La giustizia, in Italia, continua ad esser fonte d’interminati dissidi, polemiche, scontri ideologici, disordine politico e sociale. La scorsa settimana, a dir poco tre casi. Il primo: la giustizia ‘ad orologeria’, che ha sostanzialmente annichilito – a soli quattro giorni dal termine per la presentazione delle liste – la candidatura del sardo-leghista Christian Solinas, in conflitto con Fratelli d’Italia per la corsa alla carica di Presidente della Regione Sardegna, lui Governatore uscente. Una coincidenza temporale si direbbe eloquente, se si pensa che sì tempestiva gragnuola di sequestri, perquisizioni ed avvisi di garanzia hanno di fatto fulminando le aspirazioni del combattivo Presidente – assegnando il palio d’una tenzone politica non da poco, attraverso l’ispida ramazza giudiziaria. La mente birichina va alla conferenza internazionale sulla criminalità organizzata del 1994, quando Silvio Berlusconi ricevette il premuroso invito a comparire dalla Procura milanese di fede borrelliana. Si sa, le associazioni di pensiero non solo non si possono fermare, ma spesso son rivelatrici. Secondo caso: durante la conferenza stampa per dar conto del primo anno di lavoro del nuovo Consiglio superiore della Magistratura, il vice presidente Fabio Pinelli, anche lui leghista di fede, ha semplicemente espresso il più banale dei concetti: il Csm nella scorsa consiliatura aveva deragliato dai propri compiti, finendo col fare intensamente vita politica. Apriti cielo, critiche a profusione, risentimento della Presidenza della Repubblica, presa di distanze da parte d’una nutrita aliquota della componente togata dell’organo di autogoverno. Terzo ed ancor più avvincente episodio. Son niente di meno dovute intervenire in pompa magna le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione per affrontare l’elegante questione interpretativa dei reati predisposti nel nostro ordinamento con una legge d’oltre un settantennio anni fa – la legge 645 del 1952, passata alla storia come legge Scelba dal cognome del ministro dell’interno Mario, che la propose. Quella legge fu predisposta all’indomani della caduta del fascismo e soprattutto alla vigilia delle elezioni del 1953, soprattutto per fugare il rischio che alla competizione per il rinnovo del Parlamento potesse candidarsi un riedito partito fascista. E la cosa aveva il suo senso, allora, tanto più che una disposizione transitoria della Costituzione, la XII, vietava la ricostituzione del disciolto PNF. Ma di disposizione opportunamente collocata tra le norme transitorie si trattava, avendo un’evidente funzione di temporaneo raccordo tra le nuove istituzioni democratiche e quelle della crollata dittatura. Che oggi l’Italia corra il rischio di tornare al totalitarismo fascista è per definizione una sciocchezza. Il Fascismo fu una composita formazione politica, legata a congiunturali condizioni politiche, economiche, sociali, che non solo la determinarono, ma fecero sì che convintamente fosse sostenuta e mantenuta per più d’un ventennio. Esso fu, com’è noto, ad un tempo la risposta ad istanze peculiarmente politiche, come le aspirazioni nazionalistiche e reducistiche nate dalle delusioni del primo Dopoguerra, ma anche il modo di ricostituire la credibilità del fallimentare Stato che s’autodefiniva liberale; fu il modo di rassicurare il mondo del gran capitale, preoccupato da disordini nelle fabbriche ed insoddisfazioni largamente alimentate dall’ingiustizia sociale; fu lo strumento per elevare l’azione sociale e solidaristica dello Stato in favore di fasce meno abbienti, che aspiravano a maggior dignità. Fu, soprattutto, la creatura del genio politico mussoliniano, quant’altri mai capace, almeno sino ad una certa fase di quel regime, d’intercettare desideri ed illusioni variamente circolanti nel Paese. Ma si tratta anche di fenomeno storico, come tale unico ed irripetibile, strettamente legato ad una congerie di condizioni, del tutto superate e non riproponibili all’attualità: insomma, il modello fascista come organizzazione del pubblico potere e dell’istanza politica è un fatto storico definitivamente chiuso. Continuare a perseguire ancora presenti aree di fan mussoliniani – che non mancheranno d’esserci per chissà quanto, ma certamente non in grado di mettere a rischio la stabilità del Paese – produce solo quella che un tempo si chiamava carta bollata, ma carta bollata inutile e dannosa, perché alimento di costanti polemiche a vuoto e d’odio sociale, oltre che fomite d’alchimie giuridiche talora umoristiche; e perpetua pure una discriminazione nel principio fondamentale di liberta di manifestazione delle idee, che non ha più alcuna storica giustificazione e dunque produce opposti reattivi. Il rischio che l’Italia può correre è quello d’ogni Paese democratico – ma all’uopo ci son già figure di reato molteplici – che cioè mire autoritarie di gruppi più o meno organizzati, fomentati dal disagio sociale e dall’inefficienza grave delle istituzioni pubbliche, si propongano la sovversione dell’ordine democratico per instaurare un regime illibertario. Ma tutto ciò non avrà più nulla da condividere con fascismi, autarchia in orbace, oceaniche adunate. È semplicemente risibile pensarlo ed il perpetuare istituti giuridici transitori, fa svolgere al diritto un compito opposto a quello suo proprio, sobillando conflittualità in luogo di comporle. Ed è questo il problema di fondo del nostro Paese: viviamo d’una congerie d’istituzioni inappropriate, irriformabili, incapaci di seguire la realtà della storia che ognora evolve in nuove creazioni umane. A dar risposte efficaci a queste, la mera retorica, le parole vuote ed altisonanti, l’evocazione di valori sussistenti solo nei poco credibili volti su quali stancamente si trascinano, possono per un tempo assai limitato colmare i baratri sempre più profondamente scavati tra Paese reale e Paese legale. È il secondo che deve adeguarsi costantemente al primo, altrimenti l’arretramento sarà su ogni parametro di civiltà ed efficiente organizzazione sociale, sino al momento in cui ci si risveglierà e si vedrà una realtà che proprio non potrà piacere, quand’anche questo risveglio in molti non sia già laconicamente avvenuto.

