L’emergenza non sta più ai patti. Almeno per la terra che trema, Napoli aveva sottoscritto quasi un tacito accordo, scosse spalmate come si fa con un debito da pagare a piccole rate, contando sulla comprensione e il buon cuore di una natura che da queste parti ha dato, ma anche preso, molto. Stavolta lo sciame non ha lasciato l’abituale tracciato quasi piatto sui sismografi posti a guardia di un evento che, nel campo delle previsioni – 1.252 scosse solo ad aprile – è diventato ricorrente quasi come la nebbia in Val Padana.
L’impennata del pennino non è stata catastrofica, ma non è più passata inosservata. Quando la gente è stata spinta in strada da una scossa diversa e più forte di tutte le altre, replicata con quasi la stessa intensità mercoledì mattina, ha trovato già calcinacci caduti dai palazzi e accanto a essi, nella paura che potessero diventare cumuli, ha dovuto prendere atto di una vita e di un’emergenza che cambiava. Tendopoli, assembramento di auto nei luoghi più spaziosi all’aperto, lo schieramento di ambulanze e mezzi di pronto intervento, hanno subito composto accanto all’epicentro il quadro e lo scenario di un terremoto in corso. A Pozzuoli il nome è un altro,........