Occhi puntati su Kiev e Gaza ma più opportuno è forse volgere lo sguardo a Pechino, Washington e Mosca. Di massimo livello gli inviati di Joe Biden nella capitale cinese: nella scia di Janet Yellen, ministro del Tesoro, si profila Anthony Blinken, ministro degli Esteri. A rafforzare il segnale che la Casa Bianca vuole migliorare le relazioni tra Stati Uniti e Cina. L’imperativo è di conciliare il conciliabile, ma pure qualcosa in più se possibile. Il vantaggio di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca appare vieppiù netto nelle indagini demoscopiche, rilevabile persino dall’incremento delle sovvenzioni che riducono la distanza da quelle a favore del presidente in carica. Mancano ancora parecchi mesi al voto di novembre ma l’inquilino della Casa Bianca avverte la necessità d’invertire al più presto la rotta. Biden deve recuperare consensi, agendo negli affari sia interni che esteri. Medio ed Estremo Oriente, cioè Israele e Celeste Impero, possono indirettamente assicurargliene non pochi. E sommarsi a quelli derivanti dalla soddisfazione dei contribuenti americani per il maggiore impegno economico che gli alleati europei assicurerebbero sia per le spese della Nato, sia per il regime di Kiev. Cosa non da poco, se si consideri che l’Europa già contribuisce al sostegno del dollaro e al suo ruolo internazionale, tamponando le inquietudini per l’indebitamento pubblico Usa che a gennaio ha oltrepassato la soglia dei 34mila miliardi (era di 31mila e 600 l’anno precedente). Da Bruxelles arriverebbero 100 miliardi e da Washington 60 miliardi: se tutto fila liscio nell’una e nell’altra capitale (dove un compromesso tra repubblicani e democratici un giorno si profila e l’altro si defila). In Medio Oriente riscopre, Biden, l’intesa raggiunta da Trump cogli Accordi di Abramo mentre si mostra determinato a imporre una svolta in Israele. Dopo la richiesta di Benny Gantz di elezioni anticipate a settembre non a caso prima del novembre presidenziale negli Usa appaiono indebolite le resistenze di Benjamin Netanyahu a non risparmiare l’ultimo lembo di Gaza in mano ad Hamas ma affollato di civili. Netanyahu paga la colpa gravissima di allontanare la soluzione dei due Stati chiudendo gli occhi su Hamas fino al massacro di civili del 7 ottobre: lo scopo era contrapporre quell’organizzazione terrorista all’Anp ma ne ha ingigantito ruolo, forza, dipendenza da Teheran e quindi pericolosità per lo stesso Israele. E ha fatto il gioco di Hamas, che ha spostato sul governo israeliano la pressione internazionale per la liberazione degli ostaggi nelle sue mani. Accelera, Biden, un prudente riavvicinamento alla Cina. E il presidente Xi Jinping si mostra aperto al dialogo. L’ultimo ‘imperatore’ ha tutto l’interesse alla permanenza di Biden alla Casa Bianca: la guerra alla Russia per interposta nazione, l’Ucraina, costituisce la massima assicurazione di mantenere al suo fianco Vladimir Putin. L’obiettivo di Pechino è di tenersi stretta la Russia, che offre non solo energia a buon mercato per l’industria cinese ma pure copertura nucleare tra alleati, affidando il ruolo di terza superpotenza planetaria al suo primato nel numero di testate e vettori. La politica estera, insomma, ha un peso stavolta non residuale nelle scelte elettorali degli americani: subito dopo l’economia (che negli Usa va bene – pur se con Trump viaggiava meglio ma viene sottostimata a causa dell’inflazione) e l’invasione incontrollata e imponente da parte degli immigrati clandestini (una decina di milioni!) attraverso la frontiera con il Messico nei tre anni di Biden alla Casa Bianca. A testimoniarlo sono appunto queste missioni dei segretari al Tesoro e agli Esteri precedute, circa una settimana fa, dalla lunga telefonata un’ora e mezza abbondante tra i leader delle due superpotenze. Xi Jinping ha tentato di nascondere la soddisfazione. Ma se “franco e costruttivo” è la formula con la quale si definisce un confronto importante ma povero di risultati positivi, cui si aggiunge anche l’avvertimento sul rischio che i rapporti potrebbero addirittura “sfociare in uno scontro”, è invece l’inciso che le relazioni tra i due Paesi stanno stabilizzandosi a rivelare i passi avanti negli ultimi tempi, precisamente a partire dall’incontro a San Francisco tra Biden e Xi nel novembre scorso, dopo oltre un anno dall’ultima telefonata scambiata nel luglio del 2022. All’attuale dirigenza del Celeste Impero preme una svolta positiva nei rapporti commerciali con gli Usa che sarebbe molto più difficile con Trump alla Casa Bianca. Tuttavia, a tre condizioni: 1) assicurandosi continuità nell’espansionismo geo-economico che accompagna a quello geo-politico; 2) garantendosi stabilità sul piano strategico, che per Pechino significa salvaguardare la crescita lenta ma costante degli armamenti funzionali al ruolo di una superpotenza (sia convenzionali, segnatamente nella Marina, sia nucleari, sia spaziali d’intelligence e non solo); 3) riaffermando soprattutto la “linea rossa” su Taiwan, cui non vuole venga alimentata l’illusione di una indipendenza dall’impero continentale e che considera il futuro presidio terrestre di rotte e libertà ‘controllata’ di navigazione in un mare che considera soprattutto suo e in una regione ampia del mondo che ritiene ‘cortile di casa’. Le intese di massima tra Janet Yellen e il vicepremier He Lifeng hanno riguardato segnatamente il campo economico. Il surplus di produzione cinese – che risponde ad esigenze occupazionali richiede ulteriori spazi sul mercato Usa. Le importazioni dalla Cina con Biden sono addirittura accresciute (tollerate da Washington perché contribuiscono a contenere prezzi e quindi inflazione). L’obiettivo di Pechino di una crescita del 5% del Pil imporrebbe però un ulteriore aumento. In cambio, prospetta investimenti per impianti industriali (e relativa occupazione), meno spionaggio e furti di tecnologia, scambi e collaborazione di reciproco interesse nel campo delle energie rinnovabili e nella e-economy, controllo su sviluppo e utilizzo dell’Ia (l’intelligenza artificiale) e cosa molto importante per un’America che conta un numero impressionante di tossicodipendenti e consumatori più o meno abituali di stupefacenti – la repressione di Pechino contro la produzione e la spedizione, via Paesi terzi, di componenti di droghe sintetiche dirette in Occidente (segnatamente all’enorme mercato statunitense). Con Blinken le discussioni punteranno su intese relative alla sicurezza reciproca e alla stabilità internazionale, cioè più consulti e verifiche degli impegni presi al riguardo. Washington si propone di raffreddare le relazioni tra Pechino e Mosca con un occhio all’Ucraina: il governo cinese nega di offrire a Mosca spionaggio spaziale e armamenti, ma indirettamente lo farebbe attraverso aziende private. Senza contare che Mosca, come per i droni iraniani, così realizza impianti industriali per fabbricarle in loco. D’altronde, il governo americano riconosce l’esistenza di una sola Cina ma fornisce armi di ‘dissuasione’ a Taiwan perché possa difendersi da un tentativo di riunificazione forzata e la flotta con bandiere a stelle e a strisce assicura la libertà di navigazione. E Putin? Il massacro al teatro di Mosca ha, come previsto, incendiato il patriottismo dei russi e ai centri di arruolamento affluiscono migliaia di giovani (in Ucraina, invece, gli arruolandi tentano di riparare all’estero). Si teme che il regime di Volodymyr Zelensky possa addirittura colpire la centrale nucleare di Zaporizhzhia, incolpando i russi (che le controllano). Ma non è più solo Trump, negli Stati Uniti, a ritenere che la soluzione prospettata da Henry Kissinger e tanti altri esperti di strategia globale, sia la via da seguire: Crimea e regioni russofone tornano alla Russia e l’Ucraina entri nell’Ue e (senza forze militari e armamenti da pronto attacco) nell’Alleanza Atlantica.

