Il 7 marzo - non so quanto casualmente, il giorno prima della festa della donna - ricorreva Santa Perpetua, nome proprio di persona femminile (ne esisterebbe anche una versione maschile del tutto inusuale), nato in epoca tardo romanica in virtù di chiare contaminazioni dell'allora sempre più diffondente religione cristiana sulla onomastica di quel tempo. Il nome mutua le sue origini dal vocabolo latino "perpetuus" (per qualcuno, invece, da "perseverans", il cui significato etimologico tanto diverso poi non sarebbe), che vuol dire appunto "perpetuo", "continuo", "perseverante", "immutabile", "eterno" ed "è stato adottato in ambienti cristiani con riferimento proprio alla saldezza nella fede". La santa da cui è tratta la festività del 7 marzo è morta nel 203 d.C. ed è grandemente venerata dalla Chiesa cattolica proprio per la tenacia e l'incrollabiltà della sua fede, spinta fino all'estremo martirio, raccontato nei dettagli nell'omonimo "Passio Sanctarum Perpetuae et Felicitatis". Con la pubblicazione nel 1825 de "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni, il nome "ha subito progressivamente un processo deonomastico", finendo per non connotare più le caratteristiche anagrafiche di una donna bensì quelle occupazionali e, in seconda battuta, morali. Si è finiti, infatti, con l'attribuire il termine in questione a tutte le donne che prestavano servizio domestico presso sacerdoti, parroci in particolare. In seconda battuta la parola è stata usata sempre prendendo spunto dal famoso romanzo dello scrittore milanese a indicare una donna chiacchierona (anche se spesso a ragion veduta), impicciona (ma non sempre inopportunamente) e pettegola. Insomma, una che non sa farsi gli affari suoi né tacere su quelli altrui. Ma a questa astiosa declinazione io preferisco di gran lunga quella più nobile, originata anche in parte da quel testo ma soprattutto dalla religione cristiana, che evoca radiosi principi di immutabilità, eternità e fermezza. In altre parole l'apogeo della fedeltà disinteressata tra uomini e donne, in assenza pure di ogni traccia di coinvolgimento sessuale. Certo di curati si parla e, come è stato stabilito dallo stesso Manzoni, anche di donne non giovani né avvenenti nel libro di lei le sue amiche dicevano che "non aveva trovato nessun cane che la volesse" ma resta il fatto che, come nella finzione del racconto, la nostra Perpetua, popolana e battagliera, pronta a gettarsi nel fuoco per il suo padrone, costituisce un simbolo di forza morale, parsimonia e appartenenza, che in due secoli esatti di storia umana sembra essersi ormai inesorabilmente perduto. Io ne ho conosciute tante di perpetue, nelle canoniche di campagna come nelle nobiliari o borghesi case cittadine nella versione da governante, più vicina alla Mami di "Via Col vento" (la meravigliosa e premiatissima Hattie McDaniel) che alla ingombrante serva di don Abbondio ma nessuna batte la mia. Una brasiliana (a differenza delle nostre latitudini, lì il nome è ancora comunissimo), con noi da un quarto di secolo, ormai anziana, ma ancora ago della bilancia di mille situazioni interne ed esterne alla nostra famiglia, mai doma a dispetto dei suoi acciacchi, buona e solida cuoca, brontolona quanto basta, ma mai impicciona, nonna per i miei figli e madre per chi e ormai da tempo non c'è più e amica per i loro genitori. In un tempo in cui di perenni non ci sono più neanche i ghiacciai, esistono ancora adesioni profonde alle storie famigliari, non dettate dagli interessi, che valgono più di tutto l'oro del mondo e si ostinano a durare dentro l'humus di quel mondo appartato e complesso ben oltre la sua stessa fugace esistenza, tra insegnamenti, giorni di ombre e di luci, abbracci e silenzi. Sono la resilienza affettiva per antonomasia, gli ultimi baluardi di una realtà che non sa più declinare le parole devozione e fiducia, preferendo di gran lunga quelle di frenesia e progresso. Sparute, più o meno come le poche Perpetue che ancora portano con pieno onore questo nome in giro per il Belpaese (ne sarebbero poco poco più di 50), mutano le vite di chi ha la fortuna o la lungimiranza di preservarle per sé e per la propria famiglia più di mille scalate sociali, più di mille inutili liste di "contatti" e "sostenitori". Il nome della nostra fedele compagna di viaggio non è Perpetua, ma è come se lo fosse. Per questo, il 7 marzo è stata anche la sua festa.

QOSHE - Santa Perpetua e la (breve) riflessione sulla fedeltà - Gerardo Casucci
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Santa Perpetua e la (breve) riflessione sulla fedeltà

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11.03.2024

Il 7 marzo - non so quanto casualmente, il giorno prima della festa della donna - ricorreva Santa Perpetua, nome proprio di persona femminile (ne esisterebbe anche una versione maschile del tutto inusuale), nato in epoca tardo romanica in virtù di chiare contaminazioni dell'allora sempre più diffondente religione cristiana sulla onomastica di quel tempo. Il nome mutua le sue origini dal vocabolo latino "perpetuus" (per qualcuno, invece, da "perseverans", il cui significato etimologico tanto diverso poi non sarebbe), che vuol dire appunto "perpetuo", "continuo", "perseverante", "immutabile", "eterno" ed "è stato adottato in ambienti cristiani con riferimento proprio alla saldezza nella fede". La santa da cui è tratta la festività del 7 marzo è morta nel 203 d.C. ed è grandemente venerata dalla Chiesa cattolica proprio per la tenacia e l'incrollabiltà della sua fede, spinta fino all'estremo martirio, raccontato nei dettagli nell'omonimo "Passio Sanctarum Perpetuae et Felicitatis". Con la pubblicazione nel 1825 de "I promessi sposi" di Alessandro Manzoni, il nome "ha subito........

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