Tra le più svariate spiegazioni che si sono lanciate, talune davvero con audacia asinina, a seguito dell’ennesimo femminicidio registratosi quest’anno – quello ai danni della sfortunata Giulia Cecchettin – una, la più scontata e semplice non mi risulta sia stata data. E si comprende, perché è una spiegazione che non torna al conformismo benpensante dei nostri giorni, che ha sempre la necessità di trovare un facile responsabile, un colpevole cui imputare colpe più o meno redimibili, insomma ottenere una causa semplice e spendibile che permetta di dividere agevolmente buoni e cattivi e ripulirsi la coscienza. Nessuno, a mia conoscenza, ha puntato su di una componente: che è poi la componente più stabile, quella che giustifica le ragioni delle infinite violenze che gli uomini da sempre usano alle donne. Il fatto puro e semplice è che il maschio umano, che fa parte, non va dimenticato, del regno animale, è antropologicamente violento. Con la violenza si è dalle sue origini fatto strada nell’ostile mondo, cacciando, combattendo, conquistando con la forza le sue femmine. È un dato che lo accompagna e che fu anche all’origine della divisione dei compiti in quelle embrionali forme associative che erano le vite dei cavernicoli. Questo per molte decine di migliaia di anni. Con l’andare del tempo e con il complicarsi della vita sociale, sono via via venute affermandosi le regole della civiltà. Un vero processo di civilizzazione, come ci ha insegnato Norbert Elias, non data oltre mezzo millennio: una delle forme più visibili del suo procedere, fu l’affermarsi dell’uso della forchetta, naturalmente sulle tavole degli altolocati. Il rispetto della donna, il riconoscimento dei suoi diritti – dei suoi pari diritti – è fenomeno assai più recente, ed ha cominciato ad avviarsi a ridosso della Grande Guerra. Insomma, cosa di pochi anni, a fronte degli oltre centomila che videro affacciarsi la species del sapiens. Ma soprattutto, il contemporaneo sapiens non ha perso, e temo mai perderà, la sua sottostante natura animale, aggressiva ed appropriativa. Sono tratti genetici che sottostanno la specie e che possono educarsi, disciplinarsi ed anche entro certi limiti conculcarsi, ma permangono in agguato, variamente manifestandosi in forme fortunatamente nei più casi sublimate. Il furto non scomparirà mai, come l’omicidio, per il semplice fatto che appartiene alla natura umana la tendenza a sopprimere l’altro nel perseguimento del proprio interesse e ad appropriarsi dei beni altrui per goderne. Nel rapporto tra donne ed uomini s’aggiunge anche l’elemento passionale e la miscela – sempre potenzialmente esplosiva – è completa per determinare potenziali crimini. Quelle che precedono sono banali verità, ma non si dicono diffusamente. Non si riconoscono ed anzi si negano al punto tale che se qualcuno osa suggerire alle donne d’essere attente alle frequentazioni, d’osservare i caratteri, di tenere conto dei rischi, è facile venga aggredito perché giustificazionista. Se per giustificazionista significa andare alla spregiudicata ricerca delle cause di fenomeni ricorrenti secondo criterio logico e scientifico, allora può darsi che chi ciò faccia sia un giustificazionista, anche se non giustifica un bel nulla ma cerca di capire, seguendo il criterio che conoscere le ragioni che possono condurre a certe conseguenze è la necessaria diagnosi per apprestare opportune misure di contrasto secondo criterio di razionalità. Ora, la base dell’essere umano – la sua natura – non è quella d’un mite agnellino, bensì nella gran parte dei casi, di un soggetto competitivo e vagamente aggressivo. Basta un qualche fattore aggiuntivo – individuale o situazionale – perché gli istinti peggiori sfondino quella diafana patina della civilizzazione e portino a condotte efferate. Questo non vuol dire non debba farsi nulla per contrastare; vuol dire piuttosto che non deve riporsi grande affidamento sulle misure di contenimento, perché nessuna organizzazione, nessuno Stato, anche il più occhiuto, potrà mai impedire che simili vicende abbiano a verificarsi. Basti pensare che nemmeno nelle carceri, dove certo i controlli sono particolarmente invasivi, la violenza si riesce a contenere: anche se colà, va detto, intervengono altri fattori a fomentarla. Sarebbe quindi più che necessario abbandonare la melassa di ipocrisie o e strumentalizzazioni più volgari, talora con esiti umoristici, grazie alle quali si è riusciti finanche ad imputare i femminicidi alle televisioni del fu Silvio Berlusconi. È certo che uno degli strumenti più efficaci per contrastare il fenomeno sia costituito da quello educativo: uno strumento che per essere efficace deve però intervenire per tempo, sin dai primissimi anni in cui si forma la personalità del bambino, quando ancora le categorie cognitive e di giudizio non sono consolidate. Ma è programma vasto e lento a realizzarsi Su fenomeni come questi, le sanzioni penali – che pure evidentemente non possono mancare – hanno ben poca presa, perché chi giunge a simili violenze non pensa di certo mentre le compie alle conseguenze che ne seguiranno. Ed è soprattutto insegnando alle donne adeguate strategie precauzionali – queste sì, trasmissibili rapidamente – che potranno realmente ridursi i rischi di condotte che sono assai più diffuse di quanto non si creda, dato che solo in una minima parte dei casi la violenza si traduce in omicidi. Questo sembra a me un approccio realistico, che ha veramente a cuore la ricerca di misure appropriate.

QOSHE - Il maschio è un essere umano antropologicamente violento - Orazio Abbamonte
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Il maschio è un essere umano antropologicamente violento

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27.11.2023

Tra le più svariate spiegazioni che si sono lanciate, talune davvero con audacia asinina, a seguito dell’ennesimo femminicidio registratosi quest’anno – quello ai danni della sfortunata Giulia Cecchettin – una, la più scontata e semplice non mi risulta sia stata data. E si comprende, perché è una spiegazione che non torna al conformismo benpensante dei nostri giorni, che ha sempre la necessità di trovare un facile responsabile, un colpevole cui imputare colpe più o meno redimibili, insomma ottenere una causa semplice e spendibile che permetta di dividere agevolmente buoni e cattivi e ripulirsi la coscienza. Nessuno, a mia conoscenza, ha puntato su di una componente: che è poi la componente più stabile, quella che giustifica le ragioni delle infinite violenze che gli uomini da sempre usano alle donne. Il fatto puro e semplice è che il maschio umano, che fa parte, non va dimenticato, del regno animale, è antropologicamente violento. Con la violenza si è dalle sue origini fatto strada nell’ostile mondo, cacciando, combattendo, conquistando con la forza le sue femmine. È un dato che lo accompagna e che fu anche all’origine della divisione dei compiti in quelle embrionali forme associative che erano le vite dei cavernicoli. Questo per molte decine di migliaia di anni. Con l’andare del tempo e con il complicarsi della vita sociale, sono via via venute........

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