Ci risiamo. Ogni qualvolta si avvicina un appuntamento elettorale - in questo caso più di uno - a giugno elezioni europee e voto suppletivo in cinque Regioni - “riemerge” il consueto, ciclico, approccio al dibattito sulla “questione meridionale”. Detto così, l’uso del verbo “riemergere” potrebbe apparire riduttivo della “questione”, forse mostrare un certo fastidio, invece è tutt’altra cosa: intende sottolinearne il ricorrente, insopportabile paradosso che, alla storica abbondanza di analisi sul Sud, non corrispondono poi i risultati sperati, anzi aumentano le delusioni. A evocarne una molto grave e pesante, ce ne danno lo spunto due passaggi della prolusione, tenuta pochi giorni addietro da Romano Prodi all’Istituto di Studi Storici per la inaugurazione dell’anno accademico 2023- 2024. Il primo, quando, riferendosi al suo passato di premier, dice: “La mia idea era di fare alcuni centri di eccellenza fortissimi uno a Napoli, uno a Bari, uno Sicilia e attirare di nuovo i ragazzi migliori. Lo sviluppo non si può fare equilibrato, ci vogliono dei punti di eccellenza”. Anche se Prodi, in questa terza fase, dopo essere stato due volte premier, poi presidente della commissione europea, ha stemperato le sue asprezze, che Cossiga, nelle sue picconate, definiva “velenose”, ha molto, molto da farsi perdonare sui punti di eccellenza. Napoli ne aveva uno tra i più competitivi al mondo, la Sme, il polo agro alimentare dello Stato. Ma, “nel 1986, con un contrattino di appena 4 paginette (anziché centinaia come normalmente si fa) fu lui a svenderlo a trattativa privata alla Buitoni, a Carlo De Benedetti per soli 393 miliardi. La Sme, aveva già nelle casse più di 600 miliardi di denaro liquido, ma il suo valore globale era di 3.100 miliardi”. Questa operazione segnò per Napoli e per il Sud la perdita di un “tesoro”, sapientemente costruito tra difficoltà di varia natura. Una decina di anni prima, dietro la spinta dell’allora sotto segretario agl’interventi straordinari al Sud Francesco Compagna, grande meridionalista, si era avuta un notevole e concreto rilancio del “Mezzogiorno agrario”, attraverso i progetti speciali in tutte le regioni per gli usi intersettoriali: delle acque, dell’irrigazione, della carne, degli agrumi e della forestazione a scopo produttivo. Da fargli dire: “Siamo tutti figli di Manlio Rossi Doria, è lui che ce li ha posti sempre”. La successiva svendita della Sme con la frammentazione delle sue eccellenze, svilì un immenso patrimonio strategico costruito al Sud. Questa brutta storia fu paragonata per gli effetti penalizzanti nel tempo alla sciagurata riforma doganale antiliberista, varata nel 1887 da un governo postunitario. Che si riflesse negativamente sull’economia agricola meridionale, sfavorita nel suo export soprattutto con la Francia, rispetto ai prodotti manifatturieri settentrionali, con la fatale conseguenza di vedere accentuarsi il divario tra Nord e Sud. Ma la delusione maggiore sta in un altro passaggio della prolusione, da monito alla città e al Sud: “O Napoli e il Sud ritornano al centro di un sistema, dentro una politica nazionale o europea o restano periferia”, che, per la verità, stona non poco , detto da chi non gli ha reso un buon servizio e non sa indicarne una soluzione. Ben altro, invece molto propositivo e di attualità sorprendente, di qui la forte motivazione di citarlo, è quello che anni fa, nel 1993, Giuseppe De Rita rivolse alla città con un suo intervento in occasione del G7. “Napoli era una grande capitale di stampo e di livello europeo - scrisse - non ha più quel pulsare di funzioni verso l’esterno che fa le capitali, ha perso la sua tradizionale autorevolezza ma ha conservato una sua autoreferenza bassa, quasi da piccolo sottosistema, chiuso in se stesso, nei suoi cliches abitudinari e stereotipati, nei suoi guai urbanistici e umani, nello stesso degrado dei vicoli e delle informe periferie. Non c’è osmosi con le aree circostanti se non forse per i fenomeni di grande devianza. Eppure ha grandi potenzialità, anche nelle funzioni verso l’esterno e se si riuscisse a metterle a frutto forse potrebbero dare una svolta al destino della città, troppo appiattito ai problemi e alle difficoltà interne”.

QOSHE - Napoli, la lezione di Prodi ignora il “tesoro perduto” - Aldo De Francesco
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Napoli, la lezione di Prodi ignora il “tesoro perduto”

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26.11.2023

Ci risiamo. Ogni qualvolta si avvicina un appuntamento elettorale - in questo caso più di uno - a giugno elezioni europee e voto suppletivo in cinque Regioni - “riemerge” il consueto, ciclico, approccio al dibattito sulla “questione meridionale”. Detto così, l’uso del verbo “riemergere” potrebbe apparire riduttivo della “questione”, forse mostrare un certo fastidio, invece è tutt’altra cosa: intende sottolinearne il ricorrente, insopportabile paradosso che, alla storica abbondanza di analisi sul Sud, non corrispondono poi i risultati sperati, anzi aumentano le delusioni. A evocarne una molto grave e pesante, ce ne danno lo spunto due passaggi della prolusione, tenuta pochi giorni addietro da Romano Prodi all’Istituto di Studi Storici per la inaugurazione dell’anno accademico 2023- 2024. Il primo, quando, riferendosi al suo passato di premier, dice: “La mia idea era di fare alcuni centri di eccellenza fortissimi uno a Napoli, uno a Bari, uno Sicilia e attirare di nuovo i ragazzi migliori. Lo sviluppo non si può fare equilibrato,........

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