Sul sito corrieredelmezzogiorno.it e sulla pagina Facebook del quotidiano studiosi ed economisti a confronto. Partecipano Paola De Vivo, Marco Demarco, Costanzo Jannotti Pecci, Aldo Schiavone e Sandro Staiano
La legge sullâautonomia differenziata è stata varata dal Senato, e con tutta probabilità sarà approvata anche dalla Camera. Questo non determina automaticamente la concessione di maggiore autonomia alle Regioni che lâhanno richiesta: si stabiliscono solo le procedure per quella concessione, come spiega con dovizia di particolari lâeconomista Gianfranco Viesti. Perché, a questo punto, è necessario che i governi nazionale e regionale sottoscrivano apposite intese, una per regione, e che queste siano poi a loro volta approvate dai due rami del Parlamento. La strada è quindi ancora lunga. Ma si è giunti al primo giro di boa. Una volta approvata la legge definitivamente, le regioni che lo vorranno potranno subito presentare le proprie richieste di attribuzione di nuove funzioni al governo, ma limitatamente alle materie meno sensibili sul piano dei diritti civili e sociali, quelle su cui il Comitato Cassese non ha rinvenuto nella legislazione vigente rilevanti livelli essenziali delle prestazioni, come sostengono gli economisti Ivo Rossi e Alberto Zanardi, i quali, «tra le materie non-Lep includono la protezione civile, la previdenza complementare e integrativa, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Invece, per tutti quei diritti di cittadinanza che debbono essere garantiti ai cittadini indipendentemente da dove vivano, come lâistruzione, la tutela dellâambiente, le grandi reti di trasporto o gli interventi nel campo della cultura, è indispensabile che il governo prima, attraverso appositi decreti, riconosca i relativi Lep e valuti in termini standard le risorse finanziare necessarie per garantirli nei diversi territori». Come ribadiscono tutti coloro che sono contrari allâautonomia differenziata, vi sono notevoli rischi per le aree più deboli, segnatamente il Mezzogiorno. Un federalismo simmetrico, fondato su tributi regionali propri, compartecipazioni su tributi erariali e fondo perequativo in base ai fabbisogni standard e capacità fiscali, è ancora al di là da venire. Così come appare ancora tutto da costruire un modello virtuoso che si fondi sul superamento della spesa storica nella fissazione dei Livelli essenziali delle Prestazioni, puntando su un sistema di costi standard, purché a invarianza di spesa.Â
«Per questo motivo â spiega lâUfficio Parlamentare di Bilancio - il progetto attuativo di unâautonomia differenziata a federalismo fiscale inattuato, è anacronistico. Così come devolvere materie quali lâenergia, i trasporti, la politica industriale, la ricerca, appare incompatibile con il piano di ammodernamento del Paese del Pnrr».Â
Un documento del dipartimento per gli Affari regionali, incalza lâeconomista Massimo Bordignon su Lavoce.info, «elenca disciplinatamente circa 500 funzioni che potrebbero essere cedute alle Regioni: gran parte dellâossatura dei poteri di uno Stato sovrano». Nel suo recente Rapporto, la Svimez ha esplicitamente accusato la legge Calderoli di esporre lâItalia intera ai rischi di un indebolimento della capacità competitiva per effetto di una frammentazione insostenibile delle politiche pubbliche, «delineando in sostanza uno scenario di crescente specialità delle regioni a statuto ordinario con la conseguente impossibilità di definire politiche coordinate per la crescita e il rafforzamento del sistema delle imprese. Oltre ai pericoli di un congelamento dei divari territoriali di spesa pro capite già presenti e di un indebolimento delle politiche nazionali redistributive e di riequilibrio territoriale».Â
