Attendere prego. Anche se continuare a farlo fa male alla salute. A quella di famiglie e imprese. La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha detto che a giugno, se i dati confermeranno la convergenza dell’inflazione verso il 2%, «sarebbe opportuno ridurre» i tassi d’interesse. Bontà sua, vuol dire che ci possiamo scordare un taglio in tempi ragionevolmente brevi. E questo nonostante gli indicatori siano concordi già da mesi nel mostrare che le aspettative d’inflazione sono perfettamente in linea con il target fissato dalla Bce. Allora perché perdere altro tempo prezioso per dare un po’ di respiro all’economia produttiva? Si tratta di una decisione autolesionistica, che dimentica che i tassi sono saliti rapidamente e l’economia è scesa ancora più rapidamente. Aspettare altri due mesi per iniziare ad abbassare il costo del denaro, significa dimenticare che gli alti tassi d’interesse frenano gli investimenti, aumentano i costi per le imprese e la gente comune; soprattutto per chi dipende dal credito per pagare cose essenziali come un’auto per andare al lavoro, un frigorifero o anche, sempre più spesso, le bollette domestiche. Per tacere dei mutui. Ma questo alla Banca centrale lo sanno benissimo: sono stati loro, infatti, a tagliare le stime del Pil per il 2024 dallo 0,8% allo 0,6%. Per aumentare il potenziale di crescita ed uscire dalla trappola dello zero virgola avremmo bisogno d’investimenti privati, che sono frenati proprio dal costo del credito. Resterebbero quelli pubblici, ma questi Pnrr a parte dovranno fare i conti col nuovo Patto di Stabilità, la cui rapida attuazione è stata ribadita dall’ultima riunione dei ministri dell’Economia dell’area euro. Lo stesso commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha dovuto ammettere che sarà «davvero difficile» trovare un equilibrio per evitare che «il tanto necessario aggiustamento fiscale» non porti «a un taglio degli investimenti». Tutto questo accade mentre i mercati europei sono invasi da imprese di Usa e Cina che attuano politiche fiscali espansive e concorrenza sleale. Soprattutto, a non convincere è la motivazione utilizzata per giustificare l’ennesimo rinvio del taglio dei tassi: l’insistenza sull’attesa per i dati relativi alla dinamica salariale. Non ci vuole certo un fine economista per sapere che con gli ultimi rinnovi contrattuali ci sono stati sì degli aumenti, ma che questi non sono per nulla in grado di riaccendere la dinamica dei prezzi. I rischi semmai vengono dal petrolio e dall’instabilità geopolitica mondiale, mica dai salari. Stiamo parlando di accordi parziali e a macchia di leopardo, tesi a recuperare peraltro solo in parte l’enorme perdita del potere d’acquisto patita negli anni più recenti a causa di un’inflazione che era stata galoppante. Che cosa significa? Che questi dati non possono rappresentare un’indicazione prospettica di dove si porterà l’inflazione. Insomma, si tratta di un argomento debolissimo per giustificare l’ingiustificabile. L’attenzione a non far pagare un conto all’economia reale superiore a quello già patito per domare il mostro dell’inflazione, dovrebbe essere in cima ai pensieri di tutti i decisori politici ed economici. Invece, con la scusa della totale autonomia della Bce, tutti danno per acquisito che la riduzione dei tassi possa ancora aspettare. Ma in questo modo la pressione su chi deve decidere è nulla. Questo vale soprattutto per l’Italia, dove il costo del denaro influisce sul surplus di spesa per interessi che paghiamo per poter collocare i titoli del debito pubblico. Si doveva avere il coraggio di capire che la durata della fase restrittiva doveva essere più breve per «scongiurare il rischio di tornare agli insoddisfacenti tassi di crescita del passato», come aveva sottolineato nella sua prima uscita pubblica anche il governatore di Bankitalia, Fabio Panetta. Anche questo dovrebbe far parte della riforma europea di cui tanto si chiacchiera. Invece niente. Neanche se ne parla. E la ripresa può attendere.

QOSHE - La Bce non allenta il cappio e la ripresa può attendere - Vincenzo Nardiello
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La Bce non allenta il cappio e la ripresa può attendere

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13.04.2024

Attendere prego. Anche se continuare a farlo fa male alla salute. A quella di famiglie e imprese. La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, ha detto che a giugno, se i dati confermeranno la convergenza dell’inflazione verso il 2%, «sarebbe opportuno ridurre» i tassi d’interesse. Bontà sua, vuol dire che ci possiamo scordare un taglio in tempi ragionevolmente brevi. E questo nonostante gli indicatori siano concordi già da mesi nel mostrare che le aspettative d’inflazione sono perfettamente in linea con il target fissato dalla Bce. Allora perché perdere altro tempo prezioso per dare un po’ di respiro all’economia produttiva? Si tratta di una decisione autolesionistica, che dimentica che i tassi sono saliti rapidamente e l’economia è scesa ancora più rapidamente. Aspettare altri due mesi per iniziare ad abbassare il costo del denaro, significa dimenticare che gli alti tassi d’interesse frenano gli investimenti, aumentano i costi per le imprese e la gente comune;........

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