Il terrorismo islamico ha ripreso a colpire l’Europa. Stavolta a Mosca e non a caso. Colpire Vladimir Putin, il nemico numero uno dell’Isis, all’indomani della sua trionfale vittoria alle presidenziali in Russia che era un tempo pilastro dell’Unione Sovietica comunista e atea ma che oggi agita vessilli neozaristi, alimenta la fiammella cristiano-ortodossa e combatte la costellazione del terrorismo islamico. Una guerra con alti e bassi, quella che Mosca conduce, non solo nei confini nazionali ma anche in Centrasia, in Medio Oriente e in Africa, dove ritrova amici o ne acquista di nuovi, semmai rimpiazzando i soldati di Stati europei (leggi la Francia), e dove difende Paesi con dittature più o meno militari e regimi larvatamente laici dall’aggressione del fondamentalismo, che inalbera bandiere diverse ma aggredisce con l’identica furia omicida e rappresenta il peggio, la brace a fronte della padella. Ricordiamo la Siria: Bashar al Assad rappresentava il meno peggio, laddove l’Isis era certamente la pessima alternativa, ma il presidente francese Francois Hollande tirava missili sulle caserme dei soldati di Damasco e gli americani si affidavano ai curdi, che non bastavano ed erano nel mirino della Turchia di Recep Tayyp Erdogan. A decimare l’Isis intervenne Putin. Certo non disinteressatamente, pensava alla base navale di Tartus, ma senza Mosca l’Isis avrebbe vinto. Ricordiamo il sostegno di Mosca al generale Khalifa Belqasim Haftar nel caos della Libia senza più Gheddafi (eliminato da francesi e americani in una delle loro clamorose e fallimentari operazioni pseudo-strategiche) e che ritrovava un minimo di stabilità nella divisione territoriale e nel contenimento del terrorismo alle frontiere meridionali. Ma il fondamentalismo islamico, avrebbe soffiato con successo sulla fiamma della ribellione nella stessa Russia se Boris Eltsin non avesse chiamato Putin come premier e a succedergli poi al Cremlino. Negli anni Novanta era fallito il tentativo di spegnere con la forza la secessione della Cecenia: non era bastata l’eliminazione nel 1996 del generale Dzokhar Dudaiev, ex pilota di bombardieri atomici sovietici, il quale si era autoproclamato presidente proclamando la secessione e aveva accolto e protetto pure l’ex presidente georgiano in fuga, l’indipendentista Zviad Gamsakhurdia. L’indipendentismo era tracimato nel Daghestan assieme al terrorismo islamico: in Cecenia il successore di Dudaiev, Aslan Maschadov, mancava di simile carisma. Clan in lotta fra loro per la supremazia. Attentati nel Caucaso e nella stessa Russia, con diverse centinaia di morti. A cavallo del Duemila, con Putin prima capo del governo e poi presidente della Federazione fu guerra spietata e vittoriosa al separatismo e al terrorismo: in Russia, in Cecenia, nel Daghestan, in Ossezia del Nord. In Cecenia la capitale Grozny “la terribile” fu praticamente rasa al suolo. A Mosca, al teatro Dubrovka, i terroristi islamici compirono una dei loro più orrendi massacri: “Li prenderemo, li scoveremo persino nascosti nei cessi”, affermò Putin. E così avvenne, vendicando le stragi nelle scuole del Daghestan come nelle città russe, a Mosca, a Bujnaksk, a Volgodonsk… Quest’ultimo osceno e vigliacco massacro di ragazzi a Mosca offre alcune conferme e avverte sui rischi maggiori che corrono gli equilibri internazionali. La Federazione russa è retta come spesso avviene per necessità negli imperi multietnici e multinazionali – da un centro di potere forte, divenuto purtroppo autoritario, ma non è la prigione dei popoli sorvegliata da un esercito di spie, quasi una rinata Unione Sovietica. Lo dimostra ancora una volta la facilità con la quale un gruppo di fondamentalisti islamici (con o piuttosto senza l’appoggio di agenti di Kiev) abbia superato gli ostacoli e seminato morte nel cuore della Federazione, dell’impero auro-asiatico. Chi si ostina con la sicumera di poter convincere l’opinione pubblica incurante degli stessi risultati delle indagini demoscopiche a propagandare la Russia come una riedizione dell’Urss sbaglia sapendo di sbagliare, ma soprattutto rivela una visione del futuro che non supera la distanza dalla punta del suo naso. La necessità di recuperare la Russia nella “casa comune europea” – cosa che ripetiamo, e ormai in parecchi, da due anni invano – risulta ancor più evidente da una strage che segue le orme del terrorismo che in Europa purtroppo conosciamo e dal quale dobbiamo continuare a difenderci: il terrorismo di carattere strategico-politico-religioso; il terrorismo esaltato e fanatizzato in quanti coltivano l’illusione o la speranza di un fine vita inesistente e di ricompense virginali ultraterrene; il terrorismo ‘manovrato’ apertamente o nell’occulto dai capi di organizzazioni e movimenti politici che puntano alla conquista del potere e vi ricorrono cinicamente; il terrorismo ‘guidato’ da governi in appoggio a strategie internazionali. Si pensi al Medio Oriente (dalle varie versioni islamiche), all’Africa, all’Afghanistan o al Pakistan, al Centrasia, al Caucaso. Si pensi al Nagorno Karabakh, dove una nazione è stata sloggiata con la forza dalle proprie storiche terre nel vile silenzio dell’Occidente. Si pensi alla stessa Ucraina. Il terrorismo riesplode con maggiore violenza nel continente europeo, seppure nelle sue terre più orientali, si gonfia di là da un Mediterraneo sempre più stretto, alberga camuffandosi nelle periferie e non solo delle nostre città , e invece… Invece, al Consiglio europeo si grida a squarciagola “alle armi” per difendersi da… un pericolo inesistente. Armarsi per difendersi. Ma da chi? Chi è che ci minaccia? Armarsi contro la Russia che, addirittura, studierebbe piani d’attacco alla Finlandia, chissà perché, o alle repubbliche baltiche, o alla Polonia… insomma, a uno qualsiasi dei Paesi d’Europa, cioè dell’Alleanza Atlantica. Attaccarci ma come? Non certo con forze armate convenzionali, considerando come sia stata maldestramente avviata e sviluppata l’ “operazione speciale”, che di speciale ha rivelato soltanto l’inadeguatezza delle forze armate convenzionali russe alle dimensioni e alla stessa difesa dell’impero. Un vento di follia pare spazzi l’Europa, alimentato da un Consiglio europeo che lascia basiti per toni e propositi. E che può far sorridere solo chi vuole davvero colpirci.

