L’unica cosa che scandalizza è lo scandalo. Sulla giustizia il ministro della Difesa Guido Crosetto ha osato denunciare («Mi raccontano di riunioni di una corrente su come fermare Meloni») quello che purtroppo è sotto gli occhi di tutti da decenni: l’uso politico di certe inchieste. Per questo è stato attaccato, intimidito, accusato di complottismo e - quel che è peggio - sostanzialmente isolato. Perfino nella stessa maggioranza, salvo alcune coraggiose eccezioni, non si è andati oltre una difesa d’ufficio tutto sommato scontata e piuttosto timida. Il tutto condito dalla richiesta della sinistra di venire in Parlamento a battersi il petto per rimediare all’affronto fatto ai padroni del vapore. In questi giorni si è cercato in tutti i modi di derubricare le parole di Crosetto - tra l’altro uomo solitamente molto misurato - a qualcosa di molto simile a un’iniziativa personale. Il Governo non sembra voler alzare i toni neanche di fronte al rinvio a giudizio del sottosegretario Andrea Delmastro, accusato di rivelazione del segreto d’ufficio dopo che finanche il pm ha chiesto il non luogo a procedere. Come mai tutta questa prudenza? Tutta questa ritrosia di fronte ai temi della giustizia? Forse perché si è deciso il rinvio di tutte le proposte serie di riforma, a partire dalla netta distinzione tra pm e giudici? Il Guardasigilli, Carlo Nordio, sta provando a tenere duro, e ha confermato che «entro la primavera presenteremo il progetto di riforma costituzionale sulla separazione delle carriere». Sta di fatto che con il premierato in ballo, pare difficile approvare due riforme costituzionali consecutive quando si fatica a realizzarne una. Vedremo, ma la strada scelta comporta un notevole allungamento dei tempi: la giustizia in Italia è un’emergenza, non si poteva presentare un unico progetto costituzionale subito? È indubitabile che l’uso politico della giustizia abbia scandito gli ultimi decenni, ed è a determinati magistrati, che tra l’altro non fanno mistero essi stessi di essere politicamente schierati, che si è rivolto Crosetto. Li avete ascoltati gli interventi ai congressi delle correnti di sinistra delle toghe? Le avete seguite le prese di posizione dell’Anm tese a condizionare il legislatore su riforme in itinere? Avete letto le parole di Luca Palamara in ordine agli attacchi giudiziari politicamente orientati dal “Sistema”? O prima ancora quelle della toga rossa Francesco Misiani, sui rapporti tra Magistratura democratica e la sinistra politica? Tutto qui. È storia. Il punto vero, però, è che in una Nazione normale - dove il primato dovrebbe appartenere alla politica e non ad una casta autoreferenziale - il conflitto sarebbe stato risolto già da tempo, con una riforma per riportare nell’alveo costituzionale l’ordine giudiziario trasfiguratosi in contropotere. Disgraziatamente, quella riforma non è mai stata fatta e a noi tocca dover fare i conti ciclicamente con scontri e polemiche. Ogni volta che qualcuno alza la voce per dire che il re è nudo viene zittito. Ogni volta che si è provato a fare una riforma della giustizia vera e profonda, si sono messi in moto tutta una serie di meccanismi - trasversali ai governi e alle maggioranze - per fermare il tentativo di cambiare. È così che tutto è rimasto terribilmente uguale a se stesso. Pure le polemiche, che si ripetono come in una perenne recita: gli attori cambiano, ma il copione resta terribilmente scontato. È illusorio tentare di risolvere l’anomalia italiana del rapporto tra politica e magistratura tentando un approccio “soft” sul tema delle riforme. Peggio ancora, cercando un lasciapassare da parte delle toghe. È tempo sprecato. Obbligatorietà dell’azione penale, separazione delle carriere, responsabilità civile dei magistrati, struttura del Consiglio superiore della magistratura, insieme al potenziamento e ammodernamento di mezzi e uomini, dovrebbero essere l’oggetto di una grande riforma. O il mutamento sarà profondo, o meglio lasciar perdere. Si rischia di bruciarsi per niente.

QOSHE - Giustizia, le chiacchiere non fanno una riforma - Vincenzo Nardiello
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Giustizia, le chiacchiere non fanno una riforma

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01.12.2023

L’unica cosa che scandalizza è lo scandalo. Sulla giustizia il ministro della Difesa Guido Crosetto ha osato denunciare («Mi raccontano di riunioni di una corrente su come fermare Meloni») quello che purtroppo è sotto gli occhi di tutti da decenni: l’uso politico di certe inchieste. Per questo è stato attaccato, intimidito, accusato di complottismo e - quel che è peggio - sostanzialmente isolato. Perfino nella stessa maggioranza, salvo alcune coraggiose eccezioni, non si è andati oltre una difesa d’ufficio tutto sommato scontata e piuttosto timida. Il tutto condito dalla richiesta della sinistra di venire in Parlamento a battersi il petto per rimediare all’affronto fatto ai padroni del vapore. In questi giorni si è cercato in tutti i modi di derubricare le parole di Crosetto - tra l’altro uomo solitamente molto misurato - a qualcosa di molto simile a un’iniziativa personale. Il Governo non sembra voler alzare i toni neanche di fronte al rinvio a giudizio del sottosegretario Andrea........

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