Manifestazione “Il patriarcato uccide” a Milano, 25 novembre 2023 (Ansa) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

La tragedia criminale della morte di Giulia per mano dell’ex fidanzato Filippo poteva essere l’occasione di una collettiva ricerca interiore sui motivi del collasso dei rapporti affettivi nell’epoca contemporanea e per un’altrettanto collettiva ascesi che ci aiutasse a liberarci della possessività che sfigura i nostri amori, e a depotenziare quel narcisismo che è parte ineliminabile di ciascuno di noi. Invece la strumentalizzazione politico-ideologica della vicenda, con la criminalizzazione di tutti i maschi in quanto maschi e la chiamata alle armi contro un fantomatico (in Occidente) patriarcato, di cui i maschi continuerebbero ad avvalersi per esercitare un dominio sulle donne, ha provocato nuove fratture politiche e culturali e prospetta una degradazione dei rapporti fra i sessi proprio fra le giovani generazioni, quelle che giustamente si mostrano più sensibili al crimine di femminicidio.

È evidente che gli uomini che non hanno mai esercitato violenze fisiche sulle donne – la grandissima maggioranza degli italiani contemporanei – non potevano che ribellarsi all’ingiunzione di dichiararsi moralmente colpevoli dell’orribile uccisione di Giulia, e guardare a quelli che hanno accettato di farlo (i Serra, i Tajani, ecc.) come a opportunisti che cercano di trarre vantaggi di immagine e quindi di potere da un’ammissione di colpevolezza che non sta in piedi. Ma, dicono i sostenitori della colpevolezza ereditaria e collettiva del maschio (ereditaria e collettiva come quella del peccato originale, o come quella che certi teologi attribuivano agli ebrei per la morte violenta di Cristo), anche coloro che non hanno mai compiuto violenze fisiche sulle donne (tanto meno femminicidi) sono correi nella misura in cui beneficiano, nella vita quotidiana, della stratificazione di potere che è il risultato di millenni di patriarcato.

Accettare un “no”

Il salto logico nel ragionamento è drammatico, perché stabilisce un rapporto fra l’assassinio di Giulia e il patriarcato che palesemente non esiste: Filippo è evidentemente un giovane uomo rimasto bambino capriccioso che non accetta i “no” e che non ha tagliato il cordone ombelicale che lo lega alla mamma; cercava nei rapporti con l’altro sesso l’irripetibile stato fusionale del rapporto madre-figlio dell’esistenza nel grembo materno e nei primissimi anni di vita, dunque non accettava l’alterità di Giulia. Alla radice dell’assassinio c’è una forma patologica di narcisismo, qualunque studioso della psiche umana (psicologo, psicanalista, psichiatra) potrà spiegarlo; ciò non rappresenta un’attenuante delle sue responsabilità penali, così come non costituisce un’attenuante la base biologica (ormonale) dell’aggressività maschile: se le nevrosi e il testosterone rappresentassero delle giustificazioni delle violazioni del codice penale, quasi più nessuno potrebbe essere legittimamente spedito dietro le sbarre di una prigione. Bisogna anche stare molto attenti a considerarli delle attenuanti rispetto al massimo della pena, perché si rischia di attenuare la condanna sociale e dunque il tabù rispetto ai crimini.

La chiamata in causa del patriarcato per una vicenda che niente ha a che fare con esso fa indubbiamente pensare a una strumentalizzazione politica. Anche perché in Occidente il patriarcato ha cominciato a sgretolarsi con l’avvento del capitalismo, per poi franare con la Rivoluzione industriale. Gli ultimi tre secoli, che hanno visto il connubio di capitalismo e rivoluzione industriale, rappresentano il processo di disgregazione del patriarcato, processo ormai giunto a conclusione (in Occidente). Il patriarcato non è funzionale allo sviluppo del capitalismo e alle sue trasformazioni: giunto a un certo stadio di sviluppo, il capitalismo ha bisogno di eliminare la famiglia tradizionale, dunque anche il patriarcato che ne rappresentava il sistema di funzionamento sociale e giuridico. Ed è reso obsoleto dalle scoperte scientifiche e dalle applicazioni tecnologiche che rendono pensabile e praticabile la “parità di genere” nei ruoli sociali.

