Il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, al quale discutibilmente è stato consegnato il premio Nobel per la Pace nel 2019, ha fatto della spasmodica ricerca di un accesso al mare una questione “esistenziale” per la sua nazione, ma soprattutto per se stesso e per il suo futuro politico. A metà ottobre, come scritto in un mio articolo pubblicato su questa testata il 21novembre, Ahmed pronunciò un discorso dove definiva l’Etiopia racchiusa in una prigione geografica, non avendo alcuno sbocco al mare. Allo stesso tempo, ha ulteriormente affermato che da tale situazione di “prigionia” si sarebbe dovuta liberare obbligatoriamente e in qualsiasi modo. Un’affermazione che aveva messo in allerta i Paesi del Corno d’Africa, soprattutto l’Eritrea, ma anche la Somalia, che dagli anni Sessanta è afflitta da “turbamenti sovranisti”. Comunque, i timori di questi Stati si sono concretizzati con la sottoscrizione di un articolato, laborioso e ancora vago accordo stipulato il primo gennaio, ad Addis Abeba, tra l’Etiopia e l’autoproclamata Repubblica del Somaliland.

Brevemente, ricordo che la Repubblica del Somaliland (4,5 milioni di abitanti), ex colonia britannica, nel 1991 dichiarò unilateralmente l’indipendenza da Mogadiscio, mentre la Somalia sprofondava nella guerra civile. Però, questa nazione non ha ottenuto il riconoscimento da parte della Comunità internazionale. L’Etiopia è il secondo Paese più popoloso del Continente, con centoventi milioni di abitanti, ma senza sbocco al mare. Con l’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia nel 1993, Addis Abeba ha perso l’accesso al porto di Assab. Seguì tra il 1998 e il 2000 un conflitto sanguinoso tra Addis Abeba e Asmara. Cosa prevede questo accordo? La “convenzione” tra i due Stati spalancherà finalmente le porte del Mar Rosso all’Etiopia, che potrà realizzare l’annoso desiderio di avere stabilmente almeno un porto. Ciò permetterà anche di superare i costosi “pedaggi marittimi” attualmente in essere con Gibuti. Infatti, dal 2000 quasi la totalità delle importazioni in Etiopia transitano tramite questo porto, a cui Addis Abeba paga ogni anno oltre un miliardo e mezzo di dollari in dazi portuali.

Ciononostante, i margini di questo patto hanno alcuni contorni opachi. Sembra che l’Etiopia, in una prima fase, potrà acquisire una parte non definita del porto di Berbera – posizionato sulla costa meridionale del Golfo di Aden, all’ingresso del Mar Rosso che conduce al Canale di Suez – capitale commerciale del Somaliland; ma l’aspetto più opinabile, a livello geopolitico, è che in cambio della concessione, per cinquanta anni, di circa venti chilometri di costa, l’Etiopia si sarebbe impegnata a riconoscere formalmente la Repubblica del Somaliland. Un tema, questo, che da una parte ha allertato la Somalia, la quale sente sotto attacco la sua sovranità, ma che dall’altra ha fatto gioire il pseudo-presidente del Somaliland, Muse Bihi Abdi.

Comunque i dettagli dell’accordo, stipulato il primo gennaio ad Addis Abeba tra il capo del Governo etiope Abiy Ahmed e da Muse Bihi Abdi, saranno rivelati nei prossimi giorni. Non è ancora chiaro quale linea costiera passerà sotto il controllo etiope. Probabilmente, il tratto di costa tra le città di Lughaya e Zeila, quest’ultima poco a sud di Gibuti, risulta come probabile area concessa all’Etiopia, come filtrato da diverse fonti diplomatiche.

Tra queste due città, la cui distanza costiera è di circa ottanta chilometri, Addis Abeba prevede di costruire un porto commerciale ma anche una base militare. E, chiaramente, un varco stradale che unisca l’Etiopia al Mar Rosso. Così Addis Abeba potrà beneficiare di una zona economica esclusiva e decisamente strategica, soprattutto in un momento storico come quello che sta vivendo questa regione e questo tratto di mare. Ma nonostante questa prospettiva, il due gennaio, la Somalia – che ritiene il Somaliland una “realtà” separatista – ha immediatamente richiamato il suo ambasciatore ad Addis Abeba, dichiarando che difenderà il suo territorio con “tutti i mezzi legali”. Come verrà ripagato il Somaliland dall’Etiopia? Intanto, dovrebbe ottenere da Addis Abeba il riconoscimento di “Stato sovrano”, oltre a importanti quote di due compagnie etiopi: il colosso delle telecomunicazioni, Ethio Telecom e la florida Ethiopian Airlines, la compagnia aerea più redditizia dell’Africa.

Tuttavia, secondo Dp World (Dubai Ports World), società che gestisce anche la logistica del porto di Berbera, già nel 2018 l’Etiopia aveva acquisito il diciannove per cento del porto, oltre ad altre quote ottenute in questi ultimi tempi, che al momento pare arrivino a oltre il cinquanta per cento. La questione che viene maggiormente considerata in questa area, in particolare dalla Somalia, è che le azioni del Governo etiope costituiscano un evidente disprezzo per le norme internazionali, sfidando una palese violazione della sovranità territoriale somala.

In realtà, l’operazione del primo ministro etiope va verso una stabilizzazione della gestione di questa fascia costiera del Somaliland. Una volta costruiti una base militare e un porto, difficilmente il limite dei cinquanta anni di concessione potrà valere, diventando così una “stabile proprietà”. La ferita per Mogadiscio di aver definitivamente perso un territorio si aggraverebbe. Ma va anche ricordato che l’Etiopia è conscia di trovarsi in un vantaggio sia militare che economico. E che difficilmente, una volta preso questo territorio, potrà esserle tolto. Soprattutto dopo aver organizzato una base militare in un tratto di mare strategico, che alletterà gli appetiti degli Stati burattinai del Pianeta.

Aggiornato il 08 gennaio 2024 alle ore 09:59:13

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Accordo Etiopia-Somaliland: trema il Corno d’Africa

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08.01.2024

Il primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, al quale discutibilmente è stato consegnato il premio Nobel per la Pace nel 2019, ha fatto della spasmodica ricerca di un accesso al mare una questione “esistenziale” per la sua nazione, ma soprattutto per se stesso e per il suo futuro politico. A metà ottobre, come scritto in un mio articolo pubblicato su questa testata il 21novembre, Ahmed pronunciò un discorso dove definiva l’Etiopia racchiusa in una prigione geografica, non avendo alcuno sbocco al mare. Allo stesso tempo, ha ulteriormente affermato che da tale situazione di “prigionia” si sarebbe dovuta liberare obbligatoriamente e in qualsiasi modo. Un’affermazione che aveva messo in allerta i Paesi del Corno d’Africa, soprattutto l’Eritrea, ma anche la Somalia, che dagli anni Sessanta è afflitta da “turbamenti sovranisti”. Comunque, i timori di questi Stati si sono concretizzati con la sottoscrizione di un articolato, laborioso e ancora vago accordo stipulato il primo gennaio, ad Addis Abeba, tra l’Etiopia e l’autoproclamata Repubblica del Somaliland.

Brevemente, ricordo che la Repubblica del Somaliland (4,5 milioni di abitanti), ex colonia britannica, nel 1991 dichiarò unilateralmente l’indipendenza da Mogadiscio, mentre la Somalia sprofondava nella guerra civile. Però, questa nazione non ha ottenuto il riconoscimento da parte della Comunità internazionale.........

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