Libertà è partecipazione. Ma stavolta Giorgio Gaber non c’entra nulla. Se quella del premierato è stata definita da Giorgia Meloni «la madre di tutte le riforme», la partecipazione dei lavoratori agli utili delle aziende ne è il padre. Perché libertà è partecipazione non solo politica, ma anche economica. La legge delega del centrodestra che riscrive la proposta delle opposizioni sul salario minimo, in queste ore al centro di una dura battaglia tra gli schieramenti in commissione Lavoro della Camera, contiene anche l’impegno a «disciplinare modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili d’impresa». Se questa norma venisse attuata, l’intero sistema economico ne trarrebbe grandi benefici. L’impresa è lo strumento per creare ricchezza e benessere; cogestione e partecipazione sono il volano per aumentarne la redditività e con essa i salari e la produttività dei dipendenti. È esattamente ciò che accade in quelle particolari categorie di aziende dove già oggi esistono meccanismi premianti che incentivano la qualità e l’efficienza del lavoro: se le maestranze guadagnano di più e sono maggiormente responsabilizzate, le aziende aumentano i loro ricavi. Sono i numeri a dirlo. La conseguenza è che il conflitto è ridotto al minimo. Alla base della partecipazione agli utili dell’impresa, infatti, c’è una vera e propria rivoluzione: la sconfitta della cultura del secolo scorso che sulla lotta e la contrapposizione degli interessi ha costruito un intero modello politico e socio-economico. A sindacati come Cgil e Uil che rilanciano la cultura del conflitto con i loro scioperi generali, il centrodestra contrappone la collaborazione tra lavoratori e imprenditori. Non è un caso che nella storia repubblicana l’idea partecipativa abbia trovato i suoi più accesi sostenitori a destra e nel cattolicesimo sociale, ma non a sinistra. Questa è la principale ragione per la quale l’articolo 46 della Costituzione, che pure prevede che «la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende», è rimasto lettera morta. È evidente che le idee di collaborazione tra capitale e lavoro erano e sono del tutto incompatibili con le culture di derivazione marxista e di classe. In realtà, dietro la facciata di un compromesso considerato inaccettabile con i “padroni”, si nascondeva e si nasconde il timore della sinistra politica e sindacale di perdere una delle sue ragioni costitutive: il conflitto sociale permanente. Un’arma sempre pronta ad essere tirata fuori, come testimonia ciò che sta accadendo proprio in queste settimane: Pd e Cgil sono protagonisti di una rincorsa ad inseguire il disagio in chiave anti-governativa, finalizzata a ristabilire un’egemonia ormai ampiamente perduta su un mondo del lavoro che non esiste più. Nelle imprese occidentali moderne, infatti, non possono più esserci conflitto e contrapposizione, perché in questo modo si sottraggono risorse ed energie alla battaglia competitiva globale che il nostro sistema produttivo non può più permettersi. Proprio per questo non bastano più singoli esempi, non è più sufficiente affidarsi alla buona volontà di questa o quella impresa, di questa o quella organizzazione dei lavoratori (la Cisl da tempo ha avviato una raccolta di firme per una proposta di legge popolare in materia): la partecipazione agli utili deve riguardare tutti, senza discriminazioni. Inoltre, la partecipazione è l’unica arma che abbiamo per provare a governare - senza esserne travolti - i giganteschi processi di riorganizzazione produttiva cui andiamo incontro (si pensi solo alle sfide dell’intelligenza artificiale e della transizione ecologica). Per questo occorre una legge quadro dove lo Stato faccia la sua parte, defiscalizzando gli utili distribuiti ai lavoratori e riconoscendone il diritto alla partecipazione, secondo il principio che alla creazione del valore dell’impresa concorrono anche i suoi dipendenti. Si chiama democrazia partecipativa. Ed è la ricetta per opporsi al declino.

QOSHE - Partecipazione dei lavoratori, rivoluzione per la nuova Italia - Vincenzo Nardiello
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Partecipazione dei lavoratori, rivoluzione per la nuova Italia

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25.11.2023

Libertà è partecipazione. Ma stavolta Giorgio Gaber non c’entra nulla. Se quella del premierato è stata definita da Giorgia Meloni «la madre di tutte le riforme», la partecipazione dei lavoratori agli utili delle aziende ne è il padre. Perché libertà è partecipazione non solo politica, ma anche economica. La legge delega del centrodestra che riscrive la proposta delle opposizioni sul salario minimo, in queste ore al centro di una dura battaglia tra gli schieramenti in commissione Lavoro della Camera, contiene anche l’impegno a «disciplinare modelli di partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili d’impresa». Se questa norma venisse attuata, l’intero sistema economico ne trarrebbe grandi benefici. L’impresa è lo strumento per creare ricchezza e benessere; cogestione e partecipazione sono il volano per aumentarne la redditività e con essa i salari e la produttività dei dipendenti. È esattamente ciò che accade in quelle particolari categorie di aziende dove già oggi esistono........

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