Oggi la Federazione russa apre la tre giorni della sesta elezione presidenziale di questo secolo. In Occidente sono state sbrigativamente dichiarate “elezioni farsa”. Sarebbe più onesto dire che si tratterà di elezioni a metà. E dovrebbe ancor più preoccupare, in Occidente, che le elezioni in Ucraina siano state del tutto abolite assieme agli avversari politici: non solo i duri ma pure i morbidi, che nel parlamento russo invece sopravvivono . Mancherà nelle consultazioni Alekseij Navalny (perché mai Vladimir Putin l’avrebbe fatto assassinare proprio mentre ne trattava lo scambio?) come mancheranno altri esponenti dell’opposizione che avrebbero potuto sottrarre consensi a Vladimir Putin. Ma lasciamo alla propaganda occidentale propalare la fandonia di una consultazione a senso unico che “costringe” i russi a non scegliere. La verità è che potrebbero farlo, non votando il capo del Cremlino ma un altro candidato. E infatti chi vorrà, lo farà. Com’è avvenuto e come avverrà. Ma si noterà al momento dello spoglio mettendo in conto prevedibili brogli. Certamente nelle urne peserà pure il timore che incute un regime imperiale, autoritario. Ma è un regime che governa in tempo di guerra contro un nemico ch’è giunto, anno dopo anno, fino a premere alle sue frontiere. E nelle urne conterà soprattutto il patriottismo, che in Russia sempre tinge di nazionalismo la bandiera. La Russia che chiama al voto gli elettori vanta alcuni primati. E’ il Paese più esteso del pianeta (con 11 fusi orari) nonostante abbia nell’Ottocento svenduto l’Alaska e trentatré anni fa rinunciato per necessità e pacificamente a buona parte del proprio territorio: oltre cinque milioni di chilometri quadrati - Centrasia, Caucaso, repubbliche baltiche, Bielorussia e la stessa Ucraina- costati secoli di guerre e di sangue. E’ il Paese col più alto numero di etnìe, tra piccole, medie e grandi, con i due terzi dei suoi abitanti nel terzo del territorio ch’è in Europa e con l’altro terzo di abitanti nei due terzi di territorio in Asia. E’ il Paese non solo con una lingua federale – quella della tribù dei Rus’ che dalla Svezia si stabilì nella regione di Kiev e dei clan che emigrarono verso l’area del futuro principato di Moscovia modificandola nel tempo – ma pure con la memoria storica, quando non più attuale, di tutti gli altri linguaggi nazionali o etnici. E’ un Paese dalla struttura federale (Russia-Federazione russa) perché comprende 83 “soggetti” (l’Urss ne contava 89) tra repubbliche (21 ma divenute 24 con il recupero dall’Ucraina delle aree russofone di Crimea, Donetsk e Luhansk ufficialmente ri-annesse), una regione autonoma, 4 distretti autonomi, 9 territori, 46 regioni e due città federali. E’ anche il Paese con il maggiore arsenale atomico, che cura con particolare impegno perch’è su di esso, sull’essere una delle due superpotenze militari del pianeta, che poggia il ruolo internazionale e il diritto di veto all’ONU. Insomma… non è una Svizzera dei cantoni. Se gli anni di Mikhail Gorbaciov al Cremlino furono quelli del crollo dell’Unione Sovietica e del suo progetto di maturarla in una socialdemocrazia (pur nato in un referendum sull’unione vinto!), il decennio successivo, della presidenza coraggiosa di Boris Eltsin, fu segnato dal traumatico passaggio verso l’economia di mercato e la democratizzazione dei rapporti tra il potere centrale e le repubbliche. Ma il contagio separatista e del fondamentalismo islamico spinse Eltsin alla scelta di Vladimir Putin come premier e dopo un anno come successore al Cremlino. Putin, tanto sconosciuto quanto – si rivelò poi – capace di normalizzare la Federazione: reprimendo il separatismo armato in Cecenia; spegnendo sul nascere quello nel Caucaso e l’altro che si paventava nel Tatarstan (che tuttavia conservò fino al 2017 uno status più autonomo guadagnato con Eltsin); stroncando il terrorismo islamico che giunse a colpire sanguinosamente anche a Mosca; strappando la ragnatela velenosa degli oligarchi che si spartivano le ricchezze naturali dello Stato e sostituendola con una rete controllata dal Cremlino; ricostituendo un forte potere centrale considerato insostituibile per la stabilità e la “sopravvivenza della Russia” imperiale. E’ interessante studiare le differenze registrate nei risultati delle presidenziali che si sono finora svolte nella Federazione russa. Per quanto possano essere state influenzate dal potere, e in un certo qual modo calcolandolo, dall’analisi si può ricavare l’andamento che registra il consenso goduto dal Cremlino ma anche la consistenza dell’opposizione. ELEZIONI del 2000: poco meno di 74 milioni e 400mila votanti. Vladimir Putin ottiene il 52,94% (circa 39 milioni 750mila voti); Gennadij Zjuganov il 29,21% (Partito comunista, poco meno di 22milioni di voti); Grigorij Javlinskij il 5,80% (Jabloko, di indirizzo liberale, poco più di 4 milioni 350 mila); Vladimir Zirinovskij 2,70% (Partito liberal-democratico, destra nazionalista, poco più di 2 milioni) . Un altro 7% di voti sparso tra esponenti di formazioni minori, il più importante Aman Tuleiev con circa il 4% dei voti. ELEZIONI 2004: su oltre 108 milioni di elettori, 69 milioni e mezzo i votanti. A Putin circa 71,9% (oltre 49 milioni 558mila voti); a Nikholai Kharitonov il 13,8% (Partito comunista, circa 9 milioni e mezzo di voti); all’indipendente Serghiei Glazyev il 4,1% (oppositore , circa 2 milioni e 851 mila voti); a Irina Khakamada il 3,9% (indipendente ma non d’opposizione, oltre 2 milioni 672mila voti); a Oleg Malyshkin (Partito liberaldemocratico, poco più di un milione e 400mila voti). Il resto fritto misto. ELEZIONI 2008: 71 milioni 131mila votanti. Dimitri Medvdev (sostituisce Putin che ha compiuto due mandati) vince con il 69% (più di 52milioni e 400mila voti, col concorso di un paio di formazioni minorid’opposizione democratica ); al comunista Zjuganov il 17,72% (circa 13 milioni e 215mila voti); a Zhirinovskij il 9,25% (circa 7 milioni di voti); ad Andrej Bogdanov l’1,3% (indipendente ma non oppositore, poco meno di 1milione di voti). ELEZIONI 2012: 109 milioni e mezzo di elettori, oltre 71 milioni i votanti. Putin conquista circa il 64% (oltre 45 milioni e mezzo di consensi); Zjuganov il 17,18% (poco meno di 12 milioni e 300mila voti); l’indipendente Mikhail Prochorov circa l’8% (con poco meno di 5 milioni e 700mila voti); Zhirinovskij il 6,22% (circa 4 milioni e mezzo di voti); a Serghiei Mironov quasi il 4% (poco più di 2milioni e 750mila voti). ELEZIONI 2018: poco più di 109 milioni milioni di elettori, oltre 73 milioni e mezzo i votanti. Putin vince con circa il 77% dei voti (e 56 milioni e mezzo di voti); Pavel Grudinin, del Partito comunista, ottiene circa il 12% (oltre 8 milioni e mezzo di voti); Zirinovskij poco meno del 6% (con più di 4 milioni di voti); Ksenija Sobchak con meno del 2% (circa 1 milione e 250mila voti. Figlia di Anatolij Sobchak, leader liberale della corrente politica più ‘eltsiana’, ex sindaco - il primo democraticamente eletto - di San Pietroburgo: scelse lo stesso Putin come suo braccio destro); Grigorij Javlinskij appena l’1% (meno di 100mila voti per lo storico leader centrista del partito Jabloko affiancato al Partito democratico unificato, oppositore occidentalizzante). ELEZIONI 2024: poco meno di 114 milioni e mezzo gli elettori (compresi i 2 milioni all’estero). Si voterà anche in Transnistria, regione russofona della Moldavia autoseparatasi. I candidati alla presidenza sono 4: Putin (stavolta da indipendente). Nikolay Kharitonov (Partito comunista); Vladislav Davankov (Partito dei nuovi popolari); Leonid Slutsky (Partito Liberal-democratico). Le previsioni indicano un’affluenza attorno al 70% e che Putin potrebbe guadagnare oltre l’80% dei voti, considerando il conflitto in corso. Ma provengono da istituti demoscopici moscoviti.