QOSHE - È il Paese legale che deve adeguarsi al Paese reale - Orazio Abbamonte
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È il Paese legale che deve adeguarsi al Paese reale

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22.01.2024

La giustizia, in Italia, continua ad esser fonte d’interminati dissidi, polemiche, scontri ideologici, disordine politico e sociale. La scorsa settimana, a dir poco tre casi. Il primo: la giustizia ‘ad orologeria’, che ha sostanzialmente annichilito – a soli quattro giorni dal termine per la presentazione delle liste – la candidatura del sardo-leghista Christian Solinas, in conflitto con Fratelli d’Italia per la corsa alla carica di Presidente della Regione Sardegna, lui Governatore uscente. Una coincidenza temporale si direbbe eloquente, se si pensa che sì tempestiva gragnuola di sequestri, perquisizioni ed avvisi di garanzia hanno di fatto fulminando le aspirazioni del combattivo Presidente – assegnando il palio d’una tenzone politica non da poco, attraverso l’ispida ramazza giudiziaria. La mente birichina va alla conferenza internazionale sulla criminalità organizzata del 1994, quando Silvio Berlusconi ricevette il premuroso invito a comparire dalla Procura milanese di fede borrelliana. Si sa, le associazioni di pensiero non solo non si possono fermare, ma spesso son rivelatrici. Secondo caso: durante la conferenza stampa per dar conto del primo anno di lavoro del nuovo Consiglio superiore della Magistratura, il vice presidente Fabio Pinelli, anche lui leghista di fede, ha semplicemente espresso il più banale dei concetti: il Csm nella scorsa consiliatura aveva deragliato dai propri compiti, finendo col fare intensamente vita politica. Apriti cielo, critiche a profusione, risentimento della Presidenza della Repubblica, presa........

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