Vladimir Putin in Arabia Saudita e nel Qatar, con tanti saluti al Tribunale penale internazionale, e candidato alla copertina di uomo dell’anno su ‘Time’. Volodymyr Zelensky rinchiuso, invece, nel bunker del palazzo presidenziale a Kiev impegnato a contrastare sedizioni e congiure dopo aver confermato il rinvio delle elezioni presidenziali. E Joe Biden candidato a una sconfitta nella partita di ritorno per la Casa Bianca, che tenta di sventare programmando una rimonta non impossibile ma ardua se non chiuderà in tempo sia la guerra in Ucraina, tanto inutile quanto disastrosa, sia lo scontro mortale tra Israele convinta a metà sulla soluzione dei due Stati ed Hamas e la costellazione del terrorismo islamico che si nasconde tra i civili e li sacrifica perché l’obiettivo è la distruzione di Israele. Un summit con il presidente iraniano a Mosca (con lo scambio di nuove versioni di droni Shahed contro tecnologia militare e nuovi jet, ha preceduto la missione del capo del Cremlino in Medio Oriente. Il peso di Mosca cresce nell’area, come nei Brics e in Africa, laddove il ruolo della Francia si restringe ma non solo. Fummo in pochi, una ventina circa di mesi fa, a prevedere come sarebbe finita in Ucraina. Oggi sembra che tutti avessero messo in conto la piega che avrebbe preso il conflitto: dalla ‘Washington Post’ al ‘New York Times’, dal ‘Wall Street Journal’ a ‘Le Monde’, dall’Economist a quel che resta in Occidente della carta stampata più diffusa, e dalle tv alle radio, ai social e via elencando. Da accusatore ad accusato, Zelensky, “a causa dei suoi molti e gravi errori”. Errori di cui mai fu fatta menzione se non da pochi e criticati osservatori. E in patria nascosti con la legge marziale e lo scioglimento dei partiti d’opposizione, con le sbarre delle prigioni e a volte qualche palata di terreno. La morìa nella cerchia allargata del potere diviene simile a quella registrata tra gli esponenti della minoranza russofona. Zelensky, dai palcoscenici di film quasi da cineteca a quello planetario e plaudente, ora a questo polveroso e cigolante con lo sfondo vieppiù netto dietro alle spalle di un Paese oppresso da un regime poliziesco, con le città e campagne coltivate e le ricche e antiche foreste dove completamente e dove in gran parte devastate, villaggi come fantasmi, rovine fumanti come in un macabro presepe, centinaia e centinaia di migliaia di vittime tra morti e mutilati, milioni tra sfollati ed emigrati e fuggiaschi, sangue e corruzione senza fine. E l’osceno gioco allo scaricabarile: “Non bisognava iniziare la controffensiva con tre direttrici d’attacco ma con uno”, dal Pentagono. “Troppe armi e troppi arsenali svuotati, troppi soldi da spendere, troppa corruzione, conflitto troppo lungo e conseguenze troppo onerose”, dagli alleati europei che, pure, avevano assicurato il cancelliere Olaf Scholz in testa – sostegno fino all’ultimo euro. Il nuovo ministro degli esteri britannico David Cameron, ch’è poi il vecchio premier, ha annunciato altre sanzioni alla Russia e 43 milioni di euro in aiuti (altro che i 400 miliardi invocati da Zelensky all’Occidente!), però oggi va a consulto a Washington da Antony Blinken con la domanda (titolo… leniniano): “Che fare?”. Insomma, un disastro. Gli applausi lasciano il posto alle critiche velenose, ai voltafaccia e ai ‘tradimenti’, alla cerchia che si restringe velocemente di estimatori osannanti e a quella che s’allarga dei cinici ‘manovratori’, agli accusatori che in passato mai aprirono bocca… La Crimea? Ma chi la recupera più! Le regioni russofone? Rinegoziamone l’autonomia (che prima era stata concessa e poi tradita)…Un film storico, visto e stravisto, delle miserie del mondo degli umani. Per restare nell’Europa dell’est, accadde lo stesso con Boris Eltsin. Ma all’incontrario: prima criticato e vituperato, poi invece osannato perché l’automutilazione dell’impero sovietico aveva salvato in quella fase la Russia, l’equilibrio internazionale e la pace. Ma questa non è l’America di Ronald Reagan e George Bush senior; questa non è l’Europa di Helmut Kohl, Margaret Thatcher, Francois Mitterrand; questo non è l’Occidente che riconciliava l’EuroAtlantico con l’EuroAsia. Con sommo cinismo Jens Stoltenberg, il segretario della Nato da molti considerato il megafono di Washington e Londra, dopo aver incitato il regime di Kiev al combattimento e promesso ogni sorta di sostegno militare, ora preannuncia “cattive notizie”. L’America di Joe Biden rischia di non onorare gli impegni: a nulla finora è servito aver abbinato la sessantina di miliardi di dollari previsti a favore di Kiev all’altra cinquantina destinati ad Israele, alla sfida con la Cina per l’Indo-Pacifico e per attirare il voto dei repubblicani – sentite, sentite – persino al muro e alla sorveglianza del confine con il Messico per frenare l’invasione di migranti che fanno comodo sia a imprenditori e famiglie (ché li pagano meno), sia una volta ottenuti cittadinanza e diritto di voto al partito democratico (che, tanto per fare un esempio, ha guadagnato grazie a loro la California un tempo bastione repubblicano). In Ucraina affiorano profonde crepe nel regime e nelle forze armate mentre si palesa la frustrazione e la rabbia nella popolazione. Ironia della sorte per un attore comico che aveva conquistato la presidenza nel 2019 con il 74% delle preferenze, record assoluto, con l’obiettivo di pacificare l’Ucraina e liberarla dalla corruzione nutrita da una camorra di oligarchi e da una burocrazia ancora di stampo sovietico. E che poi aveva finito per rimangiarsi l’accettazione di compromessi con la minoranza russofona: clamoroso il ‘sì’ poi smentito da un ‘no’ al piano di pace dell’allora premier israeliano Naftali Bennett: finora sottaciuto dai media ma che adesso tutti ricordano e menzionano. Le prossime elezioni presidenziali previste nel 2024 sono state rinviate a data da destinarsi. La moglie di Zelensky sollecita, o forse preannuncia, il ritiro del marito dalla politica: ritiene probabilmente che sarebbe un allontanamento non solo tempestivo ma anche in una eco per quanto fievole di plauso. Teme scenari finali alla Mussolini o alla Ceaucescu?

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Ucraina: Zelensky ora rischia. Putin: missione in Medio Oriente

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07.12.2023

Vladimir Putin in Arabia Saudita e nel Qatar, con tanti saluti al Tribunale penale internazionale, e candidato alla copertina di uomo dell’anno su ‘Time’. Volodymyr Zelensky rinchiuso, invece, nel bunker del palazzo presidenziale a Kiev impegnato a contrastare sedizioni e congiure dopo aver confermato il rinvio delle elezioni presidenziali. E Joe Biden candidato a una sconfitta nella partita di ritorno per la Casa Bianca, che tenta di sventare programmando una rimonta non impossibile ma ardua se non chiuderà in tempo sia la guerra in Ucraina, tanto inutile quanto disastrosa, sia lo scontro mortale tra Israele convinta a metà sulla soluzione dei due Stati ed Hamas e la costellazione del terrorismo islamico che si nasconde tra i civili e li sacrifica perché l’obiettivo è la distruzione di Israele. Un summit con il presidente iraniano a Mosca (con lo scambio di nuove versioni di droni Shahed contro tecnologia militare e nuovi jet, ha preceduto la missione del capo del Cremlino in Medio Oriente. Il peso di Mosca cresce nell’area, come nei Brics e in Africa, laddove il ruolo della Francia si restringe ma non solo. Fummo in pochi, una ventina circa di mesi fa, a prevedere come sarebbe finita in Ucraina. Oggi sembra che tutti avessero messo in conto la piega che avrebbe preso il conflitto: dalla ‘Washington Post’ al ‘New York Times’, dal ‘Wall Street Journal’ a ‘Le Monde’, dall’Economist a quel che resta in Occidente della carta stampata più diffusa, e dalle tv alle radio, ai social e via elencando. Da accusatore ad........

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