Intorno al tema – cruciale in una società civile – delle intercettazioni di conversazioni private, il dibattito e la polemica hanno da tempo preso una piega ben lontana dalle reali criticità democratiche di questo strumento investigativo. Il tema della pubblicazione dei contenuti è certamente un tema sensibile e di grande rilevanza, ma non è il solo e nemmeno il principale. Prima di discutere se, come ed entro quali limiti vietarne la pubblicazione, sarebbe indispensabile informare la pubblica opinione delle norme che regolano la potestà dello Stato di intercettare i cittadini.

Si scoprirebbe ad esempio che, se si indaga per la ipotesi di associazione mafiosa e reati asseritamente connessi, il potere di intercettazione, anche a mezzo trojan, è pressoché indiscriminato e -nei fatti- rimesso interamente alla valutazione discrezionale dell’organo dell’Accusa. E si apprenderebbe che l’attuale Governo si è assunto la responsabilità politica di estendere ulteriormente tale potere indiscriminato anche alle ipotesi in cui non si indaga su una associazione mafiosa, ma solo su reati comuni in ipotesi posti in essere “con modalità mafiose”. Si tratta di una estensione poderosa del potere delle Procure di ascoltarci, posta la sfuggente e multiforme nozione di “modalità mafiosa” che il PM potrà comodamente ed unilateralmente ipotizzare in fase di indagine.

Ed invece, a leggere la stampa, questo sembrerebbe un governo impegnato a fortemente restringere l’uso giudiziario delle intercettazioni, oltre che a mettere “bavagli” alla stampa che voglia metterci il naso. Questa bolla del dibattito – ripeto, pur rilevante – della ricaduta mediatica delle intercettazioni ha del tutto distolto l’attenzione da ciò che il cittadino può doversi attendere dal potere dello Stato di intromettersi nelle sue private conversazioni, finendo paradossalmente per attribuire patenti di rigoroso riequilibrio liberale alle scelte di un governo che ne ha appena decretato il più micidiale potenziamento mai deliberato nella storia della Repubblica. D’altronde, questa assorbente centralità del dibattito sulla pubblicazione delle intercettazioni ha già prodotto danni irreparabili con la riforma Orlando del 2017 che, sull’odioso e falso presupposto che i responsabili principali fossero gli avvocati, ha di fatto sottratto ad essi (e quindi ai cittadini che essi assistono), il diritto di conoscere in modo completo il contenuto del materiale intercettato. La Polizia, per conto del PM, ascolta per mesi e seleziona ciò che ritiene “rilevante”, e di questo il difensore può avere copia. Tutto il resto (mesi e mesi di intercettazioni che PM e polizia giudicano, ovviamente nell’ottica accusatoria, “irrilevanti”) non potrà essere dato in copia alla difesa. Gli avvocati potranno solo arrangiarsi ad ascoltare quel materiale immenso, alla impossibile ricerca di prove contrarie all’accusa, in un ufficio aperto poche ore al giorno, prendendo appunti. Viva la riservatezza, morte al diritto di difesa.

Gian Domenico Caiazza

Avvocato

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Intercettazioni, l’ingannevole dibattito

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28.01.2024

Intorno al tema – cruciale in una società civile – delle intercettazioni di conversazioni private, il dibattito e la polemica hanno da tempo preso una piega ben lontana dalle reali criticità democratiche di questo strumento investigativo. Il tema della pubblicazione dei contenuti è certamente un tema sensibile e di grande rilevanza, ma non è il solo e nemmeno il principale. Prima di discutere se, come ed entro quali limiti vietarne la pubblicazione, sarebbe indispensabile informare la pubblica opinione delle norme che regolano la potestà dello Stato di intercettare i cittadini.

Si scoprirebbe ad esempio che, se si indaga per la ipotesi di associazione mafiosa e reati asseritamente connessi, il potere di intercettazione, anche a mezzo trojan, è........

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