È il 3 gennaio del 1954: la Rai inizia il regolare servizio di trasmissione attraverso il primo canale televisivo. In due anni la copertura raggiunge il 58% della popolazione italiana e tocca il 97% con lo scoccare del decennio a seguire. Quella illuminata dalle antenne del servizio pubblico è una popolazione oltremodo variegata, anche per grado di indottrinamento. Agli albori degli Anni 60 nel Paese si contano ancora circa 3milioni 800mila analfabeti, pari ad oltre l’8 per cento della popolazione censita. Il grado di alfabetizzazione, nel meridione, sfiora a stento i 32 punti percentuali. Nord e Sud, ma spesso perfino province contigue, fanno gran fatica a comprendersi. Le divergenze, molteplici, sono anche lessicali: a 100 anni esatti dall’unificazione, borghi, contrade, metropoli si esprimono in oltre 30 dialetti diversi. A dar risposta all’urgenza di fare “fronte espressivo comune”, scende in campo proprio mamma Rai. Delegato all’operazione è il maestro Alberto Manzi: il pedagogista - sedicente “insegnante rivoluzionario” - in collaborazione con un team di co-autori vara la trasmissione “Non è mai troppo tardi”. Grazie alla buona intuizione milioni di italiani acquisiscono i rudimenti della lingua. Imparano a leggere e scrivere. A far di conto. E’ uno slancio “sovversivo” in direzione dell’apprendimento, che muterà il Paese nei decenni a seguire, accompagnandolo verso le accelerazioni dell’erudizione. Assodato ciò, ci si chiede se al cospetto delle nuove frontiere della sapienza - spostate innegabilmente in avanti dall’irrefrenabile lavorio della ricerca - sia oggi il caso di donare nuova vita al format. La sfida inusitata - assieme al subitaneo abbattimento del rischioso analfabetismo di ritorno, capace di mietere vittime perfino fra i più giovani - sta nella circolazione della conoscenza digitale, la mancata diffusione della quale comincia a creare seri handicap alle generazioni “adulte”. Laddove si discute sistematicamente di intelligenza artificiale, infatti, coesistono larghe sacche di ignoranza circa i primissimi rudimenti digitali. E la disfunzione nefasta rischia di lasciare indietro milioni di “anziani”. D’altronde ciascuna delle prime tre reti nazionali possiede larghi spazi in palinsesto da condurre verso una rapida riqualificazione, fra talk show fotocopiati uno via l’altro (che di show conservano il nulla) e contenitori sistematicamente clonati, capaci soltanto di ingenerare noia nei consumatori. Il rilancio della culturalizzazione di massa è, insomma, ancora una volta la diversa direzione da intraprendere. Perfino (se non innanzitutto) per il rilancio dello stesso servizio pubblico: in fondo anche per la Rai “non è mai troppo tardi”.

QOSHE - Non è mai troppo tardi se la Rai fa cultura - Massimo Maffei
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Non è mai troppo tardi se la Rai fa cultura

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18.03.2024

È il 3 gennaio del 1954: la Rai inizia il regolare servizio di trasmissione attraverso il primo canale televisivo. In due anni la copertura raggiunge il 58% della popolazione italiana e tocca il 97% con lo scoccare del decennio a seguire. Quella illuminata dalle antenne del servizio pubblico è una popolazione oltremodo variegata, anche per grado di indottrinamento. Agli albori degli Anni 60 nel Paese si contano ancora circa 3milioni 800mila analfabeti, pari ad oltre l’8 per cento della popolazione censita. Il grado di alfabetizzazione, nel meridione, sfiora a stento i 32 punti percentuali. Nord e Sud, ma spesso perfino province contigue, fanno gran fatica a comprendersi. Le........

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