Parliamo di patriarcato

Nasce perciò un sospetto che è una certezza: oggi si invoca la lotta contro il patriarcato ma il vero obiettivo della lotta è un altro, che non si vuole dichiarare apertamente, e cioè cancellare puramente e semplicemente il padre. Le biotecnologie hanno per oggetto la trasmutazione della procreazione umana in produzione artificiale di esseri umani; per arrivare a questo bisogna eliminare sia la figura del padre che quella della madre. Il padre lo si elimina combattendo i maschi in quanto maschi, fingendo di voler eliminare il (già defunto) patriarcato, la madre la si elimina manipolando il tema della parità di genere: quando i ruoli sociali di maschi e femmine saranno tutti perfettamente intercambiabili, si potrà far accettare alla donna la rinuncia alla maternità, trasferita alle più affidabili ed efficienti macchine. Donna, di che ti lamenti? Non hai più i fastidi della gravidanza e del post-parto, non hai più gli svantaggi competitivi della maternità, puoi lottare in condizioni di parità per il potere con tutti gli altri esseri post-sessuali…

Ma visto che ci tenete tanto a parlare di patriarcato, parliamone (come se ne può parlare su un media generalista). Come tutte le istituzioni di questo mondo, ha una base biologica e una base culturale e storica. La base biologica è universale e invariante, ma chi fa ideologia tende a ignorarla, e allo stesso tempo tende a imporre una lettura anacronistica della storicità del patriarcato. Uomini e donne delle epoche passate non pensavano secondo le nostre categorie, avevano una visione diversa di quella che oggi noi definiamo la “dominazione maschile”. Prima della rivoluzione industriale e soprattutto prima dei progressi scientifici e tecnologici successivi alla Seconda Guerra mondiale uomini e donne vivevano sotto la costante minaccia della morte: morte in battaglia per gli uomini, morte per complicanze della gravidanza, del parto e del post-parto le donne; morte per incursione e razzia nemica (più gli uomini delle donne, che potevano essere fatte prigioniere come bottino di guerra e assimilate), morte per fame, carestia ed epidemia gli uni e le altre. Il patriarcato nasce come risposta storica agli imperativi della sopravvivenza in epoche in cui la vita prolungata era l’eccezione e la morte prematura la regola. Alle sue condizioni (la subordinazione giuridica e sociale della donna all’uomo), il patriarcato protegge la procreazione e la continuazione della vita sia biologica che di relazione presso i differenti gruppi umani. Valorizza la maggiore robustezza fisica e la naturale aggressività maschile a difesa del gruppo, ed esenta le donne dalla guerra per non mettere a repentaglio la loro fecondità.

A livello sociale questo comporta che il potere politico viene riservato ai maschi (le donne che ricoprono posizioni di potere politico lo debbono al fatto che sono figlie di determinati padri) e che la protezione delle femmine coincide con la loro segregazione sotto varie forme. Secondo una lettura tendenzialmente materialista, la compensazione di tutto ciò per quanto riguarda le donne sono state l’idealizzazione della maternità e la devozione per le figure materne, mentre la compensazione della disponibilità al sacrificio in guerra degli uomini sono state l’idealizzazione del potere politico e dell’eroicità in battaglia. In buona sostanza, uomini e donne avrebbero potuto o voluto vivere più tranquillamente, senza andare a battersi in armi e senza partorire pericolosamente, senza il duro onere della corona (Shakespeare) e senza la segregazione per maternità, ma i condizionamenti sociali hanno costretti gli uni e le altre nei loro ruoli. Tuttavia è grazie al fatto che i nostri antenati si sono riconosciuti in quei ruoli che noi discendenti oggi esistiamo e ci godiamo la vita. Forse maschi e femmine del tempo del patriarcato si sentivano veramente realizzati nell’esporsi alla morte in battaglia e alla morte per parto. Forse quello che hanno fatto per millenni risponde veramente a una vocazione profonda del maschile e del femminile. E noi dovremmo loro gratitudine sconfinata, agli uni e alle altre.

Le lotte femministe

Sta di fatto che le cose sono cambiate radicalmente a causa dei progressi della medicina e all’apparizione di tutte le altre tecnologie che hanno relativizzato l’uso della forza fisica e la necessità delle virtù belliche: la mortalità materna e perinatale è fantasticamente crollata nel corso dell’ultimo secolo, e molte (non tutte) attività socialmente necessarie che richiedevano le qualità della biologia maschile oggi possono essere compiute indifferentemente da uomini o da donne perché rese più leggere dai progressi tecnologici. È sostanzialmente questo, e non le lotte femministe, che ha portato al cambiamento delle leggi, delle consuetudini e delle mentalità che assegnavano responsabilità e ruoli in forme ampiamente diseguali a uomini e donne. Le lotte femministe appaiono quando i cambiamenti strutturali della società sono già stati attivati dalla scienza e dalla tecnologia.

