Il 2026 per recuperare fiducia nei processi di pace

(a cura di Bernardo Venturi)

Il 2025 è stato un altro anno con pochi progressi nei processi di pace e un alto numero di conflitti armati. I dati pubblicati qualche giorno fa dall’Armed Conflict Location and Event Data (ACLED) stimano che negli ultimi 12 mesi questi conflitti armati hanno provocato almeno oltre 240 mila morti per cause dirette, un dato del tutto simile al 2024. Va ricordato che il 2024 aveva visto un incremento del 30 percento rispetto al 2023. In termini di livello di violenza, non è difficile immaginarsi come l'Ucraina e la Palestina rappresentino una parte significativa delle vittime di guerra. Allo stesso tempo, le guerre civili in Myanmar e Sudan, spesso lontane dall’attenzione mediatica, hanno rappresentato picchi d’intensità estremamente elevati insieme ai continui scontri in Siria e ai conflitti multilivello in Nigeria. Infine, il livello di violenza legato a gruppi armati e gang in Centro e Sud America ha continuato ad aumentare in paesi come Brasile, Ecuador, Haiti e Messico.

Nel frattempo, sono arrivati ben pochi e timidi risultati da mediazione e processi di pace. Il cessate il fuoco a Gaza rappresenta certamente un risultato tangibile ma la tregua continua a essere violata e non sono stati creati meccanismi per rendere l’accordo sostenibile. Allo stesso tempo, l’invasione dell’Ucraina su larga scala continua e si avvicina al quarto anno di guerra. In questo scenario, si sono persi anni di lavoro in termini di mediazione e le pressioni su Mosca sono state troppo spesso incerte, timide, lente. Si pensi per esempio alle sanzioni indirette sul petrolio. Se gli Stati Uniti impiegassero la stessa volontà e forza dedicata al Venezuela sulla Federazione Russa, forse al Cremlino dovrebbero fare qualche riflessione in più.

Il 2025 è stato però l’anno nel quale il fattore T. ha raggiunto i livelli massimi. Il presidente statunitense non ha solo catturato i titoli di ogni testata, almeno occidentale, per........

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