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L’opera che trent’anni fa ha portato alla ribalta il pensiero di Rémi Brague, fino ad allora esperto di filosofia medievale araba ed ebraica noto soltanto nella cerchia degli specialisti, è stata Europa, la via romana. L’approccio originale proposto in quel libro suscita domande di approfondimento sul presente e sul destino del nostro continente-civiltà anche oggi, alla vigilia di appuntamenti politici come le elezioni del Parlamento europeo l’8 e 9 giugno. Senza dimenticare che Brague è uno dei filosofi cattolici europei oggetto di maggiore considerazione: ha ricevuto il Premio Ratzinger nel 2012 e il Premio internazionale medaglia d’oro al merito della cultura cattolica tributato dalla Scuola di Cultura cattolica di Bassano del Grappa nel 2017.

Lei ha spiegato che un tratto caratteristico e forse unico a livello mondiale della civiltà europea è la sua “secondarietà”, cioè l’aver mutuato la sua anima da due civiltà a lei esterne, quella greca classica e quella ebraica da cui è gemmato il cristianesimo. L’Europa di oggi è ancora così? Che cosa è cambiato eventualmente?

Il filosofo Rémi Brague

Non è del tutto esatto dire che l’Europa è la sola ad aver mutuato la sua anima da civiltà a lei esterne. A dire la verità, si tratta di una caratteristica comune ad ogni cultura: il Giappone ha preso dalla Cina, la Cina ha preso dall’India, l’Islam ha preso dalla Grecia, dalla Persia e dall’Impero romano d’Oriente (quello che noi chiamiamo “Bisanzio”), eccetera. Invece quello che caratterizza l’Europa è piuttosto il suo atteggiamento di fronte a questa realtà storica. Da una parte, essa non soltanto ha mutuato, ma è stata cosciente di averlo fatto, e ha conservato questa coscienza nella sua memoria storica. Ho chiamato questa cosa “inserzione”, mentre le altre civiltà procedono per digestione. Dall’altra, l’Europa non si è accontentata di assorbire una volta per tutte l’eredità proveniente da fuori, ma c’è tornata sopra a più riprese, e a dire la verità senza mai smettere. Ciò ha avuto per conseguenza una serie pressoché ininterrotta di “rinascimenti”, da Boezio e Cassiodoro fino al progetto di “nuovo umanesimo” di Werner Jaeger, passando per Alcuino, il XII secolo che ha riscoperto Ovidio, il XIII secolo che ha riscoperto Aristotele, l’Italia dei grandi toscani, Marsilio Ficino, Erasmo, il classicismo di Weimar.

Infine, l’Europa non si è accontentata di tradurre – cosa che l’Islam, per esempio, ha fatto nel IX secolo su scala colossale. Le sue élite si sono, se così posso dire, “tradotte” esse stesse in direzione dell’Antichità: hanno imparato le lingue classiche, latino, greco, ebraico; hanno imitato i capolavori della letteratura e della scultura, eccetera. Ora, a partire grosso modo dagli anni Sessanta, lo studio delle lingue antiche è regredito fino quasi a scomparire. È davvero un peccato, perché esse danno accesso direttamente a capolavori straordinari, senza l’obbligo di legarsi mani e piedi agli umori e ai pregiudizi dei traduttori.

Ma c’è di peggio: l’Europa intellettuale s’è trovata presa nella tenaglia di due movimenti che possono sembrare contraddittori. Da una parte, ha smesso di credere che poteva avere qualcosa da imparare dalla Cina (la necessità del lavoro), dagli Stati Uniti (una visione realistica della difesa), dal mondo islamizzato (una demografia sana). Dall’altra, ha cessato di credere che poteva avere da parte sua qualcosa da insegnare al resto del mondo; al contrario sembra credere che ogni genere di civiltà ha lo stesso valore, e che perciò le sue acquisizioni culturali (la scienza matematizzata della natura, l’idea di persona dotata di diritti inalienabili, il sistema democratico, l’uguaglianza dei sessi, eccetera) non sono in definitiva che un folklore locale non esportabile.

Cinque anni fa lei ha firmato il manifesto “Per un’Europa fedele alla dignità umana”, dove si legge: «Sembra che negli ultimi decenni l’Europa sia rimasta senza morale». L’Europa ha un problema con l’etica? La pagina web della campagna “You are Eu”, che vuole promuovere l’indipendenza energetica dei paesi dell’Unione Europea, elenca i «valori europei che ci uniscono»: democrazia, libertà, uguaglianza, tolleranza e solidarietà. Non basta questo a fondare un’etica?

