Mi appassiona tutto della vita, anche se dietro il mio lavoro tra la gente e la mia parvenza di “uomo pubblico” coltivo accuratamente (e gelosamente) una natura da misantropo. Mi piace sopra ogni cosa star da solo a costruire il mio rapporto con la conoscenza, l'arte in senso più stretto, quella “sfera speciale della vita che contiene l'alta creatività delle persone di talento", la finestra (a dirla alla George Bernard Shaw) per affacciarsi sull'anima, il grande mistero che mi porto dentro senza un inizio né una fine e in cui mi trovo ogni tanto a navigare come un naufrago in un oceano nella nebbia e dove mi inoltro appena posso con rigore quasi sacerdotale. Di tutte le innumerevoli espressioni dell'arte amo oltremodo la poesia (la culla delle storie fulminee), ma tutta la letteratura in ogni sua forma mi affascina, la narrativa poi sin da piccolo, per non parlare del cinema (moltissimo), il teatro, le mostre di ogni ordine e grado, e l'immancabile compagna di tante ore di vita pensante e per lo più solitaria, la musica, tutta, anche nelle sue evoluzioni più sperimentali ed estreme, ma in particolare il cantautorato italiano e i grandi gruppi rock degli anni '70 e '80. Ascolto con discrezione e dubbiosità (solo per mia ignoranza), ma immutata partecipazione, la lirica e l'opera. Anche il balletto, che confesso un po' mi annoia, per quanto resti incantato di fronte a quei corpi al contempo atletici ed eterei, parla al mio cuore. Diceva Leonard Bernstein il grande musicista e direttore d'orchestra statunitense del secolo scorso su cui è recentemente uscito un film molto bello e discusso che "un’opera d’arte non dà risposte alle domande, le suscita. Il valore sta nella tensione delle risposte contraddittorie". È come se un dinamico e turbolento confronto di voci ed esperienze, una fitta confabulazione interiore, uno scambio solo talvolta una vera e propria folgorazione si rivelasse tra chi legge, guarda o ascolta e l'opera d'arte in oggetto. Ogni storia sonora, verbale o visiva che sia può raggiungere il centro del nostro essere, farlo risuonare come un tamburo, mutarlo, oscurarlo o illuminarlo a seconda dei casi, spesso migliorarlo, non infrequentemente perfino per sempre. Quando l'arte ottiene questo risultato abbagliante, profondo e duraturo non più su un singolo individuo ma su tutta una comunità, entrando così a far parte dei suoi gusti, delle sue inclinazioni, dei suoi usi e dei suoi costumi, potremmo quasi dire della sua morale pubblica in senso generale, allora ne diventa il tratto culturale distintivo e patognomonico, quasi una stimmate del suo reale e incontrovertibile valore spirituale. O, al contrario, ove mai di quella cultura se ne registri il declino o l'insignificanza sociale, si trasforma di fatto nella "lettera scarlatta" di quel popolo o di una parte di esso. Cosa che accade sempre più frequentemente nelle collettività con maggiori criticità economiche e dove la delinquenza, il malaffare e l'evasione fiscale la fanno da padrone. Un cortocircuito etico senza precedenti corre comunque il rischio di impadronirsi di tutti noi se al di là di una parificazione socio-economica sempre più urgente nelle diverse aree geografiche di questo paese dove gli indici di lettura e di partecipazione a mostre e concerti sono tra i più bassi del continente europeo non mettiamo un freno anche al dilagare dei "cattivi esempi" mediatici e, diciamolo pure, politici, e se non allontaniamo noi stessi e (soprattutto) i nostri figli dalla schiavitù di un approvvigionamento educazionale e di un sostentamento culturale tutti mutuati dal web e dai social, senza più la "vecchia" interlocuzione affettiva dei "buoni esempi" e senza un adeguato filtro critico, questo sì tutto squisitamente culturale, che ce ne tuteli. Come diceva Pablo Picasso "ogni bambino è un’artista. Il problema è poi come rimanere un’artista quando si cresce", e noi, con la nostra nuova cultura dell'anarchismo formativo trasformatosi ormai di diritto in analfabetismo di massa, ce li stiamo perdendo tutti questi semi in attesa di diventare frutti. Affrancarsi dell'isolamento di una informazione artefatta e vuota, reimpadronirsi delle parole e della loro sintassi, associare ciò che sappiamo davvero (senza suggeritori di fortuna) a ciò che siamo, potranno certamente essere alcuni dei modi affinché l'arte e le sue domande diventino parte integrante della "dottrina" di ciascuno e, si spera, di tutti. Solo facendo salire il "tono" del discorso civile con strumenti che sono anche ideologici e spirituali Robert Shumann diceva che "mandare luce dentro le tenebre dei cuori degli uomini è il dovere dell’artista" potremo scrivere pagine nobili per questo paese e per questo antico e multiforme popolo, che di arte trabocca da sempre non al punto però da allocare sul suo territorio la metà del patrimonio mondiale ma di cultura ogni giorno di meno. Come dimostrano ormai senza dubbio alcuni dati ISTAT sulla "partecipazione culturale" degli italiani da 6 a 100 anni. E come sostenuto dal bravo giornalista Angelo Zaccone Teodosi, esperto di ricerche socio-economiche e marketing, in un editoriale del 22 aprile del 2022, nel quale affermava che "a fronte di un diffuso entusiasmo sulla fruizione digitale individuale e domestica, nessuno si interessa realmente dei cinematografi, delle librerie e delle edicole. Prevale inerzia e rassegnazione (digitale)”. Secondo Teodosi, di fatto, tutti gli accessi a ogni forma d'arte e cultura cinema, teatri, mostre, libri, giornali sono in una regressione che sembra sempre più irreversibile, comportando, oltre alla gravissima perdita di investimenti, posti di lavoro, strutture e infrastrutture, anche un impoverimento senza precedenti della trama nozionistica e cognitiva dell'intero sistema sociale italiano. E questo mentre la frequentazione scolastica degli istituti superiori è in costante e meritevole crescita. Insomma, più scuola e più digitale a fronte di meno lettura, meno informazioni e meno godimento artistico in genere. E non cito neanche quel tessuto connettivo ormai atrofizzato delle manifestazioni pubbliche del sapere e del fare, che hanno rappresentato il motore felice e scoppiettante dei grandi movimenti politici e culturali della seconda metà del '900. Siamo diventati corpi ipertrofici e vuoti, una bella apparenza (quando c'è) a fronte di una sconcertante e goffa sostanza. Qualcuno, a voler essere buoni, (ri)direbbe, "tanto rumore per nulla". Qualcun altro, per queste e altre ragioni, già 23 anni fa aveva detto (e forse non ridirebbe neanche più), "la mia generazione ha perso".

