Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha visitato il posto di comando avanzato sulla linea del fronte a Kupyansk, nella regione di Kharkiv (foto pubblicata su Facebook dallo stesso Zelensky) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Dopo le dichiarazioni del weekend di Volodymyr Zelensky e di Jens Stoltenberg sui mancati successi delle forze armate ucraine negli ultimi mesi, media di tutto il mondo titolano sul «fallimento della controffensiva ucraina» iniziata il 4 giugno scorso. In Italia ricorre a questa formula il quotidiano Repubblica. In sei mesi di offensiva le truppe di Kiev armate e addestrate dai paesi della Nato hanno recuperato soltanto poco più di 500 kmq di territorio, pari alla metà della provincia di Rimini.

Restano sotto occupazione russa 161 mila kmq (compresa la Crimea) che rientravano nei confini ucraini al momento dell’indipendenza nel 1991. Secondo fonti russe l’offensiva sarebbe costata all’Ucraina la perdita di 90 mila uomini morti, feriti o catturati, oltre a 600 carri armati e altri 1.900 veicoli blindati. Curiosamente la cifra coincide con quella che gli ucraini indicano per le perdite russe nello stesso periodo: 15 mila soldati al mese in media, con una punta di 25 mila morti o feriti in agosto.

La controffensiva ucraina è partita troppo tardi

La più completa analisi degli aspetti militari e strategici del mancato successo della controffensiva ucraina è stata pubblicata recentemente nell’edizione online del Washington Post del 4 dicembre. Vengono riferite dettagliatamente recriminazioni e divergenze dei due attori dell’operazione, cioè la leadership politico-militare ucraina e quella degli Stati Uniti e della Nato. In buona sostanza, la controffensiva è partita in ritardo rispetto a quanto Usa e Nato auspicavano, cioè all’inizio di giugno anziché entro la fine di aprile, e questo ha dato modo ai russi di trincerarsi molto meglio creando un gran numero di campi minati e difese fisse come i sistemi anticarro detti “denti di drago”.

Le recriminazioni dell’Ucraina e quelle degli occidentali

Gli ucraini lamentano di non avere ricevuto tutte le armi di cui avevano bisogno, e in particolare di non aver potuto godere di un’adeguata copertura aerea della loro offensiva, a causa dell’inadeguatezza dei loro Mig-29 rispetto ai caccia Sukhoi russi, mentre gli alleati occidentali affermano di avere fornito tutto ciò che poteva essere utilizzato dalle forze armate locali, e che alcuni sistema d’arma, come i carri Abrams e i caccia F16, non sono stati messi a disposizione perché il personale ucraino non è ancora in grado di manovrarli efficacemente, e sarebbero andati immediatamente persi sul campo di battaglia.

Infine e soprattutto, gli occidentali lamentano che gli ucraini abbiano voluto condurre un’offensiva su tre direttrici – Melitopol e Berdyansk nel sud, Bakhmut nell’est – che ha finito per sparpagliare le loro forze, anziché concentrarle tutte sulla direttrice di Melitopol, cosa che avrebbe consentito di interrompere la continuità terrestre fra la Russia, i territori ucraini occupati e la penisola di Crimea, isolando quest’ultima (che sarebbe rimasta collegata al territorio russo solo dal vulnerabile ponte di Kerč). Gli ucraini rispondono che se avessero seguito i suggerimenti Nato e avessero sguarnito la regione attorno alla cittadina di Bakhmut, conquistata in maggio dai russi, questi ultimi avrebbero ripreso la loro offensiva per la totale occupazione dell’oblast di Lugansk.

Il momento di svolta della controffensiva ucraina

Il momento di svolta della controffensiva, che l’ha trasformata da operazione lampo a guerra di posizione, sarebbe avvenuto subito nei primi giorni dell’offensiva su Melitopol, quando gli ucraini decidono di cambiare tattica di fronte alle alte perdite in uomini e mezzi che stanno subendo:

«Invece di tentare di sfondare le difese russe con un attacco meccanizzato su larga scala sostenuto dal fuoco dell’artiglieria, come avevano consigliato i suoi omologhi americani, Zaluzhny (il capo di Stato maggiore di Kiev – ndt) decise che i soldati ucraini sarebbero andati a piedi in piccoli gruppi di 10, un processo che avrebbe risparmiato perdite di equipaggiamento e di vite umane, ma sarebbe stato molto più lento. Mesi di pianificazione con gli Stati Uniti furono mandati all’aria sin dal quarto giorno di combattimenti, e la già tardiva controffensiva, progettata per raggiungere il Mar d’Azov entro due o tre mesi, quasi si arrestò. Invece di fare uno sfondamento di 9 miglia (quasi 14,5 chilometri) il primo giorno, gli ucraini sono avanzati di circa 12 miglia (19,3 chilometri) nell’entroterra nei quasi sei mesi da giugno e hanno liberato alcuni villaggi».

Così Putin è riuscito a riorganizzarsi

Di spiegare perché la Russia non abbia ceduto dopo l’insuccesso della guerra lampo con cui aveva progettato di impadronirsi in pochi giorni di quasi tutta l’Ucraina, cioè perché le sconfitte militari, l’isolamento economico e finanziario e la renitenza alla leva di decine di migliaia di giovani fuggiti all’estero o datisi alla macchia nell’immenso territorio russo non abbiano portato al tracollo del regime di Putin, si incarica il settimanale britannico The Economist. Che spiega come il Cremlino sia riuscito non solo a riorganizzare il sistema economico secondo le esigenze di un’economia di guerra e parzialmente autarchica, ma a farlo guadagnando consenso sociale in alcuni strati della popolazione.