La copertina del numero di Tempi di febbraio 2024

I valori citati sono molto gentili, ma fanno più ridere che provocare adesione. Da noi in Francia i politici si riempiono la bocca volentieri con i “valori della Repubblica”, senza definirli e senza fondarli su qualcos’altro che possa portare all’adesione. Su cosa si fondano i valori? Perché li si dovrebbe rispettare? Chi li prende sul serio? La nozione stessa di “valore” si distrugge da sola: il valore è ciò che un soggetto, individuale o collettivo, conferisce alle cose che “stima”. Ma ciò che si conferisce si può anche ritirare. Valorizzare significa al tempo stesso svalutare. Giocando un po’ con le parole, direi che all’Europa non manca tanto la morale, quanto piuttosto il morale, nel senso in cui si parla del “morale delle truppe”. Non siamo sprovvisti di persone che ci predicano una certa morale: essere gentili nei confronti del pianeta, nei riguardi degli animali, verso i terroristi, eccetera. Ma la fierezza per ciò che si rappresenta, la volontà di difenderlo, la fede nell’avvenire e, prima ancora, il desiderio di averne uno, tutto questo dipende dal “morale”.

Lei ha molto scritto sull’islam, oltre a insegnare la filosofia araba medievale. Come vede la questione della lenta islamizzazione dell’Europa, uno degli argomenti che solleva le polemiche più furiose in Europa e che assume un’importanza politica sempre maggiore?

Effettivamente ho insegnato per vent’anni la filosofia della lingua araba, islamica ed ebraica. Invece ho scritto molto poco sull’islam (con la lettera minuscola) come religione e sull’Islam (con la lettera maiuscola) come civiltà: qualche pagina del mio Europe, la voie romaine (1999), tradotto in italiano con un titolo, Il futuro dell’Occidente, che non corrisponde per niente al contenuto…, qualche articolo in Au moyen du Moyen Age (2006), una parte di La Loi de Dieu (2005), libri che non sono stati tradotti in italiano. Ma ho appena finito di consacrargli un libro intero, per il quale ho voluto un titolo molto sobrio: Sur l’islam (2023). Non so se sarà mai tradotto. Al suo interno non parlo di problemi come la massiccia immigrazione di popolamento che conosciamo dagli anni Settanta: è una questione che riguarda i demografi, i sociologi, i politici, eccetera. Ma cerco di descrivere, appoggiandomi a citazioni circostanziate, le invarianti della mentalità islamica, ciò che fa dell’Islam una civiltà coerente e che ha per obiettivo esplicito di diffondere nel mondo intero le risposte che essa propone a tutti i problemi umani. Risposte che contraddicono molte di quelle che dà la nostra civiltà, e spesso su punti di importanza capitale. Per esempio noi riconosciamo l’uguaglianza fondamentale – e non soltanto davanti a Dio, cosa che va da sé, ma anche davanti alla legge – di tutti gli esseri umani, a prescindere dal loro sesso e dalla loro religione di appartenenza. Si tratta perciò di due sistemi di norme che si affrontano, piuttosto che di due gruppi umani.

Raduno di preghiera islamico al Heysel expo center, Bruxelles, 28 giugno 2023 (foto Ansa)

L’Unione Europea non è riuscita a darsi un trattato costituzionale. Per eccesso di differenze fra i vari paesi e le varie sensibilità, o per qualche altro motivo?

Non è una domanda da fare a me: non conosco un granché di politica. Ho prestato attenzione soltanto al rifiuto francese di vedere citate le origini cristiane della civiltà europea. Questo rifiuto di tenere conto di ciò che è tuttavia un’evidenza accecante per chiunque abbia qualche rudimento di storia, costituiva una menzogna per omissione. Da allora abbiamo fatto molti progressi e moltiplichiamo le menzogne per commissione, al punto di renderle quasi obbligatorie: “Un uomo può avere una gravidanza”, eccetera. Le differenze di sensibilità che voi evocate sono certamente considerevoli fra i paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa centrale, che hanno, oltre all’esperienza della guerra, quella del regime ideologico leninista. Così come, d’altra parte, il fossato che si è scavato fra le élite e i popoli. Sarebbe bene che l’Europa occidentale cercasse di comprendere un po’ meglio gli ungheresi e i polacchi, prima di insultarli. E allo stesso modo le nostre élite dovrebbero cercare di comprendere perché il popolo cede alle sirene “populiste” piuttosto che guardarlo dall’alto in basso.

Una ventina di anni fa su Communio lei scrisse che il cristianesimo, da forma fondamentale della civiltà europea così come si è configurata storicamente, era diventato il “capro espiatorio” dell’Europa moderna. In che senso?

