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Siete delusi perché la maggior parte dei deputati dei partiti francesi di destra ha votato per la costituzionalizzazione dell’aborto? Non vi fate una ragione del fatto che in Grecia il governo conservatore di Kyriakos Mitsotakis abbia introdotto il matrimonio fra persone dello stesso sesso, così come fecero i conservatori britannici nel 2013? Siete perplessi che a volere una legge regionale per il suicidio assistito fosse Luca Zaia, governatore del Veneto a guida leghista da 14 anni a questa parte? Buttatevi a sinistra, e troverete i pensatori conservatori che trovate sempre meno a destra, per non parlare dei politici. È meglio se masticate un po’ di francese, perché in tale lingua è scritto il libro appena pubblicato che reca il titolo Penser le conservatisme à gauche, cioè “Pensare il conservatorismo a sinistra”. Lo ha scritto Amaury Giraud, docente a contratto dell’Università di Montpellier.

Marx e Engels contro la “borghesia rivoluzionaria”

Da Pierre-Joseph Proudhon a Régis Debray, passando per Charles Péguy, George Orwell, Simone Weil, Pasolini e Jean-Claude Michéa, il libro rappresenta un’immersione nella galassia degli intellettuali di sinistra critici della modernità progressista. Quelli di ieri, dell’altro ieri e di oggi che sottoscriverebbero una frase di Michéa, marxista antiprogressista fautore della decrescita e di un socialismo popolare distinto da quello del comunismo storico:

«Se ascolto oggi un uomo di sinistra, lo riconosco dal fatto che non riesce a formulare tre frasi senza usare il verbo discriminare o stigmatizzare, ma ho appena riletto gli otto volumi del Capitale di Marx, e non ho trovato queste due parole neanche una volta».

Marx che è senz’altro un campione della modernità, ma non privo di nostalgie per il mondo che il capitalismo cancellava per sempre, come si legge in certi passaggi del Manifesto del Partito Comunista scritto insieme ad Engels:

«La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria. Dove è giunta al potere, essa ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Essa ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato “pagamento in contanti”. Essa ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, della sentimentalità piccolo-borghese».

Il socialismo secondo Péguy, Weil e Orwell

Giraud procede cronologicamente, e così descrive quattro generazioni di “conservatori di sinistra”: quelli delle origini, contemporanei di Marx (principalmente il già citato Proudhon e Paul Lafargue genero del filosofo tedesco), quelli della generazione successiva, cioè della prima metà del XX secolo che ha visto personalità come il socialista cristiano Péguy, Simone Weil (il radicamento come esigenza dell’anima), il combattente della guerra di Spagna al fianco dei repubblicani ma antistaliniano assoluto George Orwell, che definisce lo spontaneo conservatorismo dei costumi proprio delle classi popolari “common decency” e che in La strada di Wigan Pier scrive:

«La sfortuna è che il socialismo, così come viene generalmente presentato, porta con sé l’idea del progresso meccanico concepito non come un passo necessario, ma come un fine in sé».

La terza generazione è quella della seconda metà degli anni Settanta, incarnata in Francia da Michel Clouscard, che ha mostrato chiaramente come il capitalismo della seduzione sfrutti la liberazione del desiderio, e in Italia da Pasolini, critico dell’omologazione che attraverso il consumismo cancellava la pluralità culturale e antropologica dell’Italia dei borghi e delle campagne.

La generazione di Debray, Michéa, Onfray e Finkelkraut

La quarta generazione si manifesta a cavallo del XX e del XXI secolo fino ai giorni nostri, ed è la più ricca di nomi francesi. Vengono descritti due gruppi, quello dell’approccio conservatore ecologista e favorevole alla decrescita rappresentato da Serge Latouche e Paul Ariès, e quello dei nazionalisti repubblicani incarnato da Debray, Jean-Pierre Chevènement e Laurent Bouvet. In mezzo a questi, un’intera costellazione di intellettuali: Jean-Claude Michéa, Michel Onfray, Christophe Guilluy, Alain Finkielkraut, Jean-Pierre Le Goff, Marcel Gauchet, Denis Collin, Jaime Semprun e, fuori dalla Francia, l’americano Christopher Lasch, autore de La cultura del narcisismo. Manca solo il Jean Julliard del periodo 2010-2023, che passa dal socialismo pro mercato alle idee conservatrici di eredità, filiazione, popolo, identità nazionale, eccetera.

«Leggendo questa galleria di ritratti», scrive Eugénie Bastié nella sua recensione dell’opera su Le Figaro, «si capisce che, se la sinistra non può essere reazionaria, […] non solo può, ma dovrebbe essere conservatrice, per amore di coerenza. In primo luogo perché il capitalismo – il denaro, direbbe Péguy, come unico principio di distribuzione delle gerarchie – è fondamentalmente rivoluzionario. Tradizioni, costumi, usi, corporazioni, ordini sedimentati dal tempo sono tutti ostacoli alla sua fluidità universale. Il Maggio ’68 è servito al mercato così come oggi il woke serve alle grandi multinazionali».

La fantasia dell’uomo autocostruito

Per chi invece volesse subito immergersi nel verbo di uno di questi autori, assaporando una strana miscela di colpi di genio e di opinioni discutibili, il consiglio più giusto probabilmente è quello di buttarsi su Extension du domaine du capital (il titolo è un omaggio al primo romanzo di Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta), dove un intellettuale di sinistra come Michéa spiega come il progressismo della sinistra sia oggi il miglior alleato del capitalismo predatore e perché le grandi multinazionali siano i principali sponsor delle pretese dell’ideologia dell’identità di genere: il “diritto di cambiare sesso” e la maternità surrogata fanno parte della “continua atomizzazione del mondo” (Engels) e della fantasia dell’individuo interamente autocostruito, che sono il motore stesso del capitalismo.

@Rodolfo

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Conservatori anche a sinistra, e proprio perché di sinistra

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11.03.2024
Il profilo del monumento a Karl Marx a Chemnitz, Germania (foto Ansa) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

Siete delusi perché la maggior parte dei deputati dei partiti francesi di destra ha votato per la costituzionalizzazione dell’aborto? Non vi fate una ragione del fatto che in Grecia il governo conservatore di Kyriakos Mitsotakis abbia introdotto il matrimonio fra persone dello stesso sesso, così come fecero i conservatori britannici nel 2013? Siete perplessi che a volere una legge regionale per il suicidio assistito fosse Luca Zaia, governatore del Veneto a guida leghista da 14 anni a questa parte? Buttatevi a sinistra, e troverete i pensatori conservatori che trovate sempre meno a destra, per non parlare dei politici. È meglio se masticate un po’ di francese, perché in tale lingua è scritto il libro appena pubblicato che reca il titolo Penser le conservatisme à gauche, cioè “Pensare il conservatorismo a sinistra”. Lo ha scritto Amaury Giraud, docente a contratto dell’Università di Montpellier.

Marx e Engels contro la “borghesia rivoluzionaria”

Da Pierre-Joseph Proudhon a Régis Debray, passando per Charles Péguy, George Orwell, Simone Weil, Pasolini e Jean-Claude Michéa, il libro rappresenta un’immersione nella galassia degli intellettuali di sinistra critici della modernità progressista. Quelli di ieri, dell’altro ieri e di oggi che sottoscriverebbero una frase di Michéa, marxista antiprogressista fautore della decrescita e di un socialismo popolare distinto da quello del comunismo........

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