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Quella di Gaza non è l’unica guerra in corso per la quale non si riesce ad arrivare a un cessate il fuoco: nonostante negoziati che vanno avanti a Riyadh dal maggio scorso, le Forze armate del Sudan (Saf) del generale golpista Abdel Fattah al-Burhan e le milizie conosciute come “Forze di sostegno rapido” (Rsf) del signore della guerra Mohamed Hamdan Dagalo detto “Hemedti”, che si combattono dal 15 aprile scorso, non riescono a concordare una tregua umanitaria, né a rispettare la “Dichiarazione di impegno a proteggere i civili del Sudan” che avevano sottoscritto grazie ai buoni uffici di Arabia Saudita e Stati Uniti.

L’avanzata di Rsf

Nel frattempo, a conquistare posizioni sul terreno sono i miliziani delle Rsf, che fra la fine di ottobre e la prima settimana di novembre hanno conquistato quasi tutte le principali città del Darfur (una regione grande come la Spagna sul lato occidentale del Sudan) grazie al supporto di gruppi armati delle tribù arabizzate della regione. Fino a quel momento milizie e reparti dell’esercito si fronteggiavano a Nyala, Zalingei e Geneina, teatro di sporadici scontri. Ora tutte e tre le località del Darfur sono sotto il controllo di Rsf e alleati, che si sono abbandonati a massacri di civili e a violenze sulle donne per tre giorni nella località di Ardamata al confine col Ciad, dove sono state uccise mille persone di etnia masalit che vivevano in un campo per sfollati interni.

Combattimenti e massacri della stessa portata potrebbero verificarsi molto presto ad El Fasher, la capitale del Darfur settentrionale, dove si trovano campi per sfollati popolati da profughi di etnia zaghawa sotto la protezione delle Saf. Sempre più si sta assistendo a una ripetizione del conflitto di vent’anni fa, quando le tribù arabe della regione (rezigat, messiria, beni halba, taisha, habbaniya, ziyaddiya, fulbé, ja’aliyin, djawama, meidob habania, beni hussein, ateefat, humur, khuzam, khawabeer, beni jarrar, batahin, mahameed e ma’aliyah) si organizzarono in bande armate a cavallo note col nome di Janjaweed e, col sostegno dell’esercito di Khartoum, massacrarono 300 mila appartenenti alle etnie africane della regione: fur, masalit, zaghawa, bideyat, tama, mima, berti, bargo, kanein, birgid, dajo, tunjur, berti, kuraan, erenga, kanein, barno, mararit, fellata, jebel, sambat, hadahid e gimir.

Gli scontri

Effettivamente molti combattenti delle Rsf, compreso il loro capo supremo Mohamed Hamdan Dagalo e suo fratello Abdelrahim Hamdan Dagalo, provengono dalle file dei Janjaweed, che nel 2013 vennero associati ufficialmente alle Saf sudanesi sotto la sigla Rapid Support Forces per combattere meglio i ribelli del Kordofan settentrionale e del Kordofan meridionale.

La collaborazione fra le due entità ha funzionato fino all’aprile scorso, quando la prospettiva dello scioglimento delle Rsf e del riassorbimento dei loro effettivi nei ranghi dell’esercito ha causato la ribellione dei fratelli Dagalo.

Scoppiati nella capitale Khartoum, gli scontri si sono estesi a molte aree del paese, che ha una superficie pari a sei volte l’Italia. Attualmente i militari controllano le aree a est del Nilo (le più fertili del paese) e Port Sudan, il principale sbocco al mare del paese; i miliziani controllano l’ovest, dove si trovano le miniere d’oro. Restano contese Khartoum e Omdurman, le due città gemelle alla confluenza fra Nilo Bianco e Nilo Azzurro, che insieme totalizzano più di 3 milioni di abitanti. Qui le Rsf assediano le caserme delle Saf, ma non riescono a prendere il sopravvento a causa delle forze dell’aviazione e dei droni di cui i governativi dispongono.

