Arrivammo e ci sedemmo dalla parte della pace, dove c’era un sacco di posto perché era quasi vuoto. Da lontano, sentivamo parlare alcuni che erano convinti – magari in buona fede, ma certo non tutti – d’essere seduti dalla parte della pace, e parlavano di armi, di deterrenza, qualcuno diceva pure quella vecchia cosa “si vis pacem, para bellum”, che infatti è diventato il nome di alcune armi micidiali. Intanto, intorno a noi la guerra sale come certa nebbiolina dapprima invisibile, che ti fa solo rabbrividire un poco, e poi s’ispessisce e tu ti ci ritrovi dentro, cieco e gelato, e non sai neppure com’è successo.

Ieri pensavo a come dovevano sentirsi le persone in Europa nel 1939, per esempio. Mica l’avevano scordata l’immensa macelleria della prima guerra mondiale, solo pochi anni prima, meno di una generazione, pensavo. E pensavo a dove esattamente comincino, le guerre, da quanti pretesti, da quanti atti ripetuti, e sottolineati, di “violazioni”, e “sconfinamenti”, e da quale serie di dichiarazioni, recriminazioni, accuse reciproche, proclami; da quale propaganda scambiata per verità, da quale realtà contraffatta come menzogna, e viceversa: come una nebbiolina che si va facendo più spessa, e nemmeno te ne accorgi e ti ritrovi sotto qualche Palazzo a urlare “Arruoliamoci!” dopo il discorso d’un invasato.
Mi dicono che no, non è una preoccupazione realistica, ma capite, in un mondo in cui, contro ogni evidenza, autorità politiche e persino istituzioni ti dicono che il cambiamento climatico, la carenza d’acqua, il montare delle disuguaglianze non sono preoccupazioni realistiche, qualche dubbio mi viene.
E la pace, questa creatura meravigliosa che tutti vogliono e nessuno si piglia (perché volere la pace, e sostenerla, e metterla in atto è una virtù guerriera, d’un altro tipo di guerra però), è sempre più immateriale e scolorita. Tutti vogliono la pace, però. In quel “però” nascono le guerre, strisciando dapprima e poi a un certo punto alzandosi in piedi, e marciando con gli stivali.

D’altronde oggi è quasi impossibile definirsi pacifista senza che qualcuno venga a dirti che se critichi Israele sei antisemita e stai con Hamas (o anche, a me lo hanno detto, che parteggi per l’islamizzazione e stai con gli oppressori delle donne); se stai con gli ucraini sei servo della Nato; se stai col popolo russo (o persino con Majakovskij o Dostoevskij) appoggi Putin. E dovunque stai, comunque non serve a niente, perché i veti incrociati, le alleanze e le inimicizie e gli interessi sono così grandi e grossi che la tua piccola persona pacifista gli fa un baffo. E dunque, chi sta con i vinti, dovunque siano?
Dove vinti sono i palestinesi profughi in casa loro, affamati e recintati e sterminati in casa loro; gli israeliani sterminati il 7 ottobre, o prigionieri da allora; gli ucraini che vivono in guerra da più di due anni; i russi costretti ad andare alle urne per elezioni farsa con candidati inesistenti e urne trasparenti, i russi massacrati in un atto terroristico di spaventosa violenza (e sì, i vinti sono le vittime russe, e Putin non è una vittima: è un ingranaggio importante di quel meccanismo che genera la violenza, ed è anche un utilizzatore finale, di quella violenza, per generarne ancora e ancora).
Ecco, forse qui, dalla parte della pace, c’è tanto spazio perché – quieti, immateriali, estinti, senza voce – ci stanno seduti solo i vinti.

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Arrivammo e ci sedemmo dalla parte della pace, dove c’era un sacco di posto perché era quasi vuoto. Da lontano, sentivamo parlare alcuni che erano convinti – magari in buona fede, ma certo non tutti – d’essere seduti dalla parte della pace, e parlavano di armi, di deterrenza, qualcuno diceva pure quella vecchia cosa “si vis pacem, para bellum”, che infatti è diventato il nome di alcune armi micidiali. Intanto, intorno a noi la guerra sale come certa nebbiolina dapprima invisibile, che ti fa solo rabbrividire un poco, e poi s’ispessisce e tu ti ci ritrovi dentro, cieco e gelato, e non sai neppure com’è successo.

