“Felici e splendidi i grandi amanti!/Il grande amore non rende folli le nature grandi", così scriveva la misconosciuta ai più - per suo precipuo volere - poetessa inglese, l'aristocratica tanto cara a William Butler Yeats, eppure mai tradotta in Italia e quasi del tutto dimenticata nel suo stesso paese, la Saffo della “perfida Albione", Dorothy Wellesley, in un suo splendido componimento dei primi del '900. E, per quanto il verso sia in qualche modo assertivo oltre misura, aveva ragione. Ma il mondo non è fatto (solo) di "grandi nature" (magari!), per lo più pullula di suoi piccoli e insignicanti surrogati. Quei pochi umani ascrivibili alle apologetiche vette, quando ne troviamo qualcuno e ci va bene, mutano il corso dei nostri eventi e lasciano in noi impronte indelebili. E questo è a maggior ragione vero nelle relazioni amorose. Qualcuno, però, nonostante la sua grandezza, non è che in amore riesca a dare gran prova di sé. Anzi. Ma, si sa, l'amore è un gorgo, e non sempre si riesce a starci dentro senza contaminarsi e uscirne (qualora poi lo si voglia) illesi. Tutti o quasi preferiamo esempi mediocri, che più si adattano alla nostra inerzia o, alla meglio, alla nostra insicurezza. Ci piace accodarci alla massa per rinfrancarci nella ordinarietà che la pervade, almeno in quel coacervo di voci gutturali le nostre parole si confonderanno con la monotonia del sottofondo e appariranno perfino enunciabili. I nuovi giovani crescono sempre più ipnotizzati dai postulanti di like senza cultura né grazia, capaci solo di frasi stonate, smozzicate o volgari. Scegliete voi il genere (musicale) a cui far riferimento. La fragilità chiama fragilità, la paura si trasforma in abisso, paludi di sabbie mobili, inalterati silenzi, da cui le persone - o quel che resta di loro - non sanno affrancarsi. Più si è piccoli, dozzinali e insignificanti e più i comportamenti evocano il nulla. Il petto si gonfia per apparire ciò che non si è e l'amore - o quello che chiamiamo così ma è tutt'altra cosa - copre i tormenti e gli spasmi, per vomitare il pasto mai consumato, il sorso mai deglutito, il respiro mai respirato. È per questo che sempre più malediciamo chi ci ama, perchè rivela al mondo chi siamo veramente, senza finzioni e senza appelli. L'uomo è nudo davanti alla "sua" donna, più che al cospetto di sé stesso, come un neonato nelle grandi mani materne, solo che quella che ora lo lustra o lo blandisce, quella che lo cura o lo "tradisce", non è sua madre, né ne possiede - di questo pare esserne più che certo - l'incontaminata fiducia, non le appartiene l'incondizionata dedizione. È in questo (in fondo) breve arco temporale che va dall'utero materno a quello coniugale, che i maschi compiono così le più atroci vendette, consumano le più vergognose rese dei conti, recidono i più dolci steli. Ci muoviamo tutti tra rapporti di coppia statici e monotoni, possessivi e infantili, e un libertarismo sfrenato e cieco. Siamo, sempre di più, alla ricerca di una gioventù che sembra perduta anche per chi non l'ha mai avuta. Tutti a rivendicare un riscatto dall'emarginazione, fregandosene degli altri e pensando solo al proprio tornaconto. I social poi danno opportunità inusitate per apparire migliori di quello che si è, per simulare una presenza di fronte all'inapparenza, per conteggiare un valore a dispetto dell'inutilità. Nasce da qui l'urgenza di non perdersi, quella di non dissiparsi in quel nulla in cui tutti, chi più chi meno, ogni giorno viviamo. E quale modo migliore dell'affermare un (finto) mondo rigoglioso e fiorito invece dell'arida desolazione che respiriamo. E quale occasione migliore di quella che - ostinata e picciosa come quella di un bambino - ci consente di sopraffare, violare o zittire chi "amiamo", per poco o per sempre. In un'altra sua magica poesia la Wellesley ha scritto: "...e mi abbracciò a lungo/nel mio abisso, colui che amo,/sussurrava: “Qui è la salvezza,/la risposta, il perdono”. Temo sia passato troppo tempo da quando queste parole recavano un significato, un valore, un peso, una summa. L'uomo che accoglieva chi amava - il bene supremo della solidarietà e della sintonia - per finire quanto intrapreso nel periglioso cammino dei sentimenti e giungere all'atto taumaturgico e atemporale per eccellenza di un legame affettivo, l'abbraccio. E in quell'abbraccio trovare la confutazione che ancora cerchiamo, la soluzione a tutti i mali della nostra anima. Ma non è nell'abisso che restiamo quando troviamo l'anima gemella (anche solo per un po'). L'amore è la misura per uscirne. Oggi, però, preferiamo rinunciare, quantomeno moralmente, giunti (spesso) neanche a metà dell'impresa - entrambi i generi partecipano a questo triste gioco - manco fossimo tutti in prova e non dovessimo lasciare un'impronta nelle vite che attraversiamo e nelle persone che incontriamo. Amare, più di ogni altra prova di sé, in ogni caso, è diventato un'altra cosa rispetto a quanto poetato dalla Wellesley - impulso destinato neanche più "alle grandi nature" - ma, riveduto e corretto, sembra ormai essere riservato nella sua forma più pura e incontaminata solo ai vecchi e al declino delle loro passioni. Smettiamo perciò di simulare un ossequio al "sesso debole", che non è comunque parità, o di citare a vanvera Prevert, e torniamo a elaborare una risposta unitaria, semplice e credibile a un bisogno d'amore - ne basterebbe anche uno piccolo piccolo - a cui donne, uomini e bambini, oggi più che mai, ciecamente soccombono.

QOSHE - L’inapplicabile legge di Dorothy Wellesley al “grande amore” - Gerardo Casucci
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L’inapplicabile legge di Dorothy Wellesley al “grande amore”

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18.12.2023

“Felici e splendidi i grandi amanti!/Il grande amore non rende folli le nature grandi", così scriveva la misconosciuta ai più - per suo precipuo volere - poetessa inglese, l'aristocratica tanto cara a William Butler Yeats, eppure mai tradotta in Italia e quasi del tutto dimenticata nel suo stesso paese, la Saffo della “perfida Albione", Dorothy Wellesley, in un suo splendido componimento dei primi del '900. E, per quanto il verso sia in qualche modo assertivo oltre misura, aveva ragione. Ma il mondo non è fatto (solo) di "grandi nature" (magari!), per lo più pullula di suoi piccoli e insignicanti surrogati. Quei pochi umani ascrivibili alle apologetiche vette, quando ne troviamo qualcuno e ci va bene, mutano il corso dei nostri eventi e lasciano in noi impronte indelebili. E questo è a maggior ragione vero nelle relazioni amorose. Qualcuno, però, nonostante la sua grandezza, non è che in amore riesca a dare gran prova di sé. Anzi. Ma, si sa, l'amore è un gorgo, e non sempre si riesce a starci dentro senza contaminarsi e uscirne (qualora poi lo si voglia) illesi. Tutti o quasi preferiamo esempi mediocri, che più si adattano alla nostra inerzia o, alla meglio, alla nostra insicurezza. Ci piace accodarci alla massa per rinfrancarci nella ordinarietà che la pervade, almeno in quel coacervo di voci gutturali le nostre parole si confonderanno con la........

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