che quell’indirizzo di studi dava ottime prospettive occupazionali. In realtà, dopo la laurea Paolo si è presto reso conto che il suo titolo di studio al di fuori delle grandi città e di certi “giri” non era poi così richiesto, e la concorrenza era tanta.
Dopo alcune esperienze saltuarie per “farsi le ossa” (in cui però quasi mai gli veniva chiesto di utilizzare le sue competenze universitarie) Paolo ha appena concluso una collaborazione che gli sembrava promettente ma il cui contratto alla scadenza non è stato rinnovato. Però non si perde d’animo: non ha studiato tutti quegli anni per finire disoccupato, e continua a dire ad amici e parenti che tra poco troverà il lavoro giusto per lui; che il suo talento sarà presto riconosciuto.
Un giorno, mentre “scrolla” sui social, nota un post di un’azienda del suo settore. Lo trova divertente e veritiero, e mette un like. Poi, incuriosito, cerca il sito aziendale. Non è una grande azienda, ma la sua comunicazione è efficace e convincente. Facce sorridenti giurano di provare una vera “passione” per il proprio lavoro, e che si sentono parte di una “azienda leader” con dei forti “valori”. C’è anche una pagina “lavora con noi” con un modulo digitale, che Paolo compila allegando il suo curriculum.
Dopo qualche tempo, Paolo riceve una mail da Cinzia, l’HR dell’azienda: la sua candidatura ha destato interesse, e viene invitato a sostenere un colloquio di lavoro via “call”. Durante l’incontro, Paolo cerca di mettere in luce le sue “soft skill”, oltre alle competenze tecniche sviluppate nelle precedenti esperienze lavorative. Cinzia, dal canto suo, si prodiga nel sottolineare l’attenzione dell’azienda al “work-life balance” dei dipendenti e alle opportunità di crescita interna.
Dopo qualche altro giorno, a Paolo viene offerto un contratto. È a tempo determinato e lo stipendio è praticamente il minimo sindacale, ma d’altronde si tratta di una prassi per i nuovi collaboratori. Paolo accetta, e nei giorni successivi si affretta ad aggiornare il proprio profilo LinkedIn dicendosi “grato e entusiasta” per la sua nuova “sfida professionale” e a pubblicare su Instagram la foto di lui sorridente nel suo nuovo ufficio.
Fin dai primi giorni Paolo si dà da fare per mostrarsi solerte e professionale. Comincia però a notare che, sotto la superficie di cortesia e di attivismo dei colleghi, si cela qualche sottile malcontento, e a volte gli schermi dei computer cambiano rapidamente quando si avvicina. Dopo un po’ di ambientamento, gli viene chiesto di svolgere compiti che non è davvero in grado di fare. O almeno, non al livello che sembra che ci si aspetti da lui.
D’altronde, però, la cosa non lo sorprende del tutto: ha usato un programma di intelligenza artificiale per scrivere la sua lettera di presentazione, e ha fatto di tutto per far sembrare il suo curriculum il più attraente possibile – senza mentire, certo, ma insomma. Ora non può quindi dire “non lo so fare”, per cui cerca di imparare velocemente le attività di base e, quando necessario, delegare o deflettere compiti e responsabilità.
Dopo un po’ la cosa viene notata del dirigente di reparto, che ne chiede conto a Cinzia. Lei si dimostra sorpresa: per la selezione ha usato un algoritmo, un cosiddetto “ATS”, e il profilo di Paolo aveva uno “score” molto alto. Aveva persino usato quel prototipo di “tool AI” che traccia le espressioni facciali del candidato e che aveva confermato la sua sincerità. Gli algoritmi non hanno pregiudizi e non sbagliano, si sa. E poi avevano fretta: c’era bisogno di rimpiazzare rapidamente Giovanna, che se ne era andata senza preavviso. “Chissà come erano gli altri”, sospira a mezza bocca il dirigente.
Passano le settimane, e Paolo comincia a immergersi nella compagine aziendale. Cerca di farsi amici alcuni "compagni di scrivania", e partecipa alle chiacchiere di corridoio sui capi e su altri reparti. Comincia ad apprendere come “rimbalzare” compiti particolarmente complicati o rinviare certe scadenze. Quando però incontra i dirigenti, si limita a sorridere e dire che tutto va bene. Anche in famiglia mostra sicurezza: d’altronde, con la garanzia del nuovo stipendio ha comprato un’auto nuova e ci sono le rate da pagare.
Arriva la scadenza del contratto ma Cinzia, anche perché oberata dalle incombenze affidategli dalla dirigenza, lo fa presente alla dirigenza solo pochi giorni........
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