Dopo anni passati a lamentarsi del surplus commerciale tedesco, come se fosse la causa di tutti i mali dell’Eurozona, eccoci finalmente accontentati: se si fa eccezione per il periodo del Covid-19, quando i lockdown ebbero effetti devastanti sul commercio internazionale, la bilancia dei pagamenti della Germania si trova nella condizione peggiore degli ultimi dieci anni. In quale modo questo rende migliore la posizione dell’Italia e degli altri Stati che per lungo tempo hanno invocato a gran voce un cambio di passo? Semplice: in nessun modo. E infatti è ormai comune leggere sui quotidiani o sentire in televisione gli esperti e i politici che denunciano gli effetti delle frenata tedesca per un Paese, come il nostro, la cui industria manifatturiera è strettamente intrecciata con quella di Berlino.

Questa lezione, che stiamo imparando nel peggiore dei modi, è utile a mettere in prospettiva molti dei temi che hanno tenuto banco negli ultimi anni nel dibattito pubblico italiano. Aver reso le nostre economie fortemente interdipendenti è uno dei maggiori successi dell’unificazione europea. In questo modo, ciascuno ha potuto specializzarsi nelle produzioni in cui ha i maggiori vantaggi comparati. Per le imprese italiane, accettare questa nuova realtà è stato difficile: abituate com’erano alle svalutazioni competitive, trovarsi improvvisamente senza rete di protezione ha comportato un notevole cambio di passo. Molti non ce l’hanno fatta. Ma molti altri hanno saputo approfittare dell’allargamento dei mercati investendo, innovando ed esportando: e oggi è proprio l’industria a costituire uno dei punti di forza del nostro Paese e a segnare, anno dopo anno, nuovi record nell’export.

In un libretto pubblicato qualche anno fa, Cosa succede se usciamo dall’euro?, cercavamo di spiegare che molti dei miti anti-euro poggiavano sull’assurda idea che l’aggancio ai mercati globalizzati fosse un orpello, e non una delle cause principali di quel po’ di benessere che abbiamo saputo creare e conservare. Oggi molti dei sogni anti-moneta unica si sono materializzati: i vincoli agli aiuti di Stato si sono allentati, i parametri di Maastricht sono (temporaneamente?) in soffitta, l’economia tedesca ha perso di slancio e abbiamo persino messo in circolazione qualcosa di molto simile ai mini-bot (cioè i crediti fiscali del Superbonus, che giustamente Eurostat ci ha costretto a riclassificare a bilancio proprio per evitare questa deriva). Non c’è dubbio che il “populismo” (se così vogliamo chiamarlo) sia diventato egemone, senza che né i governi tecnici, né gran parte degli intellettuali abbiano saputo o voluto contrastarlo.

Aggiornato il 29 novembre 2023 alle ore 11:20:39

QOSHE - Lo stop tedesco e i sogni anti-euro - Istituto Bruno Leoni
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Lo stop tedesco e i sogni anti-euro

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29.11.2023

Dopo anni passati a lamentarsi del surplus commerciale tedesco, come se fosse la causa di tutti i mali dell’Eurozona, eccoci finalmente accontentati: se si fa eccezione per il periodo del Covid-19, quando i lockdown ebbero effetti devastanti sul commercio internazionale, la bilancia dei pagamenti della Germania si trova nella condizione peggiore degli ultimi dieci anni. In quale modo questo rende migliore la posizione dell’Italia e degli altri Stati che per lungo tempo hanno invocato a gran voce un cambio di passo? Semplice: in nessun modo. E infatti è ormai comune leggere sui quotidiani o sentire in televisione gli esperti e i politici che denunciano gli effetti delle........

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