Quanto è accaduto o, meglio, sta avvenendo nei secreti uffici in via Giulia della Direzione Nazionale Antimafia – la struttura investigativa di “coordinamento”delle Procure Distrettuali che con pieni poteri dovrebbero lavorare contro la delinquenza organizzata di stampo mafioso – costituisce fatto di gravità indiscutibilmente straordinaria, in uno Stato che si pretende alla democrazia. Lasciando anche in disparte quanto ha affermato in commissione parlamentare (non al Caffè) il Procuratore della Repubblica di Perugia che su alcuni responsabili di quei fatti sta indagando – ha detto di trovarsi al cospetto d’un verminaio, ottima immagine di sintesi; e cioè lasciando anche in disparte quanto afferma una Magistratura inquirente indagando su d’un’altra Magistratura inquirente, il che non è poco; lasciando in disparte tutta questa non proprio trascurabile congerie, il fatto concreto è: che – grazie alla denuncia di un ministro della Repubblica (Crosetto) che di tali cose pare se ne intenda alquanto, è venuto fuori che in circa un par d’anni, un luogotenente della Guardia di Finanza in servizio (o dei Servizi?) presso la Procura Nazionale Antimafia ha avuto agio di compiere la bellezza di 35.000 interrogazioni alle riservatissime banche dati dei Sos: segnalazioni di operazioni economiche sospette, investigate spadroneggiando indisturbato nelle vite altrui. E non in vite anonime, bensì di quelle che fanno le decisioni del Paese democratico. Ora, poiché in genere quando ci s’attiva in simili incursioni non lo si fa per ragioni d’estetico voyerismo – in quel caso, sono ben altri i siti compulsati con gusto – bensì per assumere informazioni su uomini potenti (in genere rappresentanti delle istituzioni democratiche o del mondo economico che conta con i primi in costante relazione), dedurne che qualcuno avesse voglia di ricattare svergognare, condizionare, dossierare chi dovrebbe determinare liberamente la volontà democratica del Paese, è illazione tutt’altro che impertinente. Sicché, punto primo: fanno specie i tentativi di dequotare la cosa, affermando non ci sian prove dell’intento eversivo: la prova è nel fatto che le incursioni siano intensamente avvenute. Insieme ad altre cose, qui di seguito subito dette. Che qualche interrogazione indebita possa avvenire, questo è pur sempre possibile, senza che l’organizzazione della Dna se ne avveda. Che ne avvengano 35.000 e più in circa due anni – non sto qui a far il conto di quante al giorno, ferie escluse, ma ognuno può farlo da sé – senza che l’organizzazione abbia modo di rendersene conto, questo è intollerabile. Delle due, l’una: o, l’organizzazione è un tale colabrodo, che sia possibile liberamente impazzare tra le sue slabbrate maglie senza che alcuno ne abbia sentore: ed allora, l’organizzazione va senza esitazioni eliminata, perché non si possono affidare le pecore al lupo, perché antica esperienza dice che le divorerà. Pecore, che in questo caso siamo noi inermi cittadini – che vivremmo di democrazia, sistema delicato quant’altri mai – oltre a chiunque eserciti un minimo di potere, animi le istituzioni, rappresenti il Paese. Non quisquilie, direbbe il principe De Curtis se, per sua disgrazia, fosse ancor qui tra noi. Qualora, invece, di questa situazione – e di chissà quant’altre analoghe – fosse compartecipe l’organizzazione nel suo complesso (ed in questo caso anche i suoi vertici, uno degli ex è peraltro nella commissione parlamentare che sta indagando) la cosa sarebbe forse ancor più grave, perché vorrebbe dire che l’istituzione preposta a combattere la delinquenza mafiosa – pericolosa, proprio perché capace d’infiltrare e condizionare le istituzioni – si sarebbe a sua volta ammalata, finendo così con lo svolgere il compito della criminalità per combattere la quale è stata creata. Ora, a quel che posso giudicarne, l’unica cosa che sta avvenendo, è una rapida sepoltura della gravissima vicenda: semplice osservare che nessuno è andato ad ascoltare – universo mondo dell’informazione su questa linea – il luogotenente Pasquale Striano, l’apparente protagonista. Singolar cosa, perché in genere avviene il contrario in simili vicende. Invece, quel che si dovrebbe prendere da questa vicenda è insegnamento esperienziale. Quando si creano poteri eccezionali – e quello della Dna è straordinariamente eccezionale – bisogna anzitutto sapere che gli uomini tendono ad eccedere, ad approfittarsi del potere di cui dispongono, di volgerlo al proprio utile. È un istinto inconculcabile, che deriva in parte della vanità che ci contraddistingue – vogliamo essere temuti, desiderati, in una parola considerati importanti – in parte da un altro istinto infernalmente umano: il gusto del comando, del sopraffare, del vedere l’uomo che è in difficoltà sotto di noi. E poi c’è la rapacità. Non proseguo. Le istituzioni hanno esattamente il compito di controllare queste terribili pulsioni, attraverso regole, pesi e contrappesi, controlli incrociati. Son rari gli uomini scevri da queste tentazioni, men che mai può credersi che, in quanto si è magistrati, si diventi superiori agli altri ed impartecipi delle umane debolezze. Solo le organizzazioni possono correggere le deviazioni, se ben pensate e continuamente manutenute. La Dna esiste da troppo tempo e da troppo tempo l’emergenza da cui nasceva, è superata: non che la Mafia sia finita, ma è tutt’altro. E nulla è più periglioso che mantenere in vita istituzioni che abbiano superato il loro scopo, la loro funzione: nel migliore dei casi, ne cercheranno altri virtuosi, ma il migliore dei casi è anche il meno frequente.

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La Dna esiste da troppo tempo ma l’emergenza è superata

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11.03.2024

Quanto è accaduto o, meglio, sta avvenendo nei secreti uffici in via Giulia della Direzione Nazionale Antimafia – la struttura investigativa di “coordinamento”delle Procure Distrettuali che con pieni poteri dovrebbero lavorare contro la delinquenza organizzata di stampo mafioso – costituisce fatto di gravità indiscutibilmente straordinaria, in uno Stato che si pretende alla democrazia. Lasciando anche in disparte quanto ha affermato in commissione parlamentare (non al Caffè) il Procuratore della Repubblica di Perugia che su alcuni responsabili di quei fatti sta indagando – ha detto di trovarsi al cospetto d’un verminaio, ottima immagine di sintesi; e cioè lasciando anche in disparte quanto afferma una Magistratura inquirente indagando su d’un’altra Magistratura inquirente, il che non è poco; lasciando in disparte tutta questa non proprio trascurabile congerie, il fatto concreto è: che – grazie alla denuncia di un ministro della Repubblica (Crosetto) che di tali cose pare se ne intenda alquanto, è venuto fuori che in circa un par d’anni, un luogotenente della Guardia di Finanza in servizio (o dei Servizi?) presso la Procura Nazionale Antimafia ha avuto agio di compiere la bellezza di 35.000 interrogazioni alle riservatissime banche dati dei Sos: segnalazioni di operazioni economiche sospette, investigate spadroneggiando indisturbato nelle vite altrui. E non in vite anonime, bensì........

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