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Come difendersi nella guerra ibrida

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23.12.2025

(di Pietro Serino, Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali)

Il Consiglio Supremo di difesa del 17 novembre scorso ha visto la presentazione, da parte del ministro della Difesa, del documento “Il contrasto alla guerra ibrida: una strategia attiva”. Il documento, oltre a incrementare la conoscenza del fenomeno a livello dei vertici della Repubblica, del Parlamento e dell’opinione pubblica, ha certificato l’impreparazione dell’Italia ad affrontare in modo sistemico questa nuova e articolata minaccia.

Cos’è la guerra ibrida: definizione e caratteristiche moderne

La guerra ibrida, intesa come forma di conflitto che utilizza modalità diversificate per avere ragione di un avversario, non è un fatto nuovo. Basti pensare, per restare nell’epoca moderna, al Blocco continentale messo in atto da Napoleone contro l’Impero britannico. Oggi però la guerra ibrida – intesa come conflitto che utilizza all’interno di una strategia unitaria elementi di guerra convenzionale e irregolare, guerra economica, atti di terrorismo, guerra psicologica, attacchi cibernetici ai sistemi produttivi e alle reti di servizi essenziali, operazioni di influenza e interferenze nei processi politici – è divenuta molto più efficace e quindi pericolosa, a causa del processo di globalizzazione dell’economia, della finanza e dell’informazione che ha reso le nazioni molto più interdipendenti e vulnerabili.

La negabilità plausibile e il conflitto permanente

La seconda caratteristica della guerra ibrida, insita nella natura di talune delle sue modalità operative, è la negabilità plausibile. La nazione attaccante può disconoscere la paternità delle azioni condotte dai suoi proxy – termine che comprende entità non statuali, Stati falliti, organizzazioni terroristiche e criminali, gruppi economici e finanziari, pirati informatici e agenti – mantenendo il conflitto sotto la soglia della guerra aperta.

Questo ci porta a un terzo e rilevante aspetto: la guerra ibrida non si dichiara, si fa e basta; è con noi ogni giorno, agisce sulle nostre percezioni, ci rende insicuri e delegittima le nostre stesse istituzioni, apparentemente incapaci di governare gli eventi.

Siamo entrati nell’epoca del conflitto permanente, dove non c’è distinzione tra pace e guerra, a meno di non considerare la pace come la semplice assenza del confronto militare aperto. Ma nella guerra ibrida, l’uso dello strumento militare tradizionale è residuale; per certi versi, è l’ammissione del fallimento della guerra ibrida stessa.

I limiti costituzionali e la necessità di una risposta sistemica

Questa nuova situazione non è prevista dal nostro ordinamento statuale: basti pensare che il conferimento al governo dei poteri straordinari per fronteggiare un’aggressione è regolato da una complessa procedura prevista dall’art. 78 della Costituzione, “Deliberazione dello stato di guerra”.

La guerra ibrida, proprio per le sue caratteristiche e per la sua pericolosità, deve essere contrastata ogni giorno e questo va fatto mettendo in campo, con una equivalente strategia unitaria, tutti gli strumenti a disposizione dello Stato e tutte le risorse della nazione, civili e militari, pubbliche e private. Nessun ministero della Repubblica ha le competenze, le conoscenze, le esperienze e le risorse per affrontare da solo questa minaccia esistenziale.

La proposta di un Consiglio nazionale di sicurezza e difesa

Forse, per l’Italia è arrivato il momento di dotarsi di un Consiglio nazionale di sicurezza e difesa, sul modello del conosciutissimo National Security Council degli Stati Uniti, costituito nel 1947. Si tratta di un modello utilizzato anche in Europa: dalla Francia dal 2009, con il Conseil de Défense et de Sécurité Nationale, dal Regno Unito dal 2010, con il National Security Council e,........

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