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Xi punta su Biden per tenersi Putin

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09.04.2024

Occhi puntati su Kiev e Gaza ma più opportuno è forse volgere lo sguardo a Pechino, Washington e Mosca. Di massimo livello gli inviati di Joe Biden nella capitale cinese: nella scia di Janet Yellen, ministro del Tesoro, si profila Anthony Blinken, ministro degli Esteri. A rafforzare il segnale che la Casa Bianca vuole migliorare le relazioni tra Stati Uniti e Cina. L’imperativo è di conciliare il conciliabile, ma pure qualcosa in più se possibile. Il vantaggio di Donald Trump nella corsa alla Casa Bianca appare vieppiù netto nelle indagini demoscopiche, rilevabile persino dall’incremento delle sovvenzioni che riducono la distanza da quelle a favore del presidente in carica. Mancano ancora parecchi mesi al voto di novembre ma l’inquilino della Casa Bianca avverte la necessità d’invertire al più presto la rotta. Biden deve recuperare consensi, agendo negli affari sia interni che esteri. Medio ed Estremo Oriente, cioè Israele e Celeste Impero, possono indirettamente assicurargliene non pochi. E sommarsi a quelli derivanti dalla soddisfazione dei contribuenti americani per il maggiore impegno economico che gli alleati europei assicurerebbero sia per le spese della Nato, sia per il regime di Kiev. Cosa non da poco, se si consideri che l’Europa già contribuisce al sostegno del dollaro e al suo ruolo internazionale, tamponando le inquietudini per l’indebitamento pubblico Usa che a gennaio ha oltrepassato la soglia dei 34mila miliardi (era di 31mila e 600 l’anno precedente). Da Bruxelles arriverebbero 100 miliardi e da Washington 60 miliardi: se tutto fila liscio nell’una e nell’altra capitale (dove un compromesso tra repubblicani e democratici un giorno si profila e l’altro si defila). In Medio Oriente riscopre, Biden, l’intesa raggiunta da Trump cogli Accordi di Abramo mentre si mostra determinato a imporre una svolta in Israele. Dopo la richiesta di Benny Gantz di elezioni anticipate a settembre non a caso prima del novembre presidenziale........

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