Ieri pensavo a come dovevano sentirsi le persone in Europa nel 1939, per esempio. Mica l’avevano scordata l’immensa macelleria della prima guerra mondiale, solo pochi anni prima, meno di una generazione, pensavo. E pensavo a dove esattamente comincino, le guerre, da quanti pretesti, da quanti atti ripetuti, e sottolineati, di “violazioni”, e “sconfinamenti”, e da quale serie di dichiarazioni, recriminazioni, accuse reciproche, proclami; da quale propaganda scambiata per verità, da quale realtà contraffatta come menzogna, e viceversa: come una nebbiolina che si va facendo più spessa, e nemmeno te ne accorgi e ti ritrovi sotto qualche Palazzo a urlare “Arruoliamoci!” dopo il discorso d’un invasato.
Mi dicono che no, non è una preoccupazione realistica, ma capite, in un mondo in cui, contro ogni evidenza, autorità politiche e persino istituzioni ti dicono che il cambiamento climatico, la carenza d’acqua, il montare delle disuguaglianze non sono preoccupazioni realistiche, qualche dubbio mi viene.
E la pace, questa creatura meravigliosa che tutti vogliono e nessuno si piglia (perché volere la pace, e sostenerla, e metterla in atto è una virtù guerriera, d’un altro tipo di guerra però), è sempre più immateriale e scolorita. Tutti vogliono la pace, però. In quel “però” nascono le guerre, strisciando dapprima e poi a un certo punto alzandosi in piedi, e marciando con gli stivali.

D’altronde oggi è quasi impossibile definirsi pacifista senza che qualcuno venga a dirti che se critichi Israele sei antisemita e stai con Hamas (o anche, a me lo hanno detto, che parteggi per l’islamizzazione e stai con gli oppressori delle donne); se stai con gli ucraini sei servo della Nato; se stai col popolo russo (o persino con Majakovskij o Dostoevskij) appoggi Putin. E dovunque stai, comunque non serve a niente, perché i veti incrociati, le alleanze e le inimicizie e gli interessi sono così grandi e grossi che la tua piccola persona pacifista gli fa un baffo. E dunque, chi sta con i vinti, dovunque siano?
Dove vinti sono i palestinesi profughi in casa loro, affamati e recintati e sterminati in casa loro; gli israeliani sterminati il 7 ottobre, o prigionieri da allora; gli ucraini che vivono in guerra da più di due anni; i russi costretti ad andare alle urne per elezioni farsa con candidati inesistenti e urne trasparenti, i russi massacrati in un atto terroristico di spaventosa violenza (e sì, i vinti sono le vittime russe, e Putin non è una vittima: è un ingranaggio importante di quel meccanismo che genera la violenza, ed è anche un utilizzatore finale, di quella violenza, per generarne ancora e ancora).
Ecco, forse qui, dalla parte della pace, c’è tanto spazio perché – quieti, immateriali, estinti, senza voce – ci stanno seduti solo i vinti.

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Dalla parte della pace sono seduti solo i vinti

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25.03.2024

Arrivammo e ci sedemmo dalla parte della pace, dove c’era un sacco di posto perché era quasi vuoto. Da lontano, sentivamo parlare alcuni che erano convinti – magari in buona fede, ma certo non tutti – d’essere seduti dalla parte della pace, e parlavano di armi, di deterrenza, qualcuno diceva pure quella vecchia cosa “si vis pacem, para bellum”, che infatti è diventato il nome di alcune armi micidiali. Intanto, intorno a noi la guerra sale come certa nebbiolina dapprima invisibile, che ti fa solo rabbrividire un poco, e poi s’ispessisce e tu ti ci ritrovi dentro, cieco e gelato, e non sai neppure com’è successo.

Ieri pensavo a come dovevano sentirsi le persone in Europa nel 1939, per esempio. Mica l’avevano scordata l’immensa macelleria della prima guerra mondiale, solo pochi anni prima, meno di una generazione, pensavo. E pensavo a dove esattamente comincino, le guerre, da quanti pretesti, da quanti atti ripetuti, e sottolineati, di “violazioni”, e “sconfinamenti”, e da quale serie di dichiarazioni, recriminazioni, accuse reciproche, proclami; da quale propaganda scambiata per verità, da quale realtà contraffatta come menzogna, e viceversa: come una nebbiolina che si va facendo più spessa, e nemmeno te ne accorgi e ti ritrovi sotto qualche Palazzo a urlare “Arruoliamoci!” dopo il discorso d’un invasato.
Mi dicono che no, non è una preoccupazione realistica, ma capite, in un mondo in cui, contro ogni evidenza, autorità politiche e persino istituzioni ti dicono che il cambiamento climatico, la carenza d’acqua, il montare delle disuguaglianze non sono preoccupazioni realistiche, qualche dubbio mi viene.
E la pace, questa creatura meravigliosa che tutti vogliono e nessuno si piglia (perché volere la pace, e sostenerla, e metterla in atto è una virtù........

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