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La Russia alle urne In Ucraina ancora no

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15.03.2024

Oggi la Federazione russa apre la tre giorni della sesta elezione presidenziale di questo secolo. In Occidente sono state sbrigativamente dichiarate “elezioni farsa”. Sarebbe più onesto dire che si tratterà di elezioni a metà. E dovrebbe ancor più preoccupare, in Occidente, che le elezioni in Ucraina siano state del tutto abolite assieme agli avversari politici: non solo i duri ma pure i morbidi, che nel parlamento russo invece sopravvivono . Mancherà nelle consultazioni Alekseij Navalny (perché mai Vladimir Putin l’avrebbe fatto assassinare proprio mentre ne trattava lo scambio?) come mancheranno altri esponenti dell’opposizione che avrebbero potuto sottrarre consensi a Vladimir Putin. Ma lasciamo alla propaganda occidentale propalare la fandonia di una consultazione a senso unico che “costringe” i russi a non scegliere. La verità è che potrebbero farlo, non votando il capo del Cremlino ma un altro candidato. E infatti chi vorrà, lo farà. Com’è avvenuto e come avverrà. Ma si noterà al momento dello spoglio mettendo in conto prevedibili brogli. Certamente nelle urne peserà pure il timore che incute un regime imperiale, autoritario. Ma è un regime che governa in tempo di guerra contro un nemico ch’è giunto, anno dopo anno, fino a premere alle sue frontiere. E nelle urne conterà soprattutto il patriottismo, che in Russia sempre tinge di nazionalismo la bandiera. La Russia che chiama al voto gli elettori vanta alcuni primati. E’ il Paese più esteso del pianeta (con 11 fusi orari) nonostante abbia nell’Ottocento svenduto l’Alaska e trentatré anni fa rinunciato per necessità e pacificamente a buona parte del proprio territorio: oltre cinque milioni di chilometri quadrati - Centrasia, Caucaso, repubbliche baltiche, Bielorussia e la stessa Ucraina- costati secoli di guerre e di sangue. E’ il Paese col più alto numero di etnìe, tra piccole, medie e grandi, con i due terzi dei suoi abitanti nel terzo del territorio........

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