Sono di notevole gravità le affermazioni che l’ex vicepresidente della Corte Costituzionale ha voluto non certo pour cause rendere nel corso della presentazione dell’ultimo libro di Alessandro Barbano, giustamente caustico su quella commedia all’italiana che è stata ed è ancora la vicenda dell’Hotel Champagne e del susseguente caso Palamara. Ha detto, in parole povere, l’ex giudice della Corte Costituzionale che quest’ultima, in occasione della decisione sul conflitto di attribuzioni tra Csm e Parlamento circa l’utilizzabilità di intercettazioni nelle quali era convolto il parlamentare Cosimo Ferri, ha calpestato la tanto declamata Costituzione: e, andando contro stabili ed anche recenti proprie pronunce, ha concluso nel senso dell’utilizzabilità d’intercettazioni nelle quali è coinvolto un parlamentare, purché, bontà loro, questi non sia iscritto nel registro degli indagati. Una decisione talmente enorme, che il relatore – l’autorevole giudice Franco Modugno, tra i più noti costituzionalisti italiani – si rifiutò di redigerla, con la conseguenza che la sentenza fu passata al giudice costituzionale Petitti, per avventura proveniente dalle file di Magistratura Democratica, il ‘partito’ di sinistra dei giudici. Il caso è davvero scabroso. Esso denuncia una partigianeria dell’arbitro massimo dell’ordinamento italiano – la Corte Costituzionale, appunto – che è chiamata a dirimere i più laceranti conflitti si possano immaginare per uno Stato di diritto, quelli tra i suoi più alti poteri: in questo caso, Parlamento e Magistratura. La Consulta – così detta, non perché organo consultivo ma, per sineddoche, dal nome del palazzo in cui ha sede – impersona l’altissimo compito di evitare una ‘guerra civile’ tra le istituzioni massime dello Stato, quelle che hanno il compito di mantenere l’ordine e di indirizzare la società nei suoi più essenziali scopi: e che, se non funzionano, rischiano di produrne il crollo o la paralisi, come del resto da noi sta lentamente accadendo: lo dimostra l’incapacità di decidere alcunché. Di decidere anzitutto quel che non sarebbe più rinviabile, la riforma ab imis dell’ordinamento giudiziario, dell’assetto dei poteri all’interno della Magistratura Ordinaria, e dei rapporti che essa può intrattenere con gli altri poteri dello Stato. L’episodio disvelato dall’ex giudice costituzionale Nicolò Zanon – a sua volta noto e stimato costituzionalista – che partecipò a quella camera di consiglio in cui si sarebbe consumata la violazione dei precedenti della stessa Corte e la denunciata partigianeria dell’arbitro massimo dello Stato, è particolarmente grave, ma è anche indicativo proprio delle ragioni per le quali una riforma dell’organizzazione giudiziaria è da noi irrealizzabile, almeno allo stato dei rapporti di forze. La Magistratura, attraverso la sua ormai debordante organizzazione correntizia, è divenuto una parte politica del Paese, capace d’influenzare e di paralizzare i processi decisionali e le evoluzioni istituzionali che ad essa sono sgraditi. È facile comprendere che, se è stato possibile interdire alla Corte costituzionale d’assumere la decisione che sarebbe stata dovuta in base ai suoi precedenti, anche recentissimi, assai più agevole sarà il bloccare i processi decisionali del debole Parlamento. Si deve considerare che il rispetto dei precedenti – in mancanza di elementi di novità davvero preganti (e qui non ce n’era alcuno) – costituisce per la giurisdizione una sorta di sacro dovere. Per una ragione semplice: compito della giurisdizione, d’ogni giurisdizione, ivi compresa quella della Corte, è nell’assicurare la cosiddetta certezza del diritto. Un sintagma, quest’ultimo, con il quale s’allude alla ineludibile necessità di sapere, da parte di ciascun cittadino quando agisce e quindi sceglie come comportarsi, se è sotto la protezione del diritto ovvero sta violando la legge e sarà sanzionato per questo. Se un giudice non rispetta quanto ha deciso il giorno prima ed assume decisioni non in base ai tipi di condotte tenuti, ma ai soggetti che le pongono in essere ed alle contingenze del momento – insomma, se prevale continuamente la ratio imperii e non le ragioni del diritto – il giudice da garante della certezza, rischia di trasformarsi in strumento dell’arbitrio. E quando questo accade nel regolare i rapporti tra i massimi poteri dello Stato, può ben dirsi che si è all’anticamera del caos. Senza contare poi il fatto che il giudice, ogni qual volta si contraddice, contravvenendo alla sua più intima funzione, perde completamente della sua credibilità. Non basteranno più toghe, tocchi, gorgiere ed ermellini a coprire le sue vergogne, ed una città che non crede più ai suoi giudici, se ne può esser certi, è prossima a vedere precipitare tutte le sue istituzioni. Un rimedio a molti degli arbitri che si consumano nelle camere di consiglio delle nostre Corti, anche le più alte, ci sarebbe, ed a portata di mano. Negli Stati Uniti, Paese quant’altri mai pragmatico (ma non solo lì) esiste il cosiddetto voto dissenziente: i giudici che non la pensano come la maggioranza del collegio, possono mettere in chiaro le ragioni e scriverle in sentenza. E si può esser certi che la giustizia sarà così più trasparente, sottoposta al controllo democratico e non flatus proveniente dall’antro della Sibilla. I giudici, insomma, non saranno più sacerdoti di riti eleusini, ma magistrati che pronunciano in nome del popolo (italiano), che potrà invigilarli. Da noi, ciò non si riesce ad ottenere. Proviamo a domandarci il perché?

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Giustizia, la partigianeria della Corte Costituzionale

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18.12.2023

Sono di notevole gravità le affermazioni che l’ex vicepresidente della Corte Costituzionale ha voluto non certo pour cause rendere nel corso della presentazione dell’ultimo libro di Alessandro Barbano, giustamente caustico su quella commedia all’italiana che è stata ed è ancora la vicenda dell’Hotel Champagne e del susseguente caso Palamara. Ha detto, in parole povere, l’ex giudice della Corte Costituzionale che quest’ultima, in occasione della decisione sul conflitto di attribuzioni tra Csm e Parlamento circa l’utilizzabilità di intercettazioni nelle quali era convolto il parlamentare Cosimo Ferri, ha calpestato la tanto declamata Costituzione: e, andando contro stabili ed anche recenti proprie pronunce, ha concluso nel senso dell’utilizzabilità d’intercettazioni nelle quali è coinvolto un parlamentare, purché, bontà loro, questi non sia iscritto nel registro degli indagati. Una decisione talmente enorme, che il relatore – l’autorevole giudice Franco Modugno, tra i più noti costituzionalisti italiani – si rifiutò di redigerla, con la conseguenza che la sentenza fu passata al giudice costituzionale Petitti, per avventura proveniente dalle file di Magistratura Democratica, il ‘partito’ di sinistra dei giudici. Il caso è davvero scabroso. Esso denuncia una partigianeria dell’arbitro massimo dell’ordinamento italiano – la Corte Costituzionale, appunto........

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