A lezione di realtà. E di futuro. La dirompente forza delle argomentazioni di Mario Draghi mette spalle al muro i burocrati dello zero virgola. La rotta indicata dall’ex premier italiano ai ministri Ue delle Finanze è stata netta: servono almeno 500 miliardi d’investimenti l’anno, e per finanziarli va emesso debito pubblico comune europeo. Complice la distrazione provocata dal voto in Sardegna, nessuno nel Governo italiano ha evidenziato con la dovuta energia come le parole di Draghi vadano nella stessa direzione indicata in questi mesi dall’Esecutivo. L’unico ad averci provato è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ma lo ha fatto in maniera timida. Quasi di sfuggita. Come se Palazzo Chigi temesse di apparire troppo in sintonia con l’ex presidente della Bce. Remore eccessive e inspiegabili, perché la sintesi del discorso draghiano è dirompente: serve un’altra Europa. Che è esattamente ciò che affermano i conservatori. La continua erosione del ceto medio e il contesto geopolitico segnato da due guerre, le cui conseguenze ci investono in pieno, rendono non più rinviabile l’esigenza di un nuovo assetto che ponga la crescita economica e la salvaguardia della coesione sociale al centro dell’azione europea. Ma per farlo sono necessari capitali pubblici che dimostrino uno sforzo comune del Vecchio Continente, senza il quale sarà impossibile attrarre e mobilitare gli indispensabili capitali privati. Le cause del nostro declino sono chiare e Draghi le ha esposte in maniera lucida: l’Europa non c’è, non fa politica industriale come gli americani e i cinesi, né ha peso nelle grandi scelte di geopolitica che nel nuovo disordine globale condizionano tutto. Mentre gli altri impegnano massicce somme per investimenti produttivi, noi con le regole dello zero virgola ci siamo castrati da soli, facendo venire a mancare la leva degli investimenti pubblici. E l’Italia, Nazione industriale e seconda manifattura d’Europa, rischia di pagare il conto più salato di questo circolo perverso. Per questo l’ex premier propone «un fondo dedicato o un prestito comune», al fine di raggranellare le risorse che i singoli Stati non hanno la forza economica di mettere in campo. Sì tratta, in pratica, di una sorta di Pnrr permanente: solo così potremo avere le forze necessarie a reggere l’urto di una concorrenza internazionale sempre più aggressiva, a cominciare dalla Cina. La conseguenza politica sottesa alle parole di Draghi è che bisogna costruire un’Europa dotata di nuove regole, figlia di un rinnovato equilibrio tra istituzioni Ue e Stati nazionali e che non sia più basata sulla legge del più forte, com’è oggi. Una vera Europa confederale. Sono proposte economiche che hanno chiaramente bisogno di una gamba politica su cui camminare: il centrodestra caldeggia da tempo questo sviluppo istituzionale, dunque ha tutto l’interesse ad essere in prima linea nel sostenere questo progetto. Il punto, però, è che la sola idea di un fondo sovrano europeo fa venire l’orchite ai Paesi del Nord. A cominciare dalla Germania. È la sfida degli eurobond che è stata indicata anche dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, con un titolo sovrano privo di rischio emesso a livello continentale. Se vogliamo che i cittadini vadano a votare per le elezioni europee, Bruxelles deve dimostrare che l’Europa c’è. Abbiamo bisogno di regole che siano contemporaneamente rigorose per assicurare la credibilità delle finanze dei governi, ma flessibili per consentirci di reagire agli choc economici. Con il nuovo Patto di stabilità, invece, si continua ad andare nella direzione opposta. Non a caso la Commissione europea ha dovuto rivedere al ribasso le previsioni economiche già per quest’anno. Se l’accordo sulle nuove regole ha confermato la gabbia tedesca di sempre, sia pure mitigata da una maggiore flessibilità temporale, il piano Draghi rappresenta il grimaldello per rimettere tutto in discussione. È un’occasione che il Governo italiano farebbe bene a non perdere. L’alternativa è la prigione dell’irrilevanza.

QOSHE - La sveglia di Draghi all’Ue fa da apripista al Governo - Vincenzo Nardiello
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La sveglia di Draghi all’Ue fa da apripista al Governo

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02.03.2024

A lezione di realtà. E di futuro. La dirompente forza delle argomentazioni di Mario Draghi mette spalle al muro i burocrati dello zero virgola. La rotta indicata dall’ex premier italiano ai ministri Ue delle Finanze è stata netta: servono almeno 500 miliardi d’investimenti l’anno, e per finanziarli va emesso debito pubblico comune europeo. Complice la distrazione provocata dal voto in Sardegna, nessuno nel Governo italiano ha evidenziato con la dovuta energia come le parole di Draghi vadano nella stessa direzione indicata in questi mesi dall’Esecutivo. L’unico ad averci provato è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. Ma lo ha fatto in maniera timida. Quasi di sfuggita. Come se Palazzo Chigi temesse di apparire troppo in sintonia con l’ex presidente della Bce. Remore eccessive e inspiegabili, perché la sintesi del discorso draghiano è dirompente: serve un’altra Europa. Che è esattamente ciò che affermano i conservatori. La continua erosione del ceto medio e il contesto........

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