È il classico discorso del rapporto fra struttura e sovrastruttura di marxiana memoria: si rivendica una determinata emancipazione quando le condizioni storiche sono mature per la stessa, mai prima, mai in assoluto e in astratto. Nessuno rivendicava l’abolizione della schiavitù ai tempi di san Paolo: non c’erano le condizioni storiche. C’erano rivolte di schiavi che volevano essere liberi, ma queste non mettevano in discussione l’istituzione schiavista come tale. Lo stesso vale per l’emancipazione femminile: le suffragette appaiono nell’Inghilterra – primo paese industrializzato del mondo – alla fine dell’Ottocento, non prima, e non fuori dall’Inghilterra di quel tempo: non c’erano suffragette in Cina, o in India o in Africa nella stessa epoca.

Dunque l’antipatriarcato odierno in assenza di patriarcato assomiglia tantissimo all’antifascismo odierno in assenza di fascismo: sono camuffamenti di lotte che hanno altri obiettivi. Nel primo caso, l’obiettivo è l’abolizione del padre alla quale seguirà l’abolizione della madre; il tutto al servizio dell’artificializzazione della procreazione umana, funzione della volontà di potenza scatenata e illimitata, che conduce l’umano alla rovina.

QOSHE - Con il caso Cecchettin il patriarcato non c’entra nulla - Rodolfo Casadei
menu_open
Columnists Actual . Favourites . Archive
We use cookies to provide some features and experiences in QOSHE

More information  .  Close
Aa Aa Aa
- A +

Con il caso Cecchettin il patriarcato non c’entra nulla

6 8
10.12.2023
Manifestazione “Il patriarcato uccide” a Milano, 25 novembre 2023 (Ansa) @media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner{ float:left; } }

La tragedia criminale della morte di Giulia per mano dell’ex fidanzato Filippo poteva essere l’occasione di una collettiva ricerca interiore sui motivi del collasso dei rapporti affettivi nell’epoca contemporanea e per un’altrettanto collettiva ascesi che ci aiutasse a liberarci della possessività che sfigura i nostri amori, e a depotenziare quel narcisismo che è parte ineliminabile di ciascuno di noi. Invece la strumentalizzazione politico-ideologica della vicenda, con la criminalizzazione di tutti i maschi in quanto maschi e la chiamata alle armi contro un fantomatico (in Occidente) patriarcato, di cui i maschi continuerebbero ad avvalersi per esercitare un dominio sulle donne, ha provocato nuove fratture politiche e culturali e prospetta una degradazione dei rapporti fra i sessi proprio fra le giovani generazioni, quelle che giustamente si mostrano più sensibili al crimine di femminicidio.

È evidente che gli uomini che non hanno mai esercitato violenze fisiche sulle donne – la grandissima maggioranza degli italiani contemporanei – non potevano che ribellarsi all’ingiunzione di dichiararsi moralmente colpevoli dell’orribile uccisione di Giulia, e guardare a quelli che hanno accettato di farlo (i Serra, i Tajani, ecc.) come a opportunisti che cercano di trarre vantaggi di immagine e quindi di potere da un’ammissione di colpevolezza che non sta in piedi. Ma, dicono i sostenitori della colpevolezza ereditaria e collettiva del maschio (ereditaria e collettiva come quella del peccato originale, o come quella che certi teologi attribuivano agli ebrei per la morte violenta di Cristo), anche coloro che non hanno mai compiuto violenze fisiche sulle donne (tanto meno femminicidi) sono correi nella misura in cui beneficiano, nella vita quotidiana, della stratificazione di potere che è il risultato di millenni di patriarcato.

Accettare un “no”

Il salto logico nel ragionamento è drammatico, perché stabilisce un rapporto fra l’assassinio di Giulia e il patriarcato che palesemente non esiste: Filippo è evidentemente un giovane uomo rimasto bambino capriccioso che non accetta i “no” e che non ha tagliato il cordone ombelicale che lo lega alla mamma; cercava nei rapporti con l’altro sesso l’irripetibile stato fusionale del rapporto madre-figlio dell’esistenza nel grembo materno e nei primissimi anni di vita, dunque non accettava l’alterità di Giulia. Alla radice dell’assassinio c’è una forma patologica di........

© Tempi


Get it on Google Play