Un anno che si apre con la prima delle sfide strategiche a Taiwan, dove le elezioni presidenziali tra un paio di settimane potrebbero vedere vincitore il candidato indipendentista su quello del Kuomintang, il partito cino-nazionalista e unionista che si rifugiò nell’isola dopo essere stato sconfitto dai comunisti di Mao nella lunga e sanguinosa guerra civile che aveva preceduto e seguito l’invasione giapponese. Prevalesse questa ipotesi, la conseguenza immediata sarà l’irrigidimento di Pechino verso l’Occidente euro-atlantico. Non a caso, il presidente Xi Jinping ha insistito nel suo discorso di fine anno sull’obiettivo della riunificazione: il comunismo è la bandiera del regime, il nazionalismo il suo motore. Proprio come fu per l’impero euro-asiatico, la Russia sovietica. I considerevoli aumenti delle spese per gli armamenti caratterizzano un confronto che si snoda lungo le linee della sfida sui mari e nello spazio; nutrono un espansionismo sullo scacchiere internazionale non più alimentato da ideologie internazionaliste ma da ragioni commerciali e di potenza. Solo l’insipienza di una presidenza Usa prigioniera dei ‘neocon’ (e dei loro fallimenti) e una Unione europea appiattita su Washington potevano regalare la Russia al suo nemico storico, la Cina. Una guerra per procura, in Ucraina, che ha devastato quel Paese, ha parzialmente frenato il lento cammino russo verso una democrazia all’occidentale, mietuto finora oltre mezzo milione di vittime sui due fronti (ultime stime del Pentagono), asservito una popolazione coraggiosa a un regime poliziesco a kiev che comincia a lesionarsi e rinvia la consultazione elettorale. Le elezioni a Taiwan aprono un anno elettorale che, come già indicammo su queste pagine, sarà planetario. Interesserà – nelle sue tappe più significative la Russia, l’India, l’Unione europea e avrà il suo gran finale nelle presidenziali degli Stati Uniti a novembre. Con uno strascico per noi importante nel 2005, costituito dall’appuntamento con le urne in Germania, ‘primus inter pares’ nell’Ue. La partita in Russia è scontata: di là dalla forza del sistema necessariamente imperiale data la sua composizione multinazionale, è indubbiamente grande il consenso patriottico che riscuote Vladimir Putin. Più incerta quella nell’Unione europea, dove la tenuta del rapporto tra le forze di centrodestra (popolari) e centrosinistra (socialdemocratici) potrebbe essere influenzata dall’affermazione o meno delle forze – dissimili di destra. Ma gli equilibri europei dovranno poi se non riflettere, tener conto del risultato delle elezioni di novembre negli Stati Uniti. Si prefigura uno scontro tra i più duri della storia americana. Joe Biden sotto inchiesta parlamentare per corruzione (presunti collegamenti con gli affari del discusso figlio Hunter) promossa dai repubblicani. Donald Trump escluso dalle primarie di alcuni Stati (dopo il Colorado il Maine, entrambi governati dal partito Democratico) per il presunto coinvolgimento nell’assalto al Congresso da parte di migliaia di contestatori dei risultati delle presidenziali. “Un attacco contro lo Stato di diritto” ha dichiarato Shenna Bellows, segretaria Dem del Maine sottolineando che “nessun candidato presidenziale è mai stato finora implicato in un’insurrezione”. Ciò che renderebbe Trump ineleggibile. Qualcosa di simile, in realtà, capitò a Jefferson Davis, ch’era stato presidente della Confederazione e che, finita la lacerante guerra di secessione 1861-65, era stato rieletto nel 1875 senatore del Mississipi. Valse contro di lui il 14. emendamento ratificato nel 1868 in piena repressione dei ‘sudisti’. Ma la differenza con Trump c’è, eccome: la sua esclusione è, come dire, preventiva. Deciderà la Corte Suprema. E al voto mancano oltre dieci mesi. Intanto, a tener banco è il confine colabrodo col Messico, superato in questi anni di Biden da oltre 7 milioni di immigrati irregolari; le spese federali a cominciare da quelle per l’Ucraina; il debito pubblico a livelli stratosferici. Il 2024 pare destinato a confermare dopo la parentesi dello scontro ideologico e militare per procura tra Est ed Ovest nel Novecento la guerra a macchia di leopardo: sia per interposte forze tra potenze perché in ascesa o in timore di declino (la “trappola di Tucidide”), sia tra popolazioni di Stati o regioni ‘disegnati’ o assemblati in trattati concepiti a dispetto della storia e con cecità verso il futuro. L’interesse nazionale sfocia in un nazionalismo assoluto, quasi la eco di Richelieu (“Lo Stato non ha immortalità e la sua salvezza è ora o mai più”) o di lord Palmerston (“Noi non abbiamo alleati eterni, né nemici perenni; sono eterni e perenni i nostri interessi e il nostro compito è perseguirli”). E sfocia pure in alleanze internazionali trasversali, ampie ma chissà quanto cementificabili e durature: nel campo dei Brics (Brasile, Russia, India e Cina) entrano a far parte ufficialmente Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti – fronte arabo sunnita – l’Iran sciita, l’Etiopia copto-musulmana e la vera potenza regionale del Continente sub sahariano, il Sud Africa, “arcobaleno” etnico dipinto a partire dal bianco e dal nero. Ma non solo guerre e confronto tra potenze e nazioni. Ci sono – ricordavamo sopra le urne. Un importante settimanale anglosassone ha ricordato l’altro giorno che, in 76 Paesi, 2 miliardi di persone saranno chiamate al voto. Elezioni nazionali in 40 Stati e locali negli altri. Dopo Taiwan, toccherà a febbraio alla Bielorussia (conferma in partenza per Alexander Lukashenko), Pakistan e Bangladesh, Indonesia (in ascesa economica). A marzo Iran (una sceneggiata) e Russia. Ad aprile e maggio toccherà ai 900 milioni di elettori in India, dove l’opposizione si è unita per contenere il previsto successo del partito Bjp del presidente Narendra Modi. Nel Continente nero si voterà dall’Africa australe (Sud Africa, Namibia Mozambico) su fino al mar Mediterraneo: lungo l’est dal Ruanda al Sudan del sud; lungo l’ovest dal Togo al Ghana (oasi finora di tranquillità), dal Senegal all’Algeria dei militari e alla Tunisia sulla rotta dell’immigrazione clandestina verso Italia ed Europa. Appunto, Europa. Presidenziali in Slovacchia e Finlandia; rinnovi parlamentari in Portogallo, Austria, Romania, Belgio, Croazia e Lituania. Ma con un interrogativo forte che concerne la Gran Bretagna, dove il premier Rishi Sunak potrebbe rischiare il posto andando ad elezioni anticipate. I conservatori, infatti, con Sunak (di origini indiane) hanno ripreso un po’ quota ma dopo un quindicennio di Tory al potere c’è voglia di ricambio, come ha già testimoniato la vittoria di Sadiq Khan, di origini pachistane, a sindaco di Londra. A motivare i laburisti c’è il lungo digiuno di potere. Abbiamo tenuto fuori da questo quadro il Medio Oriente, il conflitto tra lsraele e il radicalismo palestinese. Ma lì non è ancora tempo di spostare l’indice dal grilletto.