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Perché il terrorismo ha nel mirino Putin

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24.03.2024

Il terrorismo islamico ha ripreso a colpire l’Europa. Stavolta a Mosca e non a caso. Colpire Vladimir Putin, il nemico numero uno dell’Isis, all’indomani della sua trionfale vittoria alle presidenziali in Russia che era un tempo pilastro dell’Unione Sovietica comunista e atea ma che oggi agita vessilli neozaristi, alimenta la fiammella cristiano-ortodossa e combatte la costellazione del terrorismo islamico. Una guerra con alti e bassi, quella che Mosca conduce, non solo nei confini nazionali ma anche in Centrasia, in Medio Oriente e in Africa, dove ritrova amici o ne acquista di nuovi, semmai rimpiazzando i soldati di Stati europei (leggi la Francia), e dove difende Paesi con dittature più o meno militari e regimi larvatamente laici dall’aggressione del fondamentalismo, che inalbera bandiere diverse ma aggredisce con l’identica furia omicida e rappresenta il peggio, la brace a fronte della padella. Ricordiamo la Siria: Bashar al Assad rappresentava il meno peggio, laddove l’Isis era certamente la pessima alternativa, ma il presidente francese Francois Hollande tirava missili sulle caserme dei soldati di Damasco e gli americani si affidavano ai curdi, che non bastavano ed erano nel mirino della Turchia di Recep Tayyp Erdogan. A decimare l’Isis intervenne Putin. Certo non disinteressatamente, pensava alla base navale di Tartus, ma senza Mosca l’Isis avrebbe vinto. Ricordiamo il sostegno di Mosca al generale Khalifa Belqasim Haftar nel caos della Libia senza più Gheddafi (eliminato da francesi e americani in una delle loro clamorose e fallimentari operazioni........

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