Ho cominciato a scrivere un po’ a caso sul Festival di Sanremo 2024, sia perché il mio interesse per l’evento è sempre prossimo allo zero e sia perchè preso come quasi sempre da "qualcosa di importante, di utile e di grande" (citazione, già fatta, di Lucio Dalla). La voglia di parlarne mi è nata, manco a dirlo, non appena hanno toccato la "mia" Napoli ne possiamo parlare male, infatti, solo noi che ci siamo nati e ancora ci viviamo. Il motivo del contendere è tutto in un razzismo sempre meno strisciante e subdolo, approdato in pompa magna, infine, anche nella fiorita città ligure, badate bene però non nei confronti del sud nella sua interezza cosa a cui siamo ormai anche indifferentemente abituati ma molto selettivamente e furiosamente verso la sua capitale storica e sempre più anche socio-culturale (piaccia oppure no), la "mia" Napoli, appunto. L'opportunità (o la scusa) ai miseri focaioli e ai rozzi ideologi da caverna, l'ha data la presenza, sul palco sfavillante di luci, abiti chic e paillettes, nientemeno che di un ragazzo quasi 24enne di Secondigliano (il luogo di nascita e di residenza non è, come vedremo, poi così secondario), pieno di vitalità e felici turbolenze, giovane dentro e fuori, e pure scanzonato il giusto, che non sa scrivere la lingua della sua terra come Bovio, Di Giacomo o Totò, ma che racconta la sua vita e la sua gente con l'orgoglio e l'umiltà sincopate di un rap miracoloso e sgrammaticato, ma anche di chi vede a due passi quello che altri impiegheranno anni per capire. Non pensate a Pino Daniele o a Eugenio Bennato, quelli respiravano un vento che non esiste più, perso com'è tra vicoli affollati di murales e malaffari e panorami del "riscatto turistico" partenopeo spesso più posticci che reali. Emanuele Palumbo, in arte Geolier lo pseudonimo è tratto dal nome che gli abitanti di Secondigliano danno a loro stessi, secondini, che in francese si traduce al singolare appunto geolier è il "carceriere" immaginatene ancora la potenza simbolica nient'affatto acefala o sottoculturalizzata di un popolo segregato, costretto alla pedissequa rappresentazione di violenza e opportunismo, emarginato prima da sé stesso che dalla società e dalla storia. Geolier con quella capacità sdrucciolevole e spensierata lo ha pienamente riscattato, nelle cover, dove ha vinto, come nel concorso vero e proprio, dove la vittoria gli è stata sottratta da una categoria di "giornalisti" più miopi di quelli che ghettizzavano Totò e Troisi e si sono poi trovati a consegnare premi a loro nome. L'Unità d'Italia è salva, un rapper dalla "lingua sgraziata e incomprensibile" torna (con gioia per lui) nel suo quartiere, ma quello che lascia resterà a lungo (forse per sempre) nelle case e nei cuori della marea montante e festante dei nostri ragazzi. Il domani è tutto là.

QOSHE - Geolier e l’occasione persa per inseguire il domani - Gerardo Casucci
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Geolier e l’occasione persa per inseguire il domani

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13.02.2024

Ho cominciato a scrivere un po’ a caso sul Festival di Sanremo 2024, sia perché il mio interesse per l’evento è sempre prossimo allo zero e sia perchè preso come quasi sempre da "qualcosa di importante, di utile e di grande" (citazione, già fatta, di Lucio Dalla). La voglia di parlarne mi è nata, manco a dirlo, non appena hanno toccato la "mia" Napoli ne possiamo parlare male, infatti, solo noi che ci siamo nati e ancora ci viviamo. Il motivo del contendere è tutto in un razzismo sempre meno strisciante e subdolo, approdato in pompa magna, infine, anche nella fiorita città ligure, badate bene però non nei confronti del sud nella sua interezza cosa a cui siamo ormai anche........

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