Vincere le elezioni è sempre più facile che gestire la vittoria. Ma il neopresidente argentino, Javier Milei, eletto a novembre con un suffragio del 55,65 per cento dei voti, e che domenica ha prestato giuramento, ha dalla sua parte la profonda insofferenza del popolo argentino verso la passata politica, senza dimenticare una scioccante sincerità espressa durante la campagna elettorale. L’Argentina conquistata da Milei è un grosso contenitore con enormi capacità produttive e con eccellenti istituti culturali, ma la “politica” espressa dalle ideologie peroniste e anti-peroniste ha condotto, questo grande Paese, nel continuare ad affogarsi dentro la stagnazione economica, nella disoccupazione e nell’inflazione. Così, durante il giuramento da presidente, nel discorso di insediamento ha annunciato un periodo “difficile, di sacrifici e sofferenze”.

Ma cosa intende dire agli argentini, annunciando un “periodo difficile”, dopo quello che il popolo sta subendo da decenni? Intanto Milei ha sconfitto una bella fetta del passato, rappresentata dal suo antagonista, Sergio Massa, espressione del Governo uscente di Alberto Fernández, (2019-2023, sponda centrosinistra). La cerimonia di inaugurazione del suo percorso governativo ha tratteggiato il profilo del suo esempio politico ispiratore, quello dell’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Infatti, in pieno stile yankee, appena pronunciata la “promessa” davanti al Congresso, rompendo la tradizione che vuole la prima “parola” destinata ai parlamentari, si è rivolto ai suoi sostenitori assembrati sul piazzale antistante il Parlamento, suggellando questo suo esordio con modalità iconoclaste.

Così, rivolgendo le “terga” al Congresso, ha detto ai suoi concittadini che “non ci sono soldi”, affermando di dover gestire la “peggiore eredità” che un Governo abbia mai ricevuto, sorvolando sulla dittatura militare del periodo 1976-1983 e sulla drammatica crisi socio-economica del 2001. Ciononostante, i parametri della crisi sono chiari: una povertà al 40 per cento e un’inflazione al 143 per cento annuo sono curabili con una austerità dalle caratteristiche “scioccanti”. Quindi aumento dell’inflazione, calo dell’attività economica, dell’occupazione e dei salari. E conseguente crescita della povertà. Però queste spettrali promesse pare non abbiano inciso sulla gioia e sulla speranza dei suoi sostenitori. La Casa Rosada – il palazzo presidenziale – raggiunta in cabrio è stata la tappa successiva. Qui i bilanciamenti geopolitici hanno preso forma. Ad attenderlo il cileno Gabriel Boric Font, un preoccupato Volodymyr Zelensky, Felipe re di Spagna, ma anche i leader conservatori, come l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro, il presidente ungherese Viktor Orbán e Santiago Abascal capo del partito spagnolo Vox, tanto per citare i più rilevanti.

Comunque, Milei – alla guida della terza economia dell’America Latina – dal ritorno della democrazia (ricomparsa quaranta anni fa) è il dodicesimo presidente dell’Argentina. Ha giurato in Parlamento “nel nome di Dio, della Patria e sui santi Vangeli”, ma pure in lealtà e patriottismo. Diventato deputato nel 2021, ha tolto dal potere il blocco peronista e la destra che si erano alternati negli ultimi vent’anni. La sua missione è rappresentata da una ostentazione del liberismo, professato con lessico “trumpista”. Il ritorno alla “grandeur” dell’Argentina (concetto da analizzare in quanto impregnato di relativismo storico) è l’aspetto comunicativo più utilizzato verso la massa. Tuttavia, voglio ricordare che l’economia argentina riscontra le sue politiche neoliberiste più facilmente applicate a partire dalla dittatura del 1976, mentre appena palpabili sono state invece durante il peronismo e la destra.

In realtà, la nuova era annunciata da Milei non ha un’alternativa all’applicazione di quello che definisce “aggiustamento economico”, che prevede uno “shock” in termini di bilancio, causa forte penuria di “soldi!”. Aggiungendo che, nel breve periodo, le cose peggioreranno. Eppure, come è da prassi, la “partita nazionale” del neopresidente liberista non si giocherà solo in casa, ma pure a livello geopolitico, dove il vento tira più dalla parte sua che in senso opposto.

Aggiornato il 12 dicembre 2023 alle ore 09:59:13

QOSHE - Milei, un liberista iconoclasta - Fabio Marco Fabbri
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Milei, un liberista iconoclasta

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12.12.2023

Vincere le elezioni è sempre più facile che gestire la vittoria. Ma il neopresidente argentino, Javier Milei, eletto a novembre con un suffragio del 55,65 per cento dei voti, e che domenica ha prestato giuramento, ha dalla sua parte la profonda insofferenza del popolo argentino verso la passata politica, senza dimenticare una scioccante sincerità espressa durante la campagna elettorale. L’Argentina conquistata da Milei è un grosso contenitore con enormi capacità produttive e con eccellenti istituti culturali, ma la “politica” espressa dalle ideologie peroniste e anti-peroniste ha condotto, questo grande Paese, nel continuare ad affogarsi dentro la stagnazione economica, nella disoccupazione e nell’inflazione. Così, durante il giuramento da presidente, nel discorso di insediamento ha annunciato un periodo “difficile, di sacrifici e sofferenze”.

Ma cosa intende dire agli argentini, annunciando un “periodo difficile”, dopo quello che il popolo sta subendo da decenni? Intanto Milei ha sconfitto una bella fetta del passato, rappresentata dal suo antagonista, Sergio Massa,........

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