Chi è causa del suo mal pianga se stesso. La risicata vittoria della candidata di M5S e Pd in Sardegna, Alessandra Todde, costringe per la prima volta il centrodestra a trazione Giorgia Meloni a «riflettere». Gli stessi leader hanno promesso che «non faremo più gli stessi errori», ammettendo di aver avuto responsabilità non secondarie nella sconfitta. Il punto, però, è che l’autocritica potrà avere uno sbocco positivo solo a patto d’intendersi su quali siano gli errori da non ripetere. Al netto di una campagna elettorale sbagliata, accompagnata alla scelta di un aspirante governatore debole - certamente la prima cantonata da non replicare - va evitato di spiegare la sconfitta riducendola tutta al “bilancino” errato delle candidature e alle impuntature di questo o quel leader. Soprattutto, va scansato l’errore di considerare i partiti della maggioranza come una sorta di «gioiosa macchina da guerra», per parafrasare il famigerato nomignolo che tanto male portò ad Achille Occhetto nel 1994 quando, pressoché certo della vittoria, andò a schiantarsi col suo Pds contro la coalizione appena messa in piedi da Silvio Berlusconi. La verità è che il centrodestra non può limitarsi ad essere un mero cartello elettorale, ma è chiamato a ritrovare le ragioni strategiche dello stare insieme. Un problema che affonda le sue radici in un tempo precedente alle elezioni sarde. Gli elettori di Fdi, Lega e Fi hanno ciascuno la propria identità, questo è ovvio, ma non bisogna dimenticare che sono molto più uniti dei loro dirigenti. Sono trent’anni che è così. Ma su cos’è che sono uniti? Forse sul nome di questo o quel candidato? Sul fatto che egli sia espressione di Fdi piuttosto che della Lega o di Forza Italia? O che sia al terzo mandato oppure no? Suvvia, non scherziamo. I sostenitori del centrodestra sono uniti sui temi (tasse, lavoro, sicurezza, immigrazione e via elencando), non su altro. È su questo che chiedono ai loro partiti di fare sul serio. Un’esigenza che resterà immutata anche se tra dieci giorni in Abruzzo il risultato sarà opposto a quello sardo. Per tali ragioni è opportuno che a destra si rendano conto che la chiave del successo risiede in una parola d’ordine tanto antica quanto sempre attuale: fare sintesi. Certe dichiarazioni polemiche post-voto di taluni dirigenti della maggioranza hanno riportato alla mente quello che accadde nel 1996, quando il centrodestra perse le elezioni politiche perché la Lega andò per conto suo. Mentre gli altri polemizzavano e si addossavano reciprocamente le responsabilità della sconfitta, un grande leader come Pinuccio Tatarella era già al lavoro per fare sintesi, lanciando il grande progetto di dare una casa comune a tutti gli italiani che non si riconoscevano nella sinistra. E lo fece partendo dai temi, individuando il presidenzialismo come idea forte e aggregante attorno a cui costruire la coalizione. Oggi la storia è diversa, ovvio. Soprattutto, nella classe dirigente della destra manca un uomo dalla visione di Tatarella. Tuttavia, l’esigenza è la stessa. E lo studio della storia, come diceva Henry Kissinger, è uno degli elementi fondamentali alla base di una leadership seria. Se Meloni vuol davvero far nascere il partito conservatore di massa, allora non può che guardare all’unico precedente disponibile in tal senso: quello del Popolo delle libertà. L’operazione Pdl andò in porto perché il momento storico era quello giusto: i rapporti di forza vedevano un partito liberale e di massa (Forza Italia) come soggetto egemone della coalizione, una destra forte e un centro post-democristiano di dimensioni più contenute. Inoltre, il compito di federare la coalizione con la Lega spettò ad un leader molto popolare. Le analogie sono evidenti, con la destra nei panni della forza egemone e Meloni in quelli del leader popolare perno della coalizione, in grado di ricondurre tutti all’unica unità possibile: quella dei programmi. I candidati sono la conseguenza del progetto. Non il contrario.

QOSHE - L’autocritica che serve a far ripartire il centrodestra - Vincenzo Nardiello
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L’autocritica che serve a far ripartire il centrodestra

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01.03.2024

Chi è causa del suo mal pianga se stesso. La risicata vittoria della candidata di M5S e Pd in Sardegna, Alessandra Todde, costringe per la prima volta il centrodestra a trazione Giorgia Meloni a «riflettere». Gli stessi leader hanno promesso che «non faremo più gli stessi errori», ammettendo di aver avuto responsabilità non secondarie nella sconfitta. Il punto, però, è che l’autocritica potrà avere uno sbocco positivo solo a patto d’intendersi su quali siano gli errori da non ripetere. Al netto di una campagna elettorale sbagliata, accompagnata alla scelta di un aspirante governatore debole - certamente la prima cantonata da non replicare - va evitato di spiegare la sconfitta riducendola tutta al “bilancino” errato delle candidature e alle impuntature di questo o quel leader. Soprattutto, va scansato l’errore di considerare i partiti della maggioranza come una sorta di «gioiosa macchina da guerra», per parafrasare il famigerato nomignolo che tanto male portò ad Achille........

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