Alla base di tutto ci sta il fatto che, in barba alle sanzioni occidentali, nel primo anno di guerra le entrate dell’export hanno toccato la cifra record di 590 miliardi di dollari, 160 miliardi in più della media del decennio, e che anche quest’anno la media decennale sarà superata di 60 miliardi di dollari circa. La guerra costerebbe a Mosca attorno ai 100 miliardi di dollari all’anno, dunque gli extra profitti degli ultimi due anni coprono per intero le uscite.

La macchina da guerra russa riparte?

«Le autorità» – scrive l’Economist – stanno costringendo gli esportatori a convertire i loro ricavi in rubli per evitare un’ulteriore svalutazione, che aggraverebbe l’inflazione (che sta al 12 per cento, ndt). Costruzioni, consumi e servizi crescono nelle regioni vicine alle zone di guerra o dove sono numerose le fabbriche di munizioni. Nell’estremo oriente si sta investendo in ingenti infrastrutture per espandere il commercio con l’Asia, dal momento che i legami con l’Europa si sono indeboliti. Mosca e San Pietroburgo non traggono grandi benefici dal nuovo ordine, però le regioni industriali depresse – il cuore dell’opinione pubblica favorevole a Putin – vivono meglio di quanto vivevano da anni».

«Chi parte volontario», prosegue il settimanale britannico, «viene pagato circa 195mila rubli al mese (quasi 2 mila euro, ndt), quattro volte tanto lo stipendio medio recentemente aumentato a Izhevsk (cittadina sede di industrie militari, ndt) e un bonus una tantum di 195.000 rubli al momento dell’arruolamento. Le famiglie dei caduti ricevono anche pagamenti generosi. Vladislav Inozemtsev, economista russo dell’Istituto Polacco di Studi Avanzati di Varsavia, stima che la famiglia di un soldato che viene ucciso dopo cinque mesi di servizio riceva circa 15 milioni di rubli in totale, compresi salari e compensi (circa 150 mila euro – ndt). Un russo ci mette mediamente 30 anni per guadagnare altrettanto, in un paese dove l’aspettativa di vita maschile è di soli 65 anni».

In Russia aumentano quelli che vogliono la pace

Insieme alla repressione poliziesca del dissenso, questo spiega perché i tre quarti della popolazione ancora approvi l’intervento militare in Ucraina e la maggioranza ritenga che la guerra stia andando bene. Ma in ottobre per la prima volta coloro che sono favorevoli alla pace prima possibile sono diventati più numerosi di quelli che auspicano un proseguimento della guerra.

In Ucraina i sondaggi parlano di una popolarità calante di Zelensky rispetto ad altri personaggi pubblici: mentre il raffronto fra opinioni favorevoli e contrarie segna per il capo di Stato un saldo positivo di 32 punti, nel caso del generale Valerij Zaluzhny si arriva a più 70 punti. Anche il capo dei servizi di sicurezza Kirylo Budanov risulta più popolare del presidente in carica (+45 punti). Tuttavia la leadership di Zelensky non corre rischi: le elezioni presidenziali previste per il marzo prossimo saranno certamente rimandate a causa dello Stato di emergenza. E l’80 per cento degli ucraini sarebbe d’accordo col rinvio.

QOSHE - Perché è fallita la controffensiva ucraina - Rodolfo Casadei
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Perché è fallita la controffensiva ucraina

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06.12.2023
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha visitato il posto di comando avanzato sulla linea del fronte a Kupyansk, nella regione di Kharkiv (foto pubblicata su Facebook dallo stesso Zelensky) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Dopo le dichiarazioni del weekend di Volodymyr Zelensky e di Jens Stoltenberg sui mancati successi delle forze armate ucraine negli ultimi mesi, media di tutto il mondo titolano sul «fallimento della controffensiva ucraina» iniziata il 4 giugno scorso. In Italia ricorre a questa formula il quotidiano Repubblica. In sei mesi di offensiva le truppe di Kiev armate e addestrate dai paesi della Nato hanno recuperato soltanto poco più di 500 kmq di territorio, pari alla metà della provincia di Rimini.

Restano sotto occupazione russa 161 mila kmq (compresa la Crimea) che rientravano nei confini ucraini al momento dell’indipendenza nel 1991. Secondo fonti russe l’offensiva sarebbe costata all’Ucraina la perdita di 90 mila uomini morti, feriti o catturati, oltre a 600 carri armati e altri 1.900 veicoli blindati. Curiosamente la cifra coincide con quella che gli ucraini indicano per le perdite russe nello stesso periodo: 15 mila soldati al mese in media, con una punta di 25 mila morti o feriti in agosto.

La controffensiva ucraina è partita troppo tardi

La più completa analisi degli aspetti militari e strategici del mancato successo della controffensiva ucraina è stata pubblicata recentemente nell’edizione online del Washington Post del 4 dicembre. Vengono riferite dettagliatamente recriminazioni e divergenze dei due attori dell’operazione, cioè la leadership politico-militare ucraina e quella degli Stati Uniti e della Nato. In buona sostanza, la controffensiva è partita in ritardo rispetto a quanto Usa e Nato auspicavano, cioè all’inizio di giugno anziché entro la fine di aprile, e questo ha dato modo ai russi di trincerarsi molto meglio creando un gran numero di campi minati e difese fisse come i sistemi anticarro detti “denti di drago”.

Le recriminazioni dell’Ucraina e quelle degli occidentali

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