Una sola cosa è esclusa: che si sia trattato di un incidente. L’allarmata e allarmante audizione davanti alla commissione Antimafia del procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, ha chiarito molte cose. La più importante delle quali è la gigantesca dimensione della vicenda degli accessi abusivi alle banche dati a disposizione della Procura nazionale antimafia: oltre 10mila “interrogazioni” e più di 33.500 file scaricati - contenenti informazioni sensibili - sono numeri sconvolgenti. A metterci il carico da novanta, poi, è stato lo stesso Cantone quando si è chiesto in maniera retorica: «Questo numero di atti scaricati che fine ha fatto? Quante di queste informazioni possono essere utili anche ai Servizi stranieri?». Sono domande a cui si spera che la Procura alla fine riesca a dare una risposta, ma non è detto. Qui non si tratta di dati trafugati da qualche hacker, ma di una spregiudicata attività di agenzia dentro le istituzioni. Insomma, più passano i giorni più appare chiaro che un insabbiamento della vicenda, magari travolgendola con i polveroni più vari - dai fantomatici complotti agli altrettanto inafferrabili attacchi alla libertà di stampa -, sarebbe un crimine più grande di quello che sta venendo alla luce. Arrivare ai mandanti è importante ma non basta: l’altro elefante nella stanza sono i nomi dei terminali finali di questa storia. È evidente che molto ruota attorno a una domanda facile facile: chi sono i veri destinatari di questa enorme mole d’informazioni riservate acquisite illegalmente? Fa specie sentire la segretaria del Pd, Elly Schlein, ammettere che si tratta di una vicenda gravissima, ma al tempo stesso aggiungere che «non vogliamo vedere queste strumentalizzazioni della destra contro la Direzione nazionale antimafia». Di quali strumentalizzazioni parla? Piuttosto, il verminaio che sta emergendo, e di cui nulla si sarebbe saputo senza la denuncia del ministro della Difesa Guido Crosetto, dovrebbe far riflettere la sinistra e i suoi sodali che non perdono occasione per strillare al «bavaglio» ogni qualvolta si provano a fissare limiti e controlli più stringenti per l’accesso alle comunicazioni e ai dati riservati dei cittadini. È normale che un anonimo finanziere possa fare 10mila accessi a dati sensibili e nessuno si accorga di nulla? Prima di lui quanti altri lo hanno fatto? Se c’è qualcuno che opera un certo numero di accessi senza un mandato dell’autorità competente, il sistema informatico che gestisce i database non lo segnala? Se sì, a chi lo segnala? Chi doveva controllare dov’era? Se Crosetto quella denuncia non l’avesse fatta, gli accessi abusivi sarebbero proseguiti tranquillamente? È necessario mettere le mani nell’uso dei dati sensibili che riguardano la vita privata di milioni di persone. Nell’era digitale le informazioni sono il nuovo oro: è emerso che è molto semplice “rubare” di tutto, al punto che anche un qualsiasi sottufficiale della Finanza può indagare nella vita di chiunque senza che ci sia neanche un’ipotesi di reato. Occhio: lo stesso discorso vale per un qualsiasi dipendente di una delle ditte da cui vengono noleggiati i server per le intercettazioni. Ma se lo dici passi per un amico dei delinquenti. Invece è così che nascono quelle che gli stessi procuratori hanno definito un «mercato clandestino d’informazioni riservate». Possibile che fino all’altro ieri nessuno ne sapesse niente? Possibile sì, difficile da credere pure. Quanto sta avvenendo è l’ennesima, scandalosa “pistola fumante” di quanto estesa, seria e profonda debba essere quella riforma della giustizia che l’Italia attende da oltre 30 anni. Davanti a questo verminaio, tanti esponenti del centrodestra invocano nuove regole e soprattutto il principio che se ci sono magistrati o altri funzionari dello Stato che sbagliano devono pagare. Ma dimenticano che sta a loro deciderlo. Governano da 17 mesi e non si è ancora visto uno straccio di legge in tal senso. Si diano una mossa. Possibilmente senza paura.

QOSHE - I mandanti non bastano: vanno scovati i destinatari - Vincenzo Nardiello
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I mandanti non bastano: vanno scovati i destinatari

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09.03.2024

Una sola cosa è esclusa: che si sia trattato di un incidente. L’allarmata e allarmante audizione davanti alla commissione Antimafia del procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, ha chiarito molte cose. La più importante delle quali è la gigantesca dimensione della vicenda degli accessi abusivi alle banche dati a disposizione della Procura nazionale antimafia: oltre 10mila “interrogazioni” e più di 33.500 file scaricati - contenenti informazioni sensibili - sono numeri sconvolgenti. A metterci il carico da novanta, poi, è stato lo stesso Cantone quando si è chiesto in maniera retorica: «Questo numero di atti scaricati che fine ha fatto? Quante di queste informazioni possono essere utili anche ai Servizi stranieri?». Sono domande a cui si spera che la Procura alla fine riesca a dare una risposta, ma non è detto. Qui non si tratta di dati trafugati da qualche hacker, ma di una spregiudicata attività di agenzia dentro le istituzioni. Insomma, più passano i giorni più appare chiaro........

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