Io non vado ai funerali, non ci vado più dai funerali dei miei. Non riesco più a guardare nessun funerale senza sentirmi lì, in prima fila, con una persona che amo coricata dentro una cassa di legno chiusa, anzi saldata come se fosse una scoria atomica. Separata per sempre. E per giunta succede quando il lutto è fresco, e non ti orienti, continui a cercare quella persona nello spazio dei viventi, non capisci come possa essere lo stesso mondo, ma senza di lei. Ti guardi attorno: le case reggono, il cielo non sprofonda, la luna non precipita e il mare non t'inghiotte, ed è impossibile che tutto ciò non sia, perché tu lo stai sentendo e vedendo accadere esattamente.
Così oggi mi sono costretta a guardare tutto il funerale di Giulia Cecchettin, ed era il primo che vedevo per intero da quasi vent'anni. Ho fatto bene, perché era importante esserci. La cosa importante di questo funerale - che nel suo nucleo intimo di dolore, di commiato, è identico a tutti gli altri, anche quelli dove sono solo tre persone, e non diecimila più altri milioni in tv - era condividere, era partecipare, era riflettere.
Gino Cecchettin, il padre di Giulia, mi ricordava me e i miei, in quel banco in prima fila con la faccia sbigottita, perché la morte di chi ami è sempre inconcepibile, specie una morte come quella di Giulia: sotto le rose gialle e il legno bianco c'era un corpo........