menu_open
Columnists
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Editoriale Il Medioevo, il rene e le altre parole in libertà sull'utero in affitto

4 6
17.10.2024

Allibito. Non per motivi etici, religiosi, politici, ma per le argomentazioni cui alcuni membri del Parlamento - santuario intoccabile della democrazia davanti al quale sono disposto a inginocchiarmi – si sono rifatti per ammettere la liceità dell’utero in affitto. L’argomento che si sta affrontando è importante. Si tratta della vita umana. Si discute della vita nascente, di come disporne, come servirla ne migliore dei modi; si tratta di mettersi nei panni dell’uomo nuovo che abbiamo chiamato al mondo. Le visioni, si sa, sono diverse. Il dibattito in aula, giusto e doveroso. Non si sta legiferando su “qualcosa” ma su “qualcuno”; su degli esseri umani, cioè, come noi, forse migliori di noi, di certo più giovani e sani di noi. Vera democrazia vuol dire anche questo: preoccuparsi, tremare, temere della sorte di chi ancora non è nato. Insomma, si sta parlando di cose serie. Serissime. E io mi aspetterei che lo si facesse in modo serio, serissimo. L’Italia – me compreso - è con il fiato sospeso. Ed ecco che dai banchi, tra le altre, si eleva la voce di una senatrice. Grida. Si dimena. Non m’ interessa come si chiami e nemmeno a quale schieramento appartenga. Una volta che arriva a sedere su quegli scranni, qualsiasi persona ha onori di cui godere e oneri da osservare. I dibattiti interni sono un’altra cosa. Per favore, onorevoli, abbiate rispetto di noi poveri elettori, cittadini che lavorano e tirano avanti con poche decine di euro al giorno. «L’utero non è mio? –........

© Avvenire


Get it on Google Play