QOSHE - Tutta quell’arte che diventa sempre meno cultura - Gerardo Casucci
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Tutta quell’arte che diventa sempre meno cultura

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08.01.2024

Mi appassiona tutto della vita, anche se dietro il mio lavoro tra la gente e la mia parvenza di “uomo pubblico” coltivo accuratamente (e gelosamente) una natura da misantropo. Mi piace sopra ogni cosa star da solo a costruire il mio rapporto con la conoscenza, l'arte in senso più stretto, quella “sfera speciale della vita che contiene l'alta creatività delle persone di talento", la finestra (a dirla alla George Bernard Shaw) per affacciarsi sull'anima, il grande mistero che mi porto dentro senza un inizio né una fine e in cui mi trovo ogni tanto a navigare come un naufrago in un oceano nella nebbia e dove mi inoltro appena posso con rigore quasi sacerdotale. Di tutte le innumerevoli espressioni dell'arte amo oltremodo la poesia (la culla delle storie fulminee), ma tutta la letteratura in ogni sua forma mi affascina, la narrativa poi sin da piccolo, per non parlare del cinema (moltissimo), il teatro, le mostre di ogni ordine e grado, e l'immancabile compagna di tante ore di vita pensante e per lo più solitaria, la musica, tutta, anche nelle sue evoluzioni più sperimentali ed estreme, ma in particolare il cantautorato italiano e i grandi gruppi rock degli anni '70 e '80. Ascolto con discrezione e dubbiosità (solo per mia ignoranza), ma immutata partecipazione, la lirica e l'opera. Anche il balletto, che confesso un po' mi annoia, per quanto resti incantato di fronte a quei corpi al contempo atletici ed eterei, parla al mio cuore. Diceva Leonard Bernstein il grande musicista e direttore d'orchestra statunitense del secolo scorso su cui è recentemente uscito un film molto bello e discusso che "un’opera d’arte non dà........

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