Papa Francesco durante la visita in Congo del febbraio 2023 (foto Ansa) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Un certo numero di sprovveduti si è stupito che le resistenze più forti a Fiducia supplicans, la dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede che ammette le benedizioni a coppie irregolari e di persone dello stesso sesso, siano arrivate dai vescovi dell’Africa sub-sahariana. Ma come, si sono detti alcuni, non sono quelle le periferie che l’attuale pontificato ha portato al centro dell’ermeneutica della Chiesa contemporanea e per le quali tanto si sta spendendo? Il fatto è che una cosa è riempirsi la bocca con formule ad effetto sulle periferie geografiche del mondo globalizzato, come fanno tanti difensori autoproclamati e non richiesti del Pontefice, un’altra è tenere conto di tutti i connotati delle società e delle culture che restano marginali rispetto ai grandi processi di unificazione e omologazione in corso.

Perché la Chiesa africana protesta

Per capire la reazione degli africani alla prospettiva di benedizioni a coppie dello stesso sesso basterebbe qualche rudimento sulle loro culture tradizionali, la cui influenza nel bene e nel male persiste; suggerire, come ha fatto qualcuno, che la renitenza dei vescovi africani dipenderebbe dalla vigenza di leggi estremamente severe contro l’omoerotismo in alcuni paesi del continente, le quali esporrebbero a rappresaglie penali chi benedice e chi viene benedetto, è travisare il senso delle cose: l’opposizione dei vescovi e in generale dei cristiani dell’Africa nera al genere di benedizioni ammesso da Fiducia supplicans affonda le sue radici propriamente nella cultura africana, là dove questa si incontra coi valori del Vangelo relativi alla vita e alla famiglia.

Mentre generalmente non accettano la persecuzione penale degli omosessuali, implicita nei provvedimenti omofobi introdotti da alcuni governi, considerano un peccato grave l’omosessualità attiva anche quando le leggi del paese non la puniscono. Il primo esempio che viene in mente è quello del cardinale Fridolin Ambongo Besungu arcivescovo di Kinshasa e presidente del Celam, la Conferenza dei vescovi di tutta l’Africa: nella Repubblica Democratica del Congo, di cui il cardinale è cittadino, l’omosessualità non è affatto proibita o punita dalle leggi, ma il pastore ha criticato il documento romano e ha prospettato un pronunciamento in merito di tutte le conferenze ecclesiali del continente.

La nozione di “corrente vitale”

Perché gli africani, anche quelli che omofobi non sono, esprimono un radicato giudizio negativo sugli atti omoerotici? Perché al cuore di tutte le civiltà africane c’è la trasmissione della vita, intesa non semplicemente come fatto biologico, ma come realtà spirituale di natura eminentemente collettiva. Al centro della visione del mondo africana, sia in ambito bantù che nelle aree nilotiche e in quelle saheliane, ci sono i concetti di comunione vitale e di corrente vitale. Che cos’è la corrente vitale? È la relazione ontologica che lega ogni essere umano ai suoi genitori, ai suoi fratelli e sorelle, ai parenti consanguinei, ma anche agli antenati e a coloro che nasceranno in futuro, i pronipoti. Più in generale, è ciò che accomuna un clan, inteso come l’insieme di tutti coloro che sono discendenti (o che lo diventeranno nascendo) di un unico antenato.

Questa unione vitale è una realtà allo stesso tempo materiale e spirituale. Non solo comprende i corpi e le anime di tutti coloro che appartengono, che sono appartenuti (i morti) e che apparterranno (i pronipoti) alla famiglia, ma anche i loro beni materiali, le loro ricchezze, le loro capacità intellettive, ecc. Questa vita non si sviluppa in linea retta, ma percorre una linea circolare: attraverso la morte torna agli antenati, che la restituiscono favorendo il concepimento e la nascita dei discendenti.

Partecipazione, trasmissione, accrescimento

Il rilievo dato alla vita comunitaria in Africa, che tanto emoziona gli occidentali attratti dall’esotico, nasce tutto da qui, da questa idea della corrente vitale: per gli africani vivere significa esistere dentro a una comunità in cui si partecipa alla vita sacra degli antenati. Perciò dopo “corrente vitale” la seconda parola più importante della visione del mondo africana è “partecipazione”. Col concepimento prima e con la nascita poi l’africano è immesso nella corrente vitale specifica di una famiglia, di un clan, di una tribù. Ci sono tante correnti vitali quante sono le famiglie, i clan, le tribù, e ognuna di esse è assorbita nell’ordine superiore. Ogni singolo africano è modellato nel profondo della sua anima da questa corrente che ha in comune con gli altri membri della famiglia, del clan, ecc. Nessuno in Africa esiste individualmente, tutti esistono in quanto partecipano a un “noi” articolato secondo i livelli detti. La filosofia ubuntu, che nasce in ambito bantù, ha una definizione perfetta di questa concezione dell’umano: «Io sono perché noi siamo, ed è perché noi siamo che io sono».

Dopo la parola d’ordine “partecipazione”, le successive sono “trasmissione” e “accrescimento” della vita. La corrente vitale non è una realtà statica: è suscettibile di crescere o di diminuire. Dovere di ogni membro di una famiglia è di trasmettere e accrescere la vita. Essa cresce attraverso le nascite di figli, l’accumulazione di beni materiali o la captazione di altra energia vitale (e qui si aprirebbe la drammatica parentesi della stregoneria, troppo impegnativa per essere trattata in questo contesto). Come avviene invece la diminuzione? Avviene se non ci sono nascite, perché allora si arresta il flusso della vita. Avviene anche con l’aggravamento della povertà materiale. E in terzo luogo avviene per sottrazione della forza vitale, risultato del criminale esercizio della stregoneria da parte di negromanti che “mangiano” l’anima delle loro vittime.

