Cari amici lettori, a furia di parlare, cominciano i fatti. Tutto è bene quel che finisce (per il momento) bene. Fa quindi piacere che l’attacco degli sciiti iraniani a Israele abbia prodotto danni davvero minimi. Questo risultato è stato, però, ottenuto per il sostegno dato a Israele dai Paesi occidentali e da quelli sunniti, con una spesa complessiva di oltre un miliardo. Questo impedisce di sostenere, come molti fanno, che il bombardamento degli ayatollah sia stato un fatto solo simbolico, anche se le risorse sciite sono assai superiori a quelle stavolta impiegate. Siamo di fronte al prevedibile effetto della politica bideniana, che ha seppellito le iniziative trumpiane per contenere lo sviluppo iraniano e mantenere la pace in Medio Oriente. L’irragionevole ritorno alla guerra fredda e le centinaia di miliardi bruciati nel forno ucraino hanno finito per sguarnire, sul piano psicologico prima che su quello sostanziale, la difesa sul fronte meridionale. Assai importante mi sembra la reale, ancorché momentanea, alleanza fra Israele e i vicini sunniti: Giordania, Arabia Saudita ed Emirati. Essa appare un ritorno ai Patti di Abramo, fortemente voluti da Trump, quasi dimenticati dalla Washington democratica. Contro quei Patti,verosimilmente, gli sciiti hanno immolato le vittime del sette ottobre e i civili palestinesi dietro (e sotto) i quali, oltre che dietro gli ostaggi, Hamas si nasconde. Washington e gli altri alleati occidentali sono contrari a una risposta israeliana, in accordo con l’idea del governo iraniano secondo cui tutto dovrebbe considerarsi finito. La sostanziale vittoria nel conflitto missilistico non può, tuttavia, soddisfare Gerusalemme, consapevole che Teheran vuole a ogni costo distruggere gli ebrei, preferibilmente per interposta persona, e ragionevolmente preoccupata per una potenza nucleare iraniana, resa possibile in un prossimo futuro dagli errori del governo Biden. Netanyahu ha assicurato che Israele colpirà, non si sa dove né quando, senza alcun preavviso. Neanche la natura del colpo è stata precisata. Quattro sono le principali ipotesi formulate. La prima, quella più gradita agli israeliani, sarebbe il danneggiamento degli impianti iraniani per la creazione della bomba nucleare. Un programma, però, di assai difficile realizzazione, anche perché richiederebbe l’uso di un’arma che gli americani non sono disposti a fornire. Un attacco cibernetico, al contrario, mi sembra reazione troppo modesta. La seconda, colpire una moschea o altro luogo simbolico, senza cagionare vittime, mi sembra inverosimile perché troppo insignificante. La terza, l’assassinio di personalità importanti della nomenclatura iraniana, avrebbe una sua logica solo se le vittime avessero una diretta responsabilità nell’attacco missilistico. Più ragionevole appare la quarta ipotesi, un’offensiva contro le milizie filoiraniane in Iraq, Siria e Libano. Se io fossi al posto di Netanyahu, sceglierei un attacco devastante agli Hutu dello Yemen. Oltre che uno schiaffone a Teheran, sarebbe una gradita cortesia verso le nazioni sunnite e, in fondo, anche verso le potenze occidentali, che non avrebbero ragione di opporsi. Gli Hutu, del resto, da tempo hanno mosso guerra a Israele, lanciano missili contro il suo territorio e sequestrando una nave di proprietà israeliana. Liberare il Mar Rosso dagli sgradevoli amici di Teheran darebbe molti vantaggi pratici, popolarità a Israele e molto dispiacere al suo peggior nemico. Oltretutto i Paesi occidentali, Italia compresa, risparmierebbero non solo le spese militari per la difesa delle rotte, ma anche i maggiori costi derivanti al traffico internazionale dalle violenze di quegli Hutu, che l’Iran da sempre protegge e arma. Chi vivrà, vedrà. Intanto, urge dedicare molto più tempo e più risorse ai problemi del vicino Oriente, lasciando perdere gli ucraini, che costano troppo e non possono vincere.

QOSHE - Cronache dal troppo vicino Medio Oriente in guerra - Pietro Lignola
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Cronache dal troppo vicino Medio Oriente in guerra

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17.04.2024

Cari amici lettori, a furia di parlare, cominciano i fatti. Tutto è bene quel che finisce (per il momento) bene. Fa quindi piacere che l’attacco degli sciiti iraniani a Israele abbia prodotto danni davvero minimi. Questo risultato è stato, però, ottenuto per il sostegno dato a Israele dai Paesi occidentali e da quelli sunniti, con una spesa complessiva di oltre un miliardo. Questo impedisce di sostenere, come molti fanno, che il bombardamento degli ayatollah sia stato un fatto solo simbolico, anche se le risorse sciite sono assai superiori a quelle stavolta impiegate. Siamo di fronte al prevedibile effetto della politica bideniana, che ha seppellito le iniziative trumpiane per contenere lo sviluppo iraniano e mantenere la pace in Medio Oriente. L’irragionevole ritorno alla guerra fredda e le centinaia di miliardi bruciati nel forno ucraino hanno finito per sguarnire, sul piano psicologico prima che su quello sostanziale, la difesa sul fronte meridionale.........

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