Non saprei dire se Matteo Salvini abbia perduto il suo fiuto politico, quello che in epoche non troppo risalenti lo tenevano ai vertici del gradimento nazionale, ma la posizione assunta nei confronti della detenuta Ilaria Salis mi pare pecchi d’intelligenza delle cose. Si tratta d’una donna italiana incarcerata da oltre un anno in case penitenziarie non proprio all’avanguardia nella tutela dei diritti umani, per sospetti reati associativi. Come sanno gli addetti ai lavori, i reati associativi sono per loro natura assai sfuggenti, si prestano largamente alla manipolazione se non si è colti con le mani nel sacco. Sono docili strumenti nelle mani degli investigatori, e spesso e volentieri, sulla base di pochi elementi indiziari, consentono d’elevare accuse che possono tenere in gattabuia ‘sospettati’ per lungo tempo ed arbitrariamente. Quella apparizione pubblica in ceppi e guinzaglio della Salis, evidentemente ha presentato all’opinione pubblica immagini poco civili che, adeguatamente e non disinteressatamente enfatizzate, hanno creato uno scontato e giustificato sdegno. Non che le nostre carceri siano esempio fulgido di tutela dell’umana dignità, tutt’altro. Da noi quasi un suicidio a giorni alterni, sicché anche nel Belpaese le cose non stanno troppo meglio che dalle parti magiare. Epperò, è comprensibile si sviluppi un senso d’umana solidarietà per il connazionale in ceppi altrove per reati a base essenzialmente politica. Inoltre, non è propriamente elegante attaccare chi si trova ristretta nella propria libertà personale, in celle gelide ed infestate – a quel che sembrerebbe – trattenuta per mesi con assai poca igiene e cura dell’umana dignità, sulla base di accuse i cui elementi di prova, almeno sino ad oggi, sono rimasti nell’esclusiva disponibilità dell’Accusa. Insomma, dovrebbero esserci dei parametri minimi di valutazione che, in presenza di codeste situazioni, almeno impongano una solidarietà umana per chi è sottoposto a condizioni di vita indegne; quando poi per avventura s’è anche vice Presidente del Consiglio dei Ministri d’un Governo impegnato nel tentativo d’assicurare un miglioramento delle condizioni della malcapitata, doveri di ruolo imporrebbero altri comportamenti. Detto ciò, un tema serio il senatore Salvini l’ha toccato. La dottoressa Salis è stata – a quel che si legge dai giornali (tra gli altri, Corriere della sera 3 febbraio) – già destinataria di condanne per reati legati alle sue posizioni ideologicamente diciam così così molto marcate – riferibili all’area dell’anarchismo militante – posizioni che l’hanno portata ad eccedere in manifestazioni varie e che hanno dato luogo a sanzioni vicine ai due anni di reclusione. Si dà il caso che costei sia anche un’educatrice remunerata dallo Stato, nel senso che svolgeva la funzione di docente nell’istruzione elementare. Ed è qui che, probabilmente, qualche domanda in più è necessario di porla, sia pur consapevoli d’essere su d’un terreno alquanto infido. L’insegnamento – non solo quello elementare, ma la funzione educativa pubblica in generale – ha il compito di formare il cittadino. Ciò significa sviluppare in chi è destinatario dell’azione didattica il senso dell’importanza d’assumere responsabilità nei confronti della comunità in cui sarà prima o poi chiamato a svolgere il proprio compito cooperativo – anche a costo di personali rinunce. In altri termini, l’azione pedagogica che attraverso l’istituzione scolastica viene dispensata, ha lo scopo d’educare al rispetto delle regole, quelle che servono a far sì che si formi un cittadino dotato del senso d’appartenenza alla comunità: e questo vuol dire trasmettere – soprattutto alle giovani menti in formazione – sentimenti di rispetto per l’organizzazione collettiva, il dovere d’impegnarsi nel perseguimento degli scopi che la società si pone secondo obiettivi condivisi ed alla stregua delle procedure, cui mediante esprime il proprio volere. S’annida dell’autorità in tutto ciò – vero – e non c’è dubbio l’anarchia abbia una storia lunga, molto nobile: gli anarchici da sempre hanno combattuto gli eccessi del potere, in qualunque forma si sia esso organizzato per imporsi a proprio libito sulla società. Ed è innegabile lo Stato ungherese non si distingua per amor di libertà, anche se il suo leader non può dirsi un dittatore, autoritario però sì. Ma il problema non mi sembra questo. È piuttosto nel chiedersi se chi, come l’insegnante Salis, non si limiti a nutrire sentimenti anarchici, ma ritenga – non si direbbe sporadicamente – di trasferirli attraverso condotte che vanno ben al di là dell’uso di suadenti argomenti, possa effettivamente ben interpretare il compito del docente, elementare per aggiunta. La missione docente (di ciò si tratta), quando ben esercitata, è sicuramente diretta a sviluppare uno spiccato senso critico: a far sì che il discente acquisisca strumenti di giudizio idonei a pensare in proprio. Chi impara davvero, apprende soprattutto a ragionare ponendo a confronto posizioni, idee, informazioni, categorie di giudizio da chiamare in causa alla bisogna, senza lasciarsi guidare da imbonitori, propagandisti, soggetti insomma che tutto vogliono, salvo l’interesse delle persone che si provano a condizionare. Ma per ottenere questo risultato, anzitutto è necessario che chi insegna sia in grado egli pure di porre a confronto le idee, non identificandosi a pieno in nessuna, rispettando chi la pensa diversamente da lui, al più contrapponendo alle idee, idee di forza pari. Questo credo sia il modo in cui in un’istituzione educativa possa correttamente porsi. Diverso l’agone politico, dove anche l’anarchia ha il suo degno luogo. Ma l’agone e le posizioni politiche vanno liberamente scelte, non inculcate mediante l’insegnamento che, nelle democrazie, è luogo per la diffusione del senso della libertà e della scelta indipendente.

QOSHE - Salis, le posizioni politiche vanno liberamente scelte - Orazio Abbamonte
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Salis, le posizioni politiche vanno liberamente scelte

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05.02.2024

Non saprei dire se Matteo Salvini abbia perduto il suo fiuto politico, quello che in epoche non troppo risalenti lo tenevano ai vertici del gradimento nazionale, ma la posizione assunta nei confronti della detenuta Ilaria Salis mi pare pecchi d’intelligenza delle cose. Si tratta d’una donna italiana incarcerata da oltre un anno in case penitenziarie non proprio all’avanguardia nella tutela dei diritti umani, per sospetti reati associativi. Come sanno gli addetti ai lavori, i reati associativi sono per loro natura assai sfuggenti, si prestano largamente alla manipolazione se non si è colti con le mani nel sacco. Sono docili strumenti nelle mani degli investigatori, e spesso e volentieri, sulla base di pochi elementi indiziari, consentono d’elevare accuse che possono tenere in gattabuia ‘sospettati’ per lungo tempo ed arbitrariamente. Quella apparizione pubblica in ceppi e guinzaglio della Salis, evidentemente ha presentato all’opinione pubblica immagini poco civili che, adeguatamente e non disinteressatamente enfatizzate, hanno creato uno scontato e giustificato sdegno. Non che le nostre carceri siano esempio fulgido di tutela dell’umana dignità, tutt’altro. Da noi quasi un suicidio a giorni alterni, sicché anche nel Belpaese le cose non stanno troppo meglio che dalle parti magiare. Epperò, è comprensibile si sviluppi un senso d’umana solidarietà per il connazionale in ceppi altrove per reati a base essenzialmente politica. Inoltre, non è propriamente........

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