Cristiani, musulmani e animisti uniti

Dovrebbe essere a questo punto lapalissiano che omosessualità, gravidanze extraconiugali, aborti, fecondazioni assistite eterologhe collidono frontalmente con la filosofia comune a tutte le civiltà africane: tutte quelle alterazioni dell’ordine sessuale interrompono nei loro modi specifici l’accrescimento della corrente vitale propria a ciascuna stirpe. L’ostilità degli africani nei confronti dell’omosessualità – condivisa senza sostanziali differenze da cristiani, musulmani e “animisti” – nasce dalla visione del mondo sopra delineata. Non è un atteggiamento a sé stante, è organicamente collegato al rigetto di tutti quegli atti che ostacolano la propagazione della corrente vitale e che recidono il legame con gli antenati, che sono i mediatori della vita (per conto di Dio) anche dopo la loro morte.

Come scriveva il filosofo e pastore anglicano keniano John Mbiti, «la fornicazione, l’incesto, lo stupro, l’adescamento, i rapporti omosessuali, giacere con un parente o con un animale domestico, l’intimità fra parenti, la visione degli organi sessuali dei genitori da parte dei figli, tutte queste cose costituiscono crimini sessuali all’interno di una comunità. La società si occupa di questi delitti in vari modi, e i popoli africani sono molto sensibili alle deviazioni dalla norma accettata relativa a tutti gli aspetti del sesso. Si tratta di un atteggiamento fondamentalmente religioso, dal momento che ogni delitto altera le giuste relazioni della comunità, che include coloro che sono già morti. Per questa ragione, molti di questi delitti esigono di essere seguiti da un rituale di purificazione, che siano o meno fisicamente puniti i colpevoli dell’infrazione, altrimenti si avranno disgrazie». (Jonh Mbiti, African religions and philosophy, Heinemann 1969, pp. 147-48).

I martiri d’Uganda rifiutarono la sodomia

Non tutti conoscono un altro dettaglio non secondario: che i primi martiri cristiani dell’Africa nera riconosciuti dalla Chiesa, i cosiddetti “martiri d’Uganda” trucidati fra il 1885 e il 1887, venerati sia dai cattolici che dagli anglicani, sono i paggi del re baganda Mwanga II che dopo la loro conversione al cristianesimo si negarono alle pratiche sodomitiche a cui venivano sottomessi dal loro sovrano. Non fu questa l’unica ragione della loro uccisione, ma non fu nemmeno una ragione secondaria, dal momento che è messa in evidenza da tutte le narrazioni del loro martirio.

Papa Paolo VI canonizzò nel 1964 i 22 cattolici che facevano parte dei 45 cristiani martirizzati col fuoco dal loro re, Benedetto XV li aveva proclamati beati nel 1920. Quando nel 2015 visitò l’Uganda, papa Francesco si espresse così: «I martiri, sia cattolici che anglicani, sono autentici eroi nazionali. (…) Essi ci ricordano l’importanza che la fede, la rettitudine morale e l’impegno per il bene comune hanno rappresentato e continuano a rappresentare nella vita culturale, economica e politica di questo paese».

@RodolfoCasadei

QOSHE - La Chiesa africana dice “no” alla benedizione delle coppie gay (e l’omofobia non c’entra) - Rodolfo Casadei
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

La Chiesa africana dice “no” alla benedizione delle coppie gay (e l’omofobia non c’entra)

5 0
07.01.2024
Papa Francesco durante la visita in Congo del febbraio 2023 (foto Ansa) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Un certo numero di sprovveduti si è stupito che le resistenze più forti a Fiducia supplicans, la dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede che ammette le benedizioni a coppie irregolari e di persone dello stesso sesso, siano arrivate dai vescovi dell’Africa sub-sahariana. Ma come, si sono detti alcuni, non sono quelle le periferie che l’attuale pontificato ha portato al centro dell’ermeneutica della Chiesa contemporanea e per le quali tanto si sta spendendo? Il fatto è che una cosa è riempirsi la bocca con formule ad effetto sulle periferie geografiche del mondo globalizzato, come fanno tanti difensori autoproclamati e non richiesti del Pontefice, un’altra è tenere conto di tutti i connotati delle società e delle culture che restano marginali rispetto ai grandi processi di unificazione e omologazione in corso.

Perché la Chiesa africana protesta

Per capire la reazione degli africani alla prospettiva di benedizioni a coppie dello stesso sesso basterebbe qualche rudimento sulle loro culture tradizionali, la cui influenza nel bene e nel male persiste; suggerire, come ha fatto qualcuno, che la renitenza dei vescovi africani dipenderebbe dalla vigenza di leggi estremamente severe contro l’omoerotismo in alcuni paesi del continente, le quali esporrebbero a rappresaglie penali chi benedice e chi viene benedetto, è travisare il senso delle cose: l’opposizione dei vescovi e in generale dei cristiani dell’Africa nera al genere di benedizioni ammesso da Fiducia supplicans affonda le sue radici propriamente nella cultura africana, là dove questa si incontra coi valori del Vangelo relativi alla vita e alla famiglia.

Mentre generalmente non accettano la persecuzione penale degli omosessuali, implicita nei provvedimenti omofobi introdotti da alcuni governi, considerano un peccato grave l’omosessualità attiva anche quando le leggi del paese non la puniscono. Il primo esempio che viene in mente è quello del cardinale Fridolin Ambongo Besungu arcivescovo di Kinshasa e presidente del Celam, la........

© Tempi


Get it on Google Play