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Da Taiwan il calendario delle sfide strategiche

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03.01.2024

Un anno che si apre con la prima delle sfide strategiche a Taiwan, dove le elezioni presidenziali tra un paio di settimane potrebbero vedere vincitore il candidato indipendentista su quello del Kuomintang, il partito cino-nazionalista e unionista che si rifugiò nell’isola dopo essere stato sconfitto dai comunisti di Mao nella lunga e sanguinosa guerra civile che aveva preceduto e seguito l’invasione giapponese. Prevalesse questa ipotesi, la conseguenza immediata sarà l’irrigidimento di Pechino verso l’Occidente euro-atlantico. Non a caso, il presidente Xi Jinping ha insistito nel suo discorso di fine anno sull’obiettivo della riunificazione: il comunismo è la bandiera del regime, il nazionalismo il suo motore. Proprio come fu per l’impero euro-asiatico, la Russia sovietica. I considerevoli aumenti delle spese per gli armamenti caratterizzano un confronto che si snoda lungo le linee della sfida sui mari e nello spazio; nutrono un espansionismo sullo scacchiere internazionale non più alimentato da ideologie internazionaliste ma da ragioni commerciali e di potenza. Solo l’insipienza di una presidenza Usa prigioniera dei ‘neocon’ (e dei loro fallimenti) e una Unione europea appiattita su Washington potevano regalare la Russia al suo nemico storico, la Cina. Una guerra per procura, in Ucraina, che ha devastato quel Paese, ha parzialmente frenato il lento cammino russo verso una democrazia all’occidentale, mietuto finora oltre mezzo milione di vittime sui due fronti (ultime stime del Pentagono), asservito una popolazione coraggiosa a un regime poliziesco a kiev che comincia a lesionarsi e rinvia la consultazione elettorale. Le elezioni a Taiwan aprono un anno elettorale che, come già indicammo su queste pagine,........

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