Nuova Repubblica. La riforma dell’elezione popolare diretta del premier che arriva oggi in Consiglio dei ministri è un fatto storico. Uno spartiacque che segna un prima e un dopo. Il suo significato, ridotto all’osso, è semplice: far scegliere direttamente ai cittadini da chi essere governati, senza restare in balìa dei giochi di palazzo. Nel Paese dei bizantinismi e dei Governi nati e caduti nelle segrete stanze è qualcosa di mai visto prima. Una rivoluzione culturale, prima ancora che costituzionale. L’Esecutivo ha opportunamente scartato l’ipotesi di una semplice indicazione del presidente del Consiglio, che avrebbe cambiato poco o nulla del quadro costituzionale esistente, introducendo poi la garanzia che la maggioranza che vince nelle urne non possa essere ribaltata in Parlamento. Chi perde va all’opposizione e chi vince governa per cinque anni: è così che funziona nelle democrazie mature. Certo, il premierato non è il presidenzialismo e non altera l’attuale equilibrio dei poteri tra Parlamento, Governo e Capo dello Stato. Tuttavia, se approvato, costituirebbe comunque un passo in avanti decisivo sulla strada di quella democrazia decidente imprescindibile per la modernizzazione della Nazione. Un sistema politico che sia capace non solo di rappresentare ma anche di decidere rapidamente, infatti, è una scelta ineludibile. Oggi più che mai. Le Nazioni più moderne sono quelle che hanno più velocità, più complessità, più libertà. Le altre sono meno veloci e restano indietro. Ciò che relega l’Italia nell’elenco delle Nazioni non sufficientemente moderne è essenzialmente la lentezza decisionale del suo sistema politico. Una caratteristica che fa a pugni con la velocità con cui si muove la società. Quest’ultima è dinamica, rapida, il suo tessuto economico e imprenditoriale è dotato di una capacità di adattamento straordinaria. Di contro abbiamo un sistema politico farraginoso ed incerto, unito ad un potere pubblico pachidermico e spesso vessatorio. La differenza tra l’una e l’altro diventa limitazione dei diritti dei cittadini, minore competitività delle imprese, difficoltà e lentezza dello Stato nel soddisfare adeguatamente diritti e bisogni. Le inesauribili ragioni di chi vede nella “lentocrazia” italiana uno dei tarli che maggiormente scavano nel rapporto tra governanti e governati, minando sempre di più la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e diffondendo disaffezione e rassegnazione, vedono oggi nell’iniziativa del Governo un’occasione unica per battere le resistenze conservatrici che ogni volta si manifestano quando vengono posti i temi del rinnovamento costituzionale. L’elezione diretta del premier può certamente contribuire a ricucire il filo spezzato della partecipazione, che si rivela ad ogni tornata elettorale sempre più scarsa. Inoltre, il premio di maggioranza al 55% previsto dal testo garantirebbe la stabilità dell’Esecutivo, mettendolo al riparo dai ricatti dei partitini dello zero virgola. Meloni è arrivata a presentare la riforma dopo un anno di governo, dimostrando senso di responsabilità, consultando tutte le forze politiche e senza mostrare i muscoli, come pure avrebbe potuto: è un invito alle opposizioni a collaborare per l’Italia. Un invito che le sinistre non dovrebbero lasciar cadere nel vuoto. «La Costituzione non si tocca» continua invece ad essere la parola d’ordine di Schlein, Conte e compagni. Evidentemente la decadenza delle istituzioni e il loro progressivo logorio da quelle parti non interessa. Pazienza. Se così sarà, si andrà ad un referendum confermativo che si annuncia molto diverso da quelli falliti in precedenza. Chi scommette sul fatto che Meloni farà la fine di Renzi, clamorosamente sconfitto nella consultazione del 2016 che gli costò le dimissioni, si sbaglia di grosso. Se anche il voto si trasformasse in un plebiscito su di lei, infatti, per la premier diventerebbe l’occasione per fissare in maniera definitiva la propria leadership. Aspettare per vedere.

QOSHE - Premierato, la rivoluzione della democrazia decidente - Vincenzo Nardiello
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Premierato, la rivoluzione della democrazia decidente

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03.11.2023

Nuova Repubblica. La riforma dell’elezione popolare diretta del premier che arriva oggi in Consiglio dei ministri è un fatto storico. Uno spartiacque che segna un prima e un dopo. Il suo significato, ridotto all’osso, è semplice: far scegliere direttamente ai cittadini da chi essere governati, senza restare in balìa dei giochi di palazzo. Nel Paese dei bizantinismi e dei Governi nati e caduti nelle segrete stanze è qualcosa di mai visto prima. Una rivoluzione culturale, prima ancora che costituzionale. L’Esecutivo ha opportunamente scartato l’ipotesi di una semplice indicazione del presidente del Consiglio, che avrebbe cambiato poco o nulla del quadro costituzionale esistente, introducendo poi la garanzia che la maggioranza che vince nelle urne non possa essere ribaltata in Parlamento. Chi perde va all’opposizione e chi vince governa per cinque anni: è così che funziona nelle democrazie mature. Certo, il premierato non è il presidenzialismo e non altera l’attuale equilibrio........

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