Guai a sottovalutare. È un errore pensare che in qualche modo l’incendio si spegnerà da solo. Probabilmente per stanchezza, certamente perché quelli lì gli agricoltori più di tanto in piazza non potranno starci perché è gente che deve tornare a lavorare. Altrimenti il pane a casa non lo porta. Stavolta è diverso. La protesta è nata dal basso e in maniera diffusa, si svolge al di fuori dei canali istituzionali di sindacati e associazioni che sono anzi nel mirino dei contestatori ed è vero che è diretta soprattutto contro le politiche folli dell’Unione europea, ma non va dimenticato che le decisioni dell’Ue le fanno in gran parte i governi nazionali. Inoltre, si tratta di una ribellione che anche quando si esprime nella sua forma finora più estrema, quella dei blocchi stradali, incontra comunque la solidarietà popolare. La gente sa che gli agricoltori non sono i figli di papà che imbrattano monumenti e bloccano il traffico, ma hanno i calli alle mani e il viso scavato dalla fatica: se vanno in piazza è perché è in gioco la loro sopravvivenza. L’assedio dei trattori al cuore dell’Europa di Bruxelles, agli illusionisti dei boschi verticali e ai nuovi feudatari della finanza che decidono il prezzo del grano dai loro computer, è il segnale più potente della necessità di una nuova politica europea che lasci a casa la finanziarizzazione dell’economia e l’ideologia verde. È un gigantesco “basta” a chi impone traguardi ecologici realizzabili solo a scapito della crescita. Si tratta di obiettivi che rischiano di deindustrializzarci, invece che aprire nuove prospettive industriali. Questo fanatismo europeo in nome di qualche target ambientale che non migliora di una virgola la crisi climatica, serve solo a mettere in ginocchio i produttori, facendo finta d’ignorare che i nostri già oggi sono all’avanguardia rispetto a tanti altri per standard ambientali. Davanti alla collera dei nuovi gilet verdi Bruxelles tenta di mettersi al riparo, proponendo salvaguardie rafforzate nei confronti del grano ucraino, e di tenere sospeso un altro anno l’obbligo di mettere a riposo il 4% dei terreni per poter ottenere i finanziamenti comunitari. Una pazzia che significa sussidiare gli agricoltori perché non producano. Nel mezzo ci sono l’accordo di libero scambio tra l’Ue e il Sudamerica, che rischia di danneggiare le produzioni nazionali, e l’enorme problema dell’aumento dei prezzi dell’energia tutt’altro che risolto. Il tutto a fronte di redditi che in troppi casi sfiorano la pura sussistenza. Un mix esplosivo. Per questo il Governo italiano farebbe bene a non limitarsi solo ad ascoltare il grido di dolore degli agricoltori, ma ad agire subito dando tre segnali concreti. Primo: intervenendo sulla filiera con una vera e seria operazione di trasparenza. Occorre una più equa distribuzione del valore aggiunto, garantendo la giusta redditività alle aziende agricole. Secondo: usando i fondi del Pnrr per aumentare innanzitutto la produzione nazionale di beni essenziali quali cereali e grano, per i quali dipendere dall’estero è pericoloso. Terzo: reintroducendo anche per il 2024 l’esenzione Irpef per i redditi agrari e dominicali. Farlo non sarebbe un segnale di debolezza, ma di forza. In fondo si tratta di poche centinaia di milioni l’anno: un’inezia di fronte agli oltre mille miliardi di spesa pubblica. Non dovrebbe essere difficile trovare una copertura alternativa. È vero, l’Esecutivo ha messo 300 milioni del Fondo per le emergenze climatiche in agricoltura e pesca, mentre altri 800 milioni sosterranno il rinnovo delle attrezzature per aumentare la produttività. Tuttavia, mentre l’Irpef gli agricoltori la pagheranno subito e vedranno uscire soldi veri dalle loro tasche già semivuote, l’esperienza insegna che fondi e sostegni ci mettono tempo ad arrivare, e non sempre giungono nella misura attesa e a chi ne ha veramente più bisogno. Occorre cambiare radicalmente una politica europea fallimentare. Intanto, però, la politica nazionale faccia la sua parte.

QOSHE - La rabbia degli agricoltori contro i nuovi feudatari Ue - Vincenzo Nardiello
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La rabbia degli agricoltori contro i nuovi feudatari Ue

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02.02.2024

Guai a sottovalutare. È un errore pensare che in qualche modo l’incendio si spegnerà da solo. Probabilmente per stanchezza, certamente perché quelli lì gli agricoltori più di tanto in piazza non potranno starci perché è gente che deve tornare a lavorare. Altrimenti il pane a casa non lo porta. Stavolta è diverso. La protesta è nata dal basso e in maniera diffusa, si svolge al di fuori dei canali istituzionali di sindacati e associazioni che sono anzi nel mirino dei contestatori ed è vero che è diretta soprattutto contro le politiche folli dell’Unione europea, ma non va dimenticato che le decisioni dell’Ue le fanno in gran parte i governi nazionali. Inoltre, si tratta di una ribellione che anche quando si esprime nella sua forma finora più estrema, quella dei blocchi stradali, incontra comunque la solidarietà popolare. La gente sa che gli agricoltori non sono i figli di papà che imbrattano monumenti e bloccano il traffico, ma hanno i calli alle mani e il viso scavato dalla fatica: se........

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