Conflitti La "guerra aperta" in Medio Oriente è una strada senza ritorno
Mercoledì, più o meno nelle stesse ore, la stampa internazionale ha registrato due dichiarazioni: da un lato Nabih Berri, presidente sciita del Parlamento libanese, ha parlato di “ore decisive” per evitare una guerra aperta tra Hezbollah e Israele; dall’altro i comandi militari israeliani hanno spostato verso Nord due brigate di riservisti, dichiarando di voler essere pronti a “entrare in Libano”. Posizioni che non possono sorprendere. Il Libano è da anni sull’orlo del collasso, un Paese di 6 milioni di abitanti che quasi per miracolo non è crollato sotto il peso di 300mila rifugiati palestinesi, un milione e mezzo di siriani e i quasi 100mila profughi già provocati dai bombardamenti di Israele nel Sud. Israele, per parte sua, dopo aver decimato i comandi di Hezbollah, non può mollare la presa adesso, mentre esibisce tra l’altro una schiacciante superiorità militare, tecnologica e di intelligence.
Per quanto logiche e naturali, però, le prese di posizione sull’uno e sull’altro lato dimostrano che sulla prospettiva di un’invasione israeliana del Libano c’è un dibattito in corso che supera Beirut e Gerusalemme e coinvolge in primo luogo........
© Avvenire
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