Economia narrativa Se i doni sono obblighi, i poveri non sperimentano la libertà
Gian Maria Volontè in una scena del film Cristo si è fermato a Eboli - IPA / ipa-agency.net
Gli scrittori, soprattutto i più grandi, prima vedono i loro personaggi, le scene, i paesaggi, i dialoghi, gli spazi vuoti, poi li scrivono. Non si può narrare se prima non si vede. Anche in questo lo scrittore somiglia al profeta biblico, che prima di udire la parola, la vede: «Parola che vide Isaia» (Is 2,1), «Parola che Amos vide» (Am 1,1). «E venne la vigilia di Natale… I contadini e le donne andavano attorno, portando i regali alle case dei signori; qui è uso antico che i poveri rendano omaggio ai ricchi, e rechino i doni, che vengono accolti come cosa dovuta, con sufficienza, e non ricambiati» ( Cristo si è fermato a Eboli, p. 181). Qui Carlo Levi ci mostra una pratica del dono diversa dalle teorie del dono che qualche decennio prima erano state elaborate dall'antropologo Marcel Mauss e dai suoi colleghi. Mentre quegli studiosi ci spiegavano che il circuito del dono ha una struttura ternaria fatta di donare- accettare-contraccambiare, Levi ci raccontava invece un dono che era solo obbligo: munus, dicevano i romani, o regalo, che deriva da re ( rex, regis), e cioè le offerte obbligatorie ai re, ai signori, ai superiori, alla divinità.
Nella società dell'Italia contadina descritta da Levi i doni- regali dei poveri non conoscevano la reciprocità: dovevano essere fatti ai signori, e basta. Il donare-accettare- contraccambiare si riduceva al solo donare; è vero che qualche volta i signori non accettavano i doni, ma non per non essere obbligati a contraccambiare ai poveri (quest'obbligo non c'era mai); se non accettavano era solo perché non erano adeguati e graditi: e questa era davvero una disgrazia. Quello dei contadini era un obbligo unilaterale, senza ritorno. Il mondo pre-moderno non conosceva cosa fosse il dono-gratuità: conosceva solo i regali, gli obblighi, ma il dono gratuito non era tra gli strumenti dell'uomo e ancor meno della donna antica. Levi sente di dover violare quell'antica liturgia che, da uomo moderno e liberale, vedeva solo come retaggio feudale: «Anche io dovetti ricevere, quel giorno, bottiglie di olio, di vino, e uova, e canestrelli di fichi secchi, e i donatori si meravigliavano che io non li accettassi come una decima obbligatoria, ma che me ne schermissi, e facessi, in cambio, come potevo, qualche dono. Che strano signore ero io, dunque, se non valeva per me la tradizionale inversione della favola dei re Magi, e si poteva entrare a casa mia mani vuote?» (pp. 181-182). Bello il riferimento 'all'inversione' della tradizione ('favola') dei Magi: quei signori del vangelo di Matteo portavano doni ad una madre e ad un bambino poveri, mentre i........
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