Comunque, per rendere effettivi i Lep, non basta definirli, occorre garantirne il finanziamento. Forse lâaspetto più interessante dellâindagine Svimez riguarda lâesercizio di quantificazione dellâimpatto sulle finanze pubbliche del sistema di finanziamento delle nuove forme di autonomia, con particolare riferimento alle potenziali ricadute sulla dimensione dello spazio fiscale del bilancio pubblico a garanzia della tenuta dei conti pubblici e dellâazione redistributiva dello Stato, fatto dagli economisti Adriano Giannola e Carmelo Petraglia. Cosa emerge? Che le funzioni delegate assorbirebbero larga parte dellâIrpef regionale: il 90% circa nel caso del Veneto, quote tra il 70 e lâ80% per Lombardia ed Emilia-Romagna. Nellâipotesi di utilizzo del gettito dellâIva in tutte e tre le regioni esso non coprirebbe il fabbisogno finanziario ma occorrerebbe una integrazione del gettito Irpef. «In definitiva â spiegano il presidente Svimez Giannola e il professor Petraglia - il gettito Irpef trattenuto dalle tre regioni risulterebbe pari a circa il 30% del gettito nazionale».Â
Bordignon ha provato a fare un interessante esercizio basato su un presupposto: «Se ciascuna regione dovesse finanziare la spesa devoluta con una quota di gettito riferito al proprio territorio, ciò implicherebbe aliquote di compartecipazioni molto differenti da un territorio allâaltro. Per esempio, se il tributo compartecipato fosse lâIrpef, nel 2011 si sarebbe richiesto il 15,7% del gettito in Lombardia, ma il 61,9% in Calabria, unâipotesi che evidentemente la rende politicamente inapplicabile». In definitiva, quello dellâautonomia differenziata è un tema incandescente, altamente divisivo, che suscita nel dibattito politico vere e proprie guerre di religione, contrapponendo con toni violenti non solo il Sud al Nord, ma anche le forze politiche tra loro e spesso perfino allâinterno di uno stesso partito. Non câè accordo neppure nellâambito dei tre partiti del centro destra che sorreggono il governo Meloni, perché se la Lega spinge unanime in questa direzione, Fratelli dâItalia e Forza Italia frenano. In quanto la premier, come ha più volte ribadito, vuole che cammini di pari passo con una riforma costituzionale che introduca il premierato. Poi câè un aspetto da considerare: una delle ragioni per le quali il Next Generation Eu è stato elargito con manica così larga al nostro Paese, è il raggiungimento dellâobiettivo della coesione territoriale in un Paese ancora oggi diviso a metà e proprio lâautonomia differenziata potrebbe diventare il cavallo di Troia per vanificarlo. Per onestà di ragionamento va ricordato, però, che la prima pietra in direzione di unâautonomia differenziata la pose proprio il centro sinistra quando nel 2001 il governo Amato riformò il titolo Quinto della Costituzione allargando i poteri delle Regioni. Al primo vero scardinamento della costruzione basato sullo Stato unitario fece seguito la legge del 2009 del leghista Calderoli, oggi di nuovo ministro delle Autonomie, sul federalismo fiscale. Naturale compimento della riforma del Titolo Quinto, perché, concessi i poteri ai territori, era necessario assegnare loro anche le risorse per esercitarli. Peccato che sia rimasta lettera morta per 23 anni.Â
Su questi temi si svilupperà oggi pomeriggio alle 17, il confronto, promosso dal Corriere del Mezzogiorno in collaborazione con Unione industriali Napoli (in diretta sul sito e sul profilo Facebook del Corriere del Mezzogiorno), moderato da Simona Brandolini, dal titolo «Il Sud e lâautonomia, rischio o opportunità ?», al quale partecipano Marco Demarco, editorialista del Corriere del Mezzogiorno, Paola De Vivo, professore di Sociologia e dei processi economici e del lavoro dellâuniversità federiciana, Costanzo Jannotti Pecci, presidente Unione Industriali di Napoli, Aldo Schiavone, storico ed editorialista del Corriere del Mezzogiorno, Sandro Staiano, professore di diritto costituzionale allâuniversità federiciana.
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26 febbraio 2024 ( modifica il 26 febbraio 2024 | 08:19)
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