Editoriale Quale gioco conta davvero
L'homo sapiens è un animale agonistico. Per moltissimo tempo i nostri concorrenti sono stati gli eventi naturali, gli animali predatori, le altre comunità umane rivali per le poche risorse. Dietro il fascino che esercitano ancora su di noi corse, salti e frecce ci sono tracce di un Dna collettivo che ha svolto quei gesti essenziali per decine di migliaia di anni, dal cui successo dipendeva spesso la sopravvivenza. Da lì il loro richiamo primordiale che ci incolla e incanta davanti alla tv e negli stadi.
Le olimpiadi sono una grande expo della commedia umana, una celebrazione di alcune tra le dimensioni migliori degli umani. Quella eccellenza esposta e celebrata è frutto di virtù che apprezziamo e desideriamo per noi e per tutti. Tra queste la capacità di auto-disciplina, la tenacia, l’elaborazione delle sconfitte, la lealtà, tanto che abbiamo anche inventato un sostantivo sintesi: la sportività. Ed è difficile trovare qualcuno che neghi che queste sono virtù universali che valgono in ogni ambito della vita.
Accanto a queste virtù evidenti ci sono altri aspetti più controversi. Tra questi un certo ambiente militaresco che circonda lo sport e le olimpiadi di più, fatto di bandiere e quindi di quel patriottismo che per qualcuno è virtù ma per altri (me incluso) no - dopo ogni grande evento sportivo globale, ad esempio, l’idea di Europa ne esce sempre indebolita. Anche se si potrebbe ribaltare questa legittima critica restando sullo stesso piano: lo sport è anche una elaborazione narrativa e simbolica della violenza per trasformarla nel suo........
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