Dunque siamo arrivati a questo. In un noto processo per omicidio (a carico di una madre che ha lasciato morire di fame e di sete la sua sventurata figlia, per andarsene in giro per un comodo week end), la difesa si impegna sulla strada della infermità mentale. Una scelta perfino scontata, che PM e parte civile legittimamente contrasteranno con i propri consulenti tecnici. La Corte di Assise nomina un proprio perito, in modo che la decisione possa essere la più approfondita ed equanime possibile.

Apprendiamo dalle cronache che la difesa muove le sue mosse dai test psicologici e conseguenti valutazioni tecniche svolti da due psico-terapeute del carcere, che giudicano il quoziente intellettivo della detenuta molto basso, al punto da renderla incapace di rendersi conto della sofferenza altrui. Ed ecco il colpo di scena. Il PM reputa indebita la somministrazione di quel test (di Wais) da parte delle psicologhe del carcere: non ve ne sarebbero stati presupposti e ragioni per farlo, e dunque sospetta una sorta di improprio favoritismo nei confronti della difesa.

Chiede ed ottiene di intercettare -da quanto leggiamo in cronaca- le due terapeute (anche negli incontri in carcere con la detenuta), indagandole di favoreggiamento e di falso ideologico in concorso -udite, udite- con l’avvocatessa che difende l’imputata! La falsità ideologica consisterebbe nel fatto che le due psicologhe non avrebbero svolto una obiettiva «descrizione clinica», quanto piuttosto «una estrapolazione deduttiva di una vera e propria tesi difensiva».

E questo, dobbiamo necessariamente dedurre, su istigazione o comunque concorso morale, del difensore. In tutta onestà, si tratta -se confermato nei termini che ho riassunto, e che desumiamo da cronache dettagliate con citazioni testuali dei provvedimenti- di un fatto di gravità inaudita, destinato a costituire un precedente inconcepibile in uno Stato di diritto. Insomma il PM, invece di formulare le sue legittime obiezioni nell’ambito del confronto processuale e peritale, come se niente fosse apre un fascicolo, perquisisce ed intercetta (indirettamente così anche il difensore) ed iscrive la parte avversa nel registro degli indagati.

E ciò sulla premessa di una valutazione tecnica (delle due psicologhe) che egli semplicemente non condivide, sia nelle premesse che nelle conclusioni. La cosa ancor più stupefacente -se questa ulteriore notizia fosse confermata, perché si stenta a crederlo è che l’iniziativa di questo PM sarebbe stata assunta nella inconsapevolezza dell’altro PM titolare della indagine, e del Procuratore aggiunto che la segue con loro. Ecco, dunque, un fulgido esempio della intollerabile disparità processuale tra accusa e difesa, sancita come legittima dal GIP che autorizza intercettazioni e perquisizioni e -a quanto paredal Procuratore Capo che la avalla. In attesa che qualcuno intervenga per rimediare a questa assurda vicenda, propongo alla Associazione nazionale Magistrati un bel dibattito sulla tanto decantata “cultura della giurisdizione” del Pubblico Ministero. Quanto accaduto ne rappresenta il più fulgido esempio.

Gian Domenico Caiazza

Avvocato

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Ad armi dispari. Fulgido esempio della intollerabile disparità processuale tra accusa e difesa

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26.01.2024

Dunque siamo arrivati a questo. In un noto processo per omicidio (a carico di una madre che ha lasciato morire di fame e di sete la sua sventurata figlia, per andarsene in giro per un comodo week end), la difesa si impegna sulla strada della infermità mentale. Una scelta perfino scontata, che PM e parte civile legittimamente contrasteranno con i propri consulenti tecnici. La Corte di Assise nomina un proprio perito, in modo che la decisione possa essere la più approfondita ed equanime possibile.

Apprendiamo dalle cronache che la difesa muove le sue mosse dai test psicologici e conseguenti valutazioni tecniche svolti da due psico-terapeute del carcere, che giudicano il quoziente intellettivo della detenuta molto basso, al punto da renderla incapace di rendersi conto della sofferenza altrui.........

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