Apparentemente l’attacco iraniano ad Israele si spiega come una necessità per la teocrazia di Teheran, pena una disastrosa perdita di credibilità, e presenta tutti gli ingredienti della ‘sceneggiata’ militare ad uso dimostrativo e a fini diplomatici. Almeno apparentemente, infatti, che cos’è avvenuto? Benjamin Netanyahu ha colpito l’ambasciata dell’Iran a Damasco, territorio persiano nella capitale siriana, sfoltendo di cervelli l’Idra che dal confine libanese e dai meandri sotterranei di Gaza colpisce Israele. Il mostro è decapitato, ma ha perso solo alcune delle sue teste e per un tempo più o meno breve. L’obiettivo, tuttavia, potrebbe essere stato molteplice: non soltanto disorientare il nemico per ottenere una pausa su di un fronte mentre le forze di Israele sono impegnate segnatamente sull’altro, ma anche quello di spingere Joe Biden a un maggiore coinvolgimento, cioè a un confronto meno indiretto degli Stati Uniti con Teheran, allargando lo spazio di manovra delle forze Usa dal Mar Rosso, dove sono impegnate contro gli attacchihouti, al teatro molto più ampio della cosiddetta “mezzaluna sciita” (o Crescente fertile), peraltro ulteriormente ampliatosi: dallo Yemen allo stesso Iran e di qui all’Iraq, alla Siria (gli Assad rappresentano la minoranza alauita), fino al Libano dove l’Hezbollah guidato da Hassan Nasrallah associa alla forza politica quella delle sue formazioni terroristiche che costituiscono un pericolo costante per Israele. E ancora. Riportare all’attenzione internazionale la realtà drammatica di uno Stato ch’è isola di democrazia e di sviluppo all’occidentale ma in perenne pericolo d’aggressione, accerchiato com’è dalla marea musulmana nelle svariate sue versioni, in uno spaziomediorentale dove gli sciiti e i sunniti quasi si equivalgono per numero, mentre nel pianeta gli sciitirappresentano appena il 20% degli islamici e verso Israele si rivelano ben più aggressivi e pericolosi. Il coinvolgimento strategico di Washington, però, non c’è stato. E non solo per le colpe passate e presenti di Netanyahu, ma anche per ragioni di politica interna, con le elezioni presidenziali che s’avvicinano e che vedono Joe Biden volto all’affannoso recupero degli elettori delusi, a cominciare dai molti musulmani che si sentono solidali con i palestinesi e appartengono alle vieppiù numerose minoranze etniche propense storicamente a sostenere i candidati dell’Asinello. Su Biden pesa anche il conflitto in Ucraina e il confronto indiretto con la Russia. Apparirebbe come l’ennesimo “presidente di guerra” di fronte all’unico capo della Casa Bianca che da molti decenni a questa parte non ne ha promosse né subite durante il proprio mandato, Donald Trump, il quale peraltro aveva raggiunto una quasi miracolosa intesa tra arabi ed israeliani con gli Accordi di Abramo. E ancora: come avrebbe potuto Biden con un programma di ben 60 miliardi di dollari da sbloccare urgentemente per il regime di Kiev distribuire altri miliardi e miliardi di dollari in armi, e non solo, per Israele? E come impedire ad Israele – dieci milioni appena di abitanti, forze convenzionali in proporzione ed estrema dipendenza di forniture d’armamenti dagli Usa (ne ha finora ricevute tra i 300 e i 400 miliardi di dollari)di utilizzare l’arma atomica come controrisposta ad un attacco iraniano in grande stile? Considerazioni, cui se ne potrebbero aggiungere diverse altre, che spiegano l’azione americana: 1) ha avvertito il governo israeliano che l’Iran avrebbe certamente risposto all’attentato di Damasco, ribadendo ch’era stato organizzato e compiuto all’insaputa di Washington; 2) ha assicurato, anche negli incontri tra i vertici delle rispettive forze armate, la propria concreta volontà di onorare l’impegno a proteggere Israele, spostando subitola portaerei Eisenhower e attivando le difese anti missili e anti droni; 3) ha contribuito sostanzialmente a rendere l’attacco aereo ad Israele tanto spettacolare (per le popolazioni arabe) quanto inefficace. Teheran ha dichiarato che con il bombardamento su Israele aveva lavato l’affronto subìto: il “caso è ora chiuso”. Tutto quadrerebbe, dunque, per poter trarre un sospiro di speranza. Ma apparentemente. Quante tragedie hanno insanguinato il mondo proprio all’indomani di parole di pace o d’intese formali o presunte? E in questa partita a tre – fra la guida suprema iraniana Alì Khamenei, Bidene Netanyahu l’incognita resta il premier israeliano.

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Tra Khamenei e Biden l’incognita Netanyahu

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15.04.2024

Apparentemente l’attacco iraniano ad Israele si spiega come una necessità per la teocrazia di Teheran, pena una disastrosa perdita di credibilità, e presenta tutti gli ingredienti della ‘sceneggiata’ militare ad uso dimostrativo e a fini diplomatici. Almeno apparentemente, infatti, che cos’è avvenuto? Benjamin Netanyahu ha colpito l’ambasciata dell’Iran a Damasco, territorio persiano nella capitale siriana, sfoltendo di cervelli l’Idra che dal confine libanese e dai meandri sotterranei di Gaza colpisce Israele. Il mostro è decapitato, ma ha perso solo alcune delle sue teste e per un tempo più o meno breve. L’obiettivo, tuttavia, potrebbe essere stato molteplice: non soltanto disorientare il nemico per ottenere una pausa su di un fronte mentre le forze di Israele sono impegnate segnatamente sull’altro, ma anche quello di spingere Joe Biden a un maggiore coinvolgimento, cioè a un confronto meno indiretto degli Stati Uniti con Teheran, allargando lo spazio di manovra delle forze Usa dal Mar Rosso, dove sono impegnate contro gli attacchihouti, al teatro molto più ampio della cosiddetta........

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