Egitto ed Emirati Arabi Uniti

I due fronti si avvalgono del sostegno di due paesi stranieri ben riconoscibili, anche se uno di questi nega di essere coinvolto nel conflitto. Le Saf sono storicamente legate alle forze armate e al governo dell’Egitto, mentre le Rsf ricevono ingenti aiuti militari dagli Emirati Arabi Uniti (che negano).

L’Egitto ha fornito nel settembre scorso alle forze di Abdel Fattah al-Burhan droni turchi Bayrakhtar TB2 identici a quelli forniti dalla Turchia all’Ucraina, e ha addestrato al loro uso personale sudanese nel settembre scorso. Invece nella remota località ciadiana di Amdjarass al confine col Sudan dal maggio scorso atterrano aerei cargo provenienti dagli Emirati Arabi Uniti (Eau), col pretesto di rifornire un ospedale destinato a curare profughi del conflitto sudanese. In realtà i campi profughi si trovano molto più a sud, e l’aeroporto di Amdjarass serve a far arrivare alle Rsf missili anticarro russi Kornet, droni, fucili d’assalto e munizioni. Altre armi dello stesso tipo arrivano agli uomini di Dagalo dai depositi del Gruppo Wagner nel vicino Centrafrica.

Oltre 10 mila vittime

Il leader delle Rsf e gli Emirati sono in affari da anni: il primo ha reso disponibili un corpo di spedizione di alcune migliaia di uomini che hanno combattuto al fianco dei militari degli Eau nella guerra dello Yemen, i secondi hanno investito nel settore agricolo e in quello minerario del Sudan, e si aspettano di poter disporre in futuro di un porto sulle acque del Mar Rosso 200 chilometri più a nord di quello di Port Sudan (che attualmente è sotto il controllo delle Saf), per il quale nel dicembre dell’anno scorso firmarono un accordo che prevedeva investimenti per 6 miliardi di dollari.

Nel frattempo il numero dei morti causati direttamente dal conflitto esploso nell’aprile scorso ha superato le 10.400 unità all’inizio di novembre, cifra a cui vanno aggiunte le mille vittime di Ardamata. Secondo l’Alto Commissariato per i profughi delle Nazioni Unite la guerra ha causato finora 4,8 milioni di profughi interni e 1,2 milioni di rifugiati nei paesi confinanti. Secondo l’Ufficio per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) delle Nazioni Unite, 24,7 milioni di persone in Sudan hanno attualmente bisogno di aiuti internazionali, pari alla metà di tutta la popolazione.

QOSHE - Massacro continuo in Darfur - Rodolfo Casadei
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Massacro continuo in Darfur

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15.11.2023

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Quella di Gaza non è l’unica guerra in corso per la quale non si riesce ad arrivare a un cessate il fuoco: nonostante negoziati che vanno avanti a Riyadh dal maggio scorso, le Forze armate del Sudan (Saf) del generale golpista Abdel Fattah al-Burhan e le milizie conosciute come “Forze di sostegno rapido” (Rsf) del signore della guerra Mohamed Hamdan Dagalo detto “Hemedti”, che si combattono dal 15 aprile scorso, non riescono a concordare una tregua umanitaria, né a rispettare la “Dichiarazione di impegno a proteggere i civili del Sudan” che avevano sottoscritto grazie ai buoni uffici di Arabia Saudita e Stati Uniti.

L’avanzata di Rsf

Nel frattempo, a conquistare posizioni sul terreno sono i miliziani delle Rsf, che fra la fine di ottobre e la prima settimana di novembre hanno conquistato quasi tutte le principali città del Darfur (una regione grande come la Spagna sul lato occidentale del Sudan) grazie al supporto di gruppi armati delle tribù arabizzate della regione. Fino a quel momento milizie e reparti dell’esercito si fronteggiavano a Nyala, Zalingei e Geneina, teatro di sporadici scontri. Ora tutte e tre le località del Darfur sono sotto il controllo di Rsf e alleati, che si sono abbandonati a massacri di civili e a violenze sulle donne per tre giorni nella località di Ardamata al confine col Ciad, dove sono state uccise mille persone di etnia masalit che........

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