Questi due modi di considerare il cristianesimo non si escludono, al contrario. Il fatto stesso che si accusi il cristianesimo di tutto ciò che di negativo c’è stato nella storia europea dimostra che implicitamente si riconosce il ruolo decisivo che vi ha svolto. Il fatto fondamentale nelle élite europee di oggi è l’odio di sé. Ora, quando si odia se stessi è normale che si prenda per oggetto del proprio odio ciò che si è nel più profondo di sé. L’odio di alcuni nei confronti del cristianesimo risulta così una sorta di omaggio involontario alla sua influenza. È chiaro che certi elementi di origine cristiana hanno avuto degli effetti negativi. Per esempio la dottrina della grazia delle ultime opere di sant’Agostino, con le sue ripercussioni calviniste e gianseniste. O la teoria secondo cui la Chiesa avrebbe semplicemente sostituito il popolo d’Israele, ormai rigettato, e la Legge di Mosè, abrogata. Se l’islam ripete l’operazione nei confronti del cristianesimo, che considera superato, di cosa vi lamentate? Ma vedere nel cristianesimo, che ai suoi inizi è stato percepito come una liberazione, ciò che avrebbe messo fine a un paganesimo felice, questa è un’assurdità storica.

Di Rémi Brague leggi anche:

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Ma questa Europa ha davvero bisogno del cristianesimo?

Lei ha messo molte volte in guardia rispetto a due mali che compromettono l’esistenza dell’Europa: nichilismo e relativismo. Ha spiegato che nichilismo e relativismo impediscono di uccidere per un ideale, ma non offrono ragioni per vivere. Per allentare la loro presa ci vorrebbe un umanesimo. Ma come può accadere, dopo il tramonto dell’umanesimo cristiano e il fallimento dell’umanesimo ateo? Dobbiamo necessariamente guardare fuori dall’Europa?

Non sono io a inventarmi questi due pericoli, e certamente non sono il solo a segnalarli. Si parla di “nichilismo” a partire dalla Rivoluzione francese. Turgenev in Padri e figli (1862) ha descritto uno dei suoi personaggi come nichilista, quando in realtà è piuttosto un positivista. Poi Nietzsche ha conferito alla nozione le sue lettere di nobiltà filosofiche. Dopo averci visto «l’ospite meno gradito», ha finito per difendere un «nichilismo positivo», antenato del «nichilismo gaio» di Gianni Vattimo. L’accettazione “dionisiaca” della vita, con le sue dimensioni tragiche, offre all’individuo un modello di vita rispettabile. Ma essa non giustifica in alcun modo che si chiamino alla vita coloro che non ne fanno ancora parte e ai quali non si può domandare il loro parere. Per continuare a fare questo bisogna essere convinti che, in ultima istanza, l’Essere e il Bene coincidano.

Bisognerebbe andare a cercare fuori dall’Europa il rimedio per guarire dal nichilismo? Ne dubito. Anzitutto perché la malattia venuta dall’Europa ha infettato tutto il mondo, del quale nessuna parte è indenne. Poi, perché non vedo da dove dovrebbe venire la guarigione. Il buddismo – quello vero, non quello delle star di Hollywood – è anch’esso una sorta di nichilismo che mira all’estinzione del desiderio e con esso della sofferenza che comporta necessariamente. Un neo-paganesimo come culto della Natura può far sognare i poeti, ma è compatibile con ciò che ci insegna la scienza dopo Galileo? L’islam si fonda sulla credenza secondo la quale il Corano è la parola di Allah, trasmessa attraverso Maometto nell’Hijaz prima della sua morte nel 632. Lo studio filologico del testo mostra che ciò è falso: certi versetti sono più tardivi, per altri il quadro concreto si colloca più al nord, numerosi autori si sono succeduti all’opera senza concertazione, eccetera.

L’umanesimo non può fondarsi su se stesso: se è l’uomo ad affermare il valore dell’uomo, egli è giudice e parte in causa, lo si potrà accusare di “specismo”. C’è soltanto la Bibbia che dice che l’uomo è stato creato a immagine di Dio e che è chiamato a vivere a sua somiglianza. L’ebraismo dice: vivendo secondo la Torah, che esprime il modo di comportarsi di Dio stesso. Il cristianesimo dice: assimilandosi al Cristo, che è la Parola stessa (Verbum) di Dio.

I valori della campagna “You are Eu” per promuovere l’indipendenza energetica dei paesi dell’Unione Europea

Nel prossimo mese di giugno in 27 paesi si svolgeranno elezioni per il Parlamento europeo. Non le chiedo che partito voterà lei, ma le chiedo se andrà a votare. Attualmente solo un avente diritto su due va a votare per il Parlamento europeo. Ha ragione il primo, o ha ragione il secondo?

Fate benissimo a risparmiarmi la risposta alla domanda “per chi votare?”, perché sono molto perplesso al riguardo, e non so bene a chi dare il mio voto. Andrò comunque a votare, se non altro per prendere coscienza del fatto, e per aiutare altri a prenderne coscienza, che noi abbiamo la fortuna di vivere in paesi nei quali è riconosciuto il diritto di voto. Anche se le scelte del popolo non sono sempre rispettate da coloro che ci governano. Dunque capisco molto bene coloro che resteranno a casa il giorno delle elezioni, perché hanno l’impressione che il loro voto non conterà nulla, e questa impressione non è priva di fondamento. Temo, perciò, che entrambi gli europei abbiano ragione…

@RodolfoCasadei

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Pensati Europa. Grande intervista a Rémi Brague

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05.02.2024
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L’opera che trent’anni fa ha portato alla ribalta il pensiero di Rémi Brague, fino ad allora esperto di filosofia medievale araba ed ebraica noto soltanto nella cerchia degli specialisti, è stata Europa, la via romana. L’approccio originale proposto in quel libro suscita domande di approfondimento sul presente e sul destino del nostro continente-civiltà anche oggi, alla vigilia di appuntamenti politici come le elezioni del Parlamento europeo l’8 e 9 giugno. Senza dimenticare che Brague è uno dei filosofi cattolici europei oggetto di maggiore considerazione: ha ricevuto il Premio Ratzinger nel 2012 e il Premio internazionale medaglia d’oro al merito della cultura cattolica tributato dalla Scuola di Cultura cattolica di Bassano del Grappa nel 2017.

Lei ha spiegato che un tratto caratteristico e forse unico a livello mondiale della civiltà europea è la sua “secondarietà”, cioè l’aver mutuato la sua anima da due civiltà a lei esterne, quella greca classica e quella ebraica da cui è gemmato il cristianesimo. L’Europa di oggi è ancora così? Che cosa è cambiato eventualmente?

Il filosofo Rémi Brague

Non è del tutto esatto dire che l’Europa è la sola ad aver mutuato la sua anima da civiltà a lei esterne. A dire la verità, si tratta di una caratteristica comune ad ogni cultura: il Giappone ha preso dalla Cina, la Cina ha preso dall’India, l’Islam ha preso dalla Grecia, dalla Persia e dall’Impero romano d’Oriente (quello che noi chiamiamo “Bisanzio”), eccetera. Invece quello che caratterizza l’Europa è piuttosto il suo atteggiamento di fronte a questa realtà storica. Da una parte, essa non soltanto ha mutuato, ma è stata cosciente di averlo fatto, e ha conservato questa coscienza nella sua memoria storica. Ho chiamato questa cosa “inserzione”, mentre le altre civiltà procedono per digestione. Dall’altra, l’Europa non si è accontentata di assorbire una volta per tutte l’eredità proveniente da fuori, ma c’è tornata sopra a più riprese, e a dire la verità senza mai smettere. Ciò ha avuto per conseguenza una serie pressoché ininterrotta di “rinascimenti”, da Boezio e Cassiodoro fino al progetto di “nuovo umanesimo” di Werner Jaeger, passando per Alcuino, il XII secolo che ha riscoperto Ovidio, il XIII secolo che ha riscoperto Aristotele, l’Italia dei grandi toscani, Marsilio Ficino, Erasmo, il classicismo di Weimar.

Infine, l’Europa non si è accontentata di tradurre – cosa che l’Islam, per esempio, ha fatto nel IX secolo su scala colossale. Le sue élite si sono, se così posso dire, “tradotte” esse stesse in direzione dell’Antichità: hanno imparato le lingue classiche, latino, greco, ebraico; hanno imitato i capolavori della letteratura e della scultura, eccetera. Ora, a partire grosso modo dagli anni Sessanta, lo studio delle lingue antiche è regredito fino quasi a scomparire. È davvero un peccato, perché esse danno accesso direttamente a capolavori straordinari, senza l’obbligo di legarsi mani e piedi agli umori e ai pregiudizi dei traduttori.

Ma c’è di peggio: l’Europa intellettuale s’è trovata presa nella tenaglia di due movimenti che possono sembrare contraddittori. Da una parte, ha smesso di credere che poteva avere qualcosa da imparare dalla Cina (la necessità del lavoro), dagli Stati Uniti (una visione realistica della difesa), dal mondo islamizzato (una demografia sana). Dall’altra, ha cessato di credere che poteva avere da parte sua qualcosa da insegnare al resto del mondo; al contrario sembra credere che ogni genere di civiltà ha lo stesso valore, e che perciò le sue acquisizioni culturali (la scienza matematizzata........

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