È in atto un nuovo assetto degli equilibri geopolitici? Chi ci guadagna da questo disordine globale? Interrogativi, questi, le cui risposte osservano ciò che sta accadendo in Ucraina, così come “l’incendio” scoppiato in Israele e sul territorio palestinese. Ma probabilmente non basta. L’attuale “disordine”, stante che rimanga questo (cosa non probabile), non è sufficiente a definire le basi per un nuovo riordino mondiale, sia a causa degli attori convolti, sia perché il “contagio destabilizzante” è particolarmente virale per le poste in palio che coinvolgono numerose nazioni ed enormi fette dell’economia. Pertanto, si è sdogmatizzato il concetto, solo teorico e ipocrita, sulla necessità del dover mantenere una apparente pace a tutti i costi. In pratica, i conflitti – dotati di una incommensurabile fascinazione – vengono “coltivati”.

Intanto, questo disordine sta beneficiando la Russia di Vladimir Putin (sottolineo il nome del suo “Zar” perché la Russia è Lui). Così, quello che alcuni definiscono il “rospo globalista” dovrà impegnarsi sempre di più in modo complesso, articolato e forse accondiscendente geopoliticamente, ma soprattutto “adogmatico”, nel dover accettare che territori geograficamente ucraini diventino geograficamente e politicamente le due ultime Repubbliche della Federazione russa, la 23 esima e la 24 esima.

Il cinico attacco di Hamas a Israele, del 7 ottobre, eseguito nella consapevolezza e con la volontà che la reazione di Gerusalemme sarebbe stata infernale, ha in effetti distratto l’Occidente dalla questione Ucraina, impegnandolo a cercare di spegnere il fuoco eterno nel Vicino e Medio Oriente. Inoltre, Putin ha dichiarato che l’Iran degli Ayatollah è il suo migliore alleato militare. Ma l’Iran è anche il migliore alleato di Hamas, demarcando la divisione con gli Stati Uniti che sono i migliori alleati di Israele. Putin ha anche attribuito a Washington tutta la colpa della crisi israelo-palestinese, perché sedicente garante della pace nella regione. In realtà, quell’ordine pseudo-mondiale la cui cesellatura iniziò alla fine della Grande guerra e quasi compiuto alla fine della Guerra fredda (25 dicembre 1991), non fu né realmente multipolare, né completamente unipolare e ora si sta disfacendo. E anche piuttosto celermente.

Ma oggi l’indebolimento del ruolo degli Stati Uniti nel mondo è inevitabile? La difficoltà degli Usa, e dei suoi alleati europei, nel “convincere” sia militarmente che diplomaticamente realtà politiche disobbedienti, è abbastanza evidente. Così, America e Occidente hanno dovuto constatare, all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il rifiuto dei Paesi tradizionalmente vicini a Washington, come i sette Emirati Arabi Uniti, Turchia, India – senza dimenticare l’articolata posizione dell’Arabia Saudita – ad adottare vere e proprie politiche sanzionatorie verso lo Stato aggressore, la Russia. Un segnale preoccupante, conclamatosi, tra mille rivoli di interessi, con la crisi in Israele. Una marea dolorosa di immagini – che partendo dall’Ucraina, passando per il Nagorno-Karabakh, arrivano al Medio Oriente – che da mesi tracima oltre gli “argini del potere”, alimentando l’idea che nessuna potenza mondiale potrà fermare i conflitti in corso. E che i vecchi precari bilanciamenti geopolitici sono ormai all’ombra di una lapide. Comunque, è evidente l’inabilità di Washington di imporre la pace; tuttavia, è anche certo che in termini di capacità militari, economiche e tecnologiche, gli Stati Uniti sono ancora la potenza leader, anche se è più difficile per loro piegare la schiena a un Paese “indisciplinato”. Nondimeno, gli Usa conservano il loro potere dissuasivo; la presenza di portaerei a stelle e strisce piazzate al largo delle coste israeliane induce a evitare che altri Stati filo-Hamas entrino in gioco.

Insomma, gli Stati Uniti giocano su due fronti. Quello mediorientale, che dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003 e il prosieguo di Barack Obama nel 2010, fa oggi pagare il prezzo di tredici anni di progressivo disimpegno nella regione, accompagnato dalla non volontà di colpire il regime di Damasco – a quanto pare utilizzatore di armi chimiche – scelta, questa, sicuramente azzecca. Così vediamo oggi quanto sia difficoltoso per Washington il ritorno sullo scenario nel Vicino Oriente. Sulla questione ucraina, invece, gli Stati Uniti non hanno avuto difficoltà a impegnare i loro alleati europei e asiatici. Inoltre, Putin ha dimostrato quanto le potenze in declino possano essere dirompenti come le potenze in ascesa; resta la questione Cina, a oggi il principale avversario degli Usa.

Questo embrione di un nuovo riassetto mondiale ha chiarito almeno due aspetti: uno è legato alla massa, che evidenzia l’inversa proporzionalità tra chi ci rimette e chi ci guadagna, ovvero più è numerosa la popolazione che soffre, più sono pochi coloro che traggono profitti; l’altro è l’odio verso l’Occidente guadagna terreno. Mi viene alla memoria una battuta dell’era sovietica: “Il futuro è certo. Solo il passato è imprevedibile”. Uno sguardo limpido verso chi guadagna dal caos.

Aggiornato il 20 dicembre 2023 alle ore 09:56:33

QOSHE - A chi conviene il nuovo disordine mondiale? - Fabio Marco Fabbri
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A chi conviene il nuovo disordine mondiale?

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20.12.2023

È in atto un nuovo assetto degli equilibri geopolitici? Chi ci guadagna da questo disordine globale? Interrogativi, questi, le cui risposte osservano ciò che sta accadendo in Ucraina, così come “l’incendio” scoppiato in Israele e sul territorio palestinese. Ma probabilmente non basta. L’attuale “disordine”, stante che rimanga questo (cosa non probabile), non è sufficiente a definire le basi per un nuovo riordino mondiale, sia a causa degli attori convolti, sia perché il “contagio destabilizzante” è particolarmente virale per le poste in palio che coinvolgono numerose nazioni ed enormi fette dell’economia. Pertanto, si è sdogmatizzato il concetto, solo teorico e ipocrita, sulla necessità del dover mantenere una apparente pace a tutti i costi. In pratica, i conflitti – dotati di una incommensurabile fascinazione – vengono “coltivati”.

Intanto, questo disordine sta beneficiando la Russia di Vladimir Putin (sottolineo il nome del suo “Zar” perché la Russia è Lui). Così, quello che alcuni definiscono il “rospo globalista” dovrà impegnarsi sempre di più in modo complesso, articolato e forse accondiscendente geopoliticamente, ma soprattutto “adogmatico”, nel dover accettare che territori geograficamente ucraini